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Sta per partire in tour con una trentina di date in tutta Italia Ernia, il rapper milanese che a settembre ha pubblicato 68, il suo primo album ufficiale. E' lui l'ospite di Vicky Piria in questa puntata di S-caricati, il nuovo format di Mini Italia e Automoto.it dove i protagonisti del mondo dello spettacolo incontrano la nostra driver d'eccezione.
Il tour di Vicky e Matteo ha come co-protagonista oggi la Mini Cooper S 3 porte, il modello più sportivo della gamma. I nostri si trovano a Milano, che gireranno partendo da San Siro passando per il quartiere di Ernia, dove tutto è iniziato.
«Ecco la fermata della linea 68, come il mio album. Qui ci ho passato ore infinite. La mattina mi fermavo per prendere il bus verso scuola ed il pomeriggio per quello verso il centro. Il 68 è l'unico autobus che passa dal mio quartiere, per cui è molto rappresentativo per me, per i miei amici, per la mia banda. E poi, chissà che questo album non mi posso portare veramente in centro...».
Ok il nome dell'album, ma perché ti chiami “Ernia”? «Un'amica delle medie aveva un'ernia ombelicale ed io scherzosamente la chiamavo “Ernia”. Poi lei ha iniziato a chiamare Ernia anche me e alla fine questo soprannome è rimasto solo a me. Mi chiamavano tutti così, anche i professori... ».
A chi si ispira Ernia? «Un sacco di ispirazioni USA, ma ritengo la mia musica comunque “italiana” perché la rendo mia ed è interpretata da me che sono un italiano, dunque diventa appetibile per il pubblico italiano. Rispetto agli americani noi culturalmente usiamo più metafore, figure allegoriche, andiamo molto più a fondo, siamo molto diversi dal punto di vista del linguaggio».
Paura che il successo ti allontani dalla tua realtà? «Un po' di paura ce l'ho, però la mia vita è cambiata, può darmi qualcosa in più e posso aver qualcos'altro di cui parlare. Se fossi rimasto nello stesso punto forse dopo un po' avrei esaurito le cose da dire. Infatti anche il nuovo disco rispetto al progetto precedente prende spunto dal modo in cui è cambiata la mia vita».
Quando è stato il momento in cui ti sei sentito “arrivato”? «Avere veramente successo significa mantenerlo nel tempo, un album possono azzeccarlo tutti. Credo che sia un qualcosa che si costruisce step by step. E' da due anni che sono veramente nel gioco, ma bisogna mantenere uno standard alto. Si deve continuare a spingere e lottare, non basta accontentarsi».
Hai avuto mai dei dubbi sulla tua carriera, dei momenti in cui ti sei chiesto se fossi veramente all'altezza? «Intorno al 2014 ho avuto un momento molto basso. Con il 2015 è stato un biennio veramente brutto. Avevo un gruppo prima (i Troupe D'Elite, ndr), con cui nel 2012 firmammo con “Tanta Roba”, l'etichetta di Gué Pequeno, ma non andò bene dal punto di vista della critica. Forse abbiamo anticipato un po' troppo, di tre o quattro anni, quello che sta andando bene adesso, come la trap, le sonorità veramente USA, che abbiamo cercato di importare per primi. Eravamo veramente i primi ragazzini a cercare di entrare in quel mondo con un qualcosa di diverso e non con il rap classico italiano. La critica non ci ha accettato. Nel nostro ambiente si dice che tu devi dare quello che vuole il pubblico però dieci minuti prima che sia di moda. E' quella la chiave per il successo»
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