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Elon Musk può piacere o no, ma una cosa è certa: ha lasciato un segno indelebile in tutti gli aspetti legati alla vendita dell’auto, al suo impiego e al rapporto con i clienti. Innovazioni che - ammettiamolo - sono state dure da digerire per i carmaker tradizionali, ma che nessuno ha potuto permettersi d’ignorare. Anche perché in certi casi si tratta di passaggi obbligati per entrare in concorrenza sullo stesso terreno di Tesla.
I principali marchi auto, storicamente, non si sono mai preoccupati del carburante da mettere nei serbatoi, non è mai stato un loro problema, vendere petrolio è un affare lucrativo ma ben poco appagante dal punto di vista tecnico e commerciale. Ovvio che Tesla ha dovuto adottare un approccio diverso, inventando una rete di distribuzione prima ancora di costruire un’auto in serie, e in questo ha acquisto un vantaggio quasi incolmabile, ancor oggi insuperato, che fra poco porterà Tesla ad essere anche un player inarrivabile come rivenditore di energia. Il tempo perso alla lunga può essere recuperato, ma per quanto i vari consorzi tipo Ionity e gli accordi di roaming facciano progressi, forse la strategia vincente sarebbe stata (qualche anno fa) di allearsi con Tesla, magari in un segmento di mercato non concorrenziale, per esempio quello delle utilitarie.
Ok, nessuno si aspettava che il lockdown sanitario cambiasse le regole sociali, ma bisogna riconoscere che il rivoluzionario approccio di Tesla alla vendita è nato in tempi non sospetti, facendo di colpo aprire gli occhi su una questione spinosissima: ma una rete di vendita serve davvero? Il duro mestiere di concessionario d’auto, che ha subìto colpi pesantissimi dopo le varie crisi economiche dal 2010 in avanti, sembra messo del tutto da parte. Le Case auto sono dilaniate dall’interno fra la necessità di proteggere la vendita tradizionale “vis a vis” e l’irrinunciabile presenza online “simil-Tesla” che fra l’altro realizza grandi risparmi: secondo uno studio di Accenture pubblicato su Automotive News Europe il tempo medio passato da un venditore “classico” per occuparsi di un cliente è di 5 ore mentre per Tesla è di 3 ore. Ma non solo: la politica del prezzo fisso (“zero sconto”) applicata dal marchio americano annulla il tempo passato dall’acquirente a cercare di ridurre il prezzo, un compito che riempie l’80 della trattativa e per la maggior parte dei compratori è fastidioso.
Ebbene, si, nel mirino di Elon ci siamo anche noi giornalisti e le pubblicazioni (cartacee e online). Già da qualche anno il boss ha smantellato i suoi Press Department riducendo al minimo indispensabile i contatti con i media e cancellando del tutto le forme tradizionali di pubblicità. E come li ha sostituiti? Semplice, con i Tesla Owners, i proprietari che sono stati per anni ben assistiti e incoraggiati dall’interno dell’azienda (ora un lo sono po’ meno) e sono proprio loro i più assidui ambasciatori della tecnologia Tesla. Per incentivarli è stato attivo per molti anni un programma referral, che garantiva ricariche gratis per ogni nuovo contratto. I social sono importanti, ma non così tanto per annunciare le novità di prodotto: raramente Tesla interviene in modo ufficiale, riservando a Elon la quasi totalità dei post della natura più varia (da SpaceX a Neuralink ai Dogecoin).
Attenzione, se fino ad ora abbiamo preso atto di vere e proprie rivoluzioni innescate da Tesla nel mondo automotive, sul piano dell’assistenza clienti le cose non sono così diverse dal consueto, e funzionano peggio che nel mondo dei motori termici. Le auto si guastano, si sa. Si ammaccano, vanno in tilt e non si aprono più, si deteriorano col tempo. Le elettriche, naturalmente, hanno problemi diversi dal termico e intrinsecamente sono più affidabili, ma non vuol dire che non abbiano dei difetti per i motivi più diversi. Per esempio, Tesla ha avuto in passato seri problemi di qualità per la verniciatura, per l’accoppiamento delle lamiere e delle guarnizioni, per il funzionamento dei display, per l’usura dei sedili. Tutte cose che un concessionario “tradizionale” può affrontare in tempi accettabili e con disagi ragionevoli per i clienti, ma una rete di centri di assistenza (compresi la gestione dei ricambi e la formazione del personale) è una faccenda complicatissima da realizzare partendo da zero. Un esempio: per intervenire con una saldatura sulla carrozzeria di alluminio di una Model S serve una “camera bianca” a prova di contaminazione. Sta di fatto che le più frequenti lamentele che infiammano la rete riguardano costi e tempi di riparazione, nonché gli spostamenti necessari. Al momento, secondo il sito Tesla, i Centri attivi sono sette, e a sud di Roma c'è il deserto. È vero che con la diagnostica da remoto, che è ottima, molti problemi di tipo elettrico o software si possono risolvere ma gli aggiornamenti periodici in realtà prevengono il loro verificarsi.
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EUSales@tesla.com
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