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Dopo poco più di due mesi e mezzo a Wuhan, la città epicentro della pandemia di Coronavirus, le autorità hanno disposto la fine dell’isolamento per la cittadinanza.
76 giorni sono passati dall’avvio del “lockdown” nel capoluogo della provincia di Hubei e allo scoccare della mezzanotte in milioni si sono riversati sulle strade, provvisti di maschere, occhiali ed indumenti protettivi, per raggiungere in auto, bus, treno ed aereo le città di provenienza.
La maggior parte infatti sono, secondo quanto riferisce la municipalità di Wuhan, lavoratori residenti in altre città cinesi rimasti bloccati per le misure di sicurezza adottato dopo lo scoppio dell’epidemia. Tra di loro sono numerosi i lavoratori del settore sanitario.
Imponenti e molto strette le misure di sicurezza, con controlli stradali ed agli imbarchi, dove viene rilevata la temperatura e controllata la veridicità delle generalità anche attraverso un certificato di viaggio e la scansione di un codice univoco assegnato ad ogni persona attraverso una app che ne certifica il buono stato di salute.
«Da quando le autorità cinesi il 23 gennaio scorso hanno imposto la quarantena, sono uscita solo due volte, perché le prime due/tre settimane ancora si poteva andare a fare la spesa. Poi da allora mai più. La spesa, come già prima della quarantena, la facevo attraverso le app», ha raccontato ad Adnkronos Sara Platto, professoressa associata di Comportamento e benessere animale alla Facoltà di Scienze Biologiche della Jianghan University di Wuhan, dove vive da otto anni.
«Io sono stata molto fortunata anche perché la mia università ogni due settimane mi mandava scatoloni pieni di generi di prima necessità, oltre a mascherine e a occhialoni protettivi. La prima volta addirittura 50 chili di farina. Hanno voluto sapere quanta gente vivesse in casa e poi hanno moltiplicato tutto per due. Tante cose le ho regalate ai miei vicini», è la sua testimonianza.
Intanto, stando a quanto riferiscono le autorità, si sono azzerati i nuovi casi di positività rilevati a Wuhan. «Zero nuovi casi non significano però rischio zero e la rimozione del blocco sui trasporti non significa la rimozione delle misure di prevenzione e controllo, così come l'apertura delle porte della città non significa l'apertura delle porte di casa», avverte Hu Shuguang, a capo del comitato cittadino per la prevenzione ed il controllo dell’epidemia.
Secondo quanto riporta il Changjiang Daily, sette fabbriche automobilistiche di Wuhan, che è anche un importante centro industriale, stanno gradualmente riprendendo le esportazioni. E’ il caso di SAIC-GM, dove sono tornati al lavoro 6.000 addetti e che, per la prima volta dal 18 marzo, ha potuto esportare i veicoli realizzati nella città-focolaio dell’epidemia in Cina.
«I clienti in Uzbekistan hanno ordinato un totale di 1.500 SUV Chevrolet Explorer. Nonostante l'impatto dell’epidemia, la società ha superato molte difficoltà con la vigorosa assistenza dei dipartimenti governativi. I primi 216 nuovi veicoli stanno per essere consegnati ai clienti come inizialmente previsto e altri 216 saranno spedito di nuovo la prossima settimana attraverso la ferrovia lungo la “Belt & Road”», ha spiegato Dashen Shen, direttore generale dello stabilimento di Wuhan di SAIC-GM.