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Auto pubbliche che si guidano da sole, senza alcun conducente, e che portano i clienti da una parte all'altra della città in completa autonomia. È la nuova frontiera delle self-driving car, e cioè delle vetture così intelligenti da non aver bisogno di nessuno che inserisca le marce, acceleri, freni o sposti il volante di guida, e che riescono a trasportare le persone in qualsiasi posto venga loro richiesto (entro un ragionevole raggio d'azione cittadino). I taxi robot sono spuntati per la prima volta negli Stati Uniti, a San Francisco con Waymo e in Arizona con Phoenix, non senza qualche problema di intralcio al traffico e di accettazione da parte del pubblico, ma la loro consacrazione sta avvenendo in Cina. Le autorità locali dell'immenso Paese asiatico, da Pechino a Guangzhou, hanno consentito agli operatori nazionali di iniziare a gestire corse in robotaxi per il pubblico e ci sono numerose startup e aziende che ambiscono a conquistare, meglio e prima delle rivali, l'immensa prateria rappresentata dalla guida autonoma in versione taxi (in attesa del presumibile passaggio alla guida autonoma privata). Apollo Go, l'unità di robotaxi del colosso hi-tech Baidu, utilizza già i suoi veicoli senza conducente in alcuni distretti della megalopoli di Wuhan, 24 ore su 24, sette giorni su sette. In strada se ne contano oltre 500 e l'obiettivo dell'azienda consiste nell'aumentarli a mille unità prima della fine dell'anno.
Non c'è solo Apollo Go da tenere in considerazione. Anche altre aziende cinesi di guida autonoma come AutoX.a, Pony.ai e Saicmotor hanno ottenuto licenze commerciali a Shanghai, e presto offriranno i loro servizi di taxi senza conducente in alcune parti della città. Lo scorso gennaio, diversi ministeri cinesi avevano pubblicato un piano per promuovere le auto connesse al cloud, dando il permesso alle aziende di effettuare test di almeno 200 veicoli senza pilota in varie megalopoli e province. L'innovazione è ancora in fase embrionale, ma sono emersi i primi feedback. Ad esempio, usando l'applicazione Apollo Go notiamo come un viaggio a Pechino in robotaxi di 45 minuti, dall’aeroporto di Daxing ad un sobborgo meridionale della capitale, costi 193,84 yuan (circa 24 euro). Un viaggio di 16 minuti all’interno di quel sobborgo costa invece 10,36 yuan, quindi la metà della tariffa di 20 yuan elencata dalle app di ride- hailing, quelle che gestiscono i taxi “normali”. Insomma, i robotaxi costano la metà. In generale, tutto questo segna l'inizio di una nuova guerra su più fronti, che non è solo la classica competizione tecnologica tra grandi potenze, ma anche una battaglia disputata dalle singole aziende per accaparrarsi le migliori quota di mercato, nonché un braccio di ferro tra i robotaxi e i tassisti tradizionali. Preoccupati, questi ultimi, di perdere il loro lavoro.
Il fulcro del modello di business dei robotaxi sembrerebbe essere il seguente: accumulare rapidamente utenti e quote di mercato tramite prezzi bassi e poi realizzare profitti attraverso altri mezzi, come l'aumento degli stessi prezzi o con la pubblicità. Un modello del genere ricorda quello adottato dai player del bike sharing made in China, ma anche da Didi Chuxing, la rivale cinese di Uber, che ha utilizzato un approccio simile, inizialmente attraendo un gran numero di utenti con prezzi bassi e poi aumentandoli gradualmente per raggiungere la redditività. In attesa di capire quali saranno le aziende da tenere d'occhio, e quando e in quali termini questa rivoluzione stravolgerà la mobilità europea, sappiate che il mercato globale dei robotaxi era valutato 1,71 miliardi di dollari nel 2022 ma che dovrebbe raggiungere i 118,61 miliardi entro il 2031. L'applicazione della tecnologia di guida autonoma ai taxi, e poi alle auto private, non è solo una conseguenza del progresso tecnologico, ma anche (e soprattutto) una profonda sfida ai modelli aziendali e alle strutture sociali esistenti.