WRC17. Lorenzo Bertelli: “Bisogna farlo seriamente, come tutto!”

WRC17. Lorenzo Bertelli: “Bisogna farlo seriamente, come tutto!”
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Lorenzo Bertelli, unico Italiano nel Mondiale WRC, è pronto a lasciare, si spiega così il ridottissimo programma 2017, in favore dell’impegno nell’azienda di famiglia. La sua esperienza è l’interessante “spaccato” di quel Mondo
24 marzo 2017

Lorenzo Bertelli, quasi 29 anni. Lombardo o toscano? A mio insindacabile giudizio evidentemente più aretino che milanese. Di buona famiglia, buonissima, di quelle con un DNA spaventosamente contrassegnato da intere catene di cromosomi a caratterizzazione sportiva. È un personaggio, nel WRC “uno di loro”, come pochi. Basta guardare e osservarlo, vedere come si muove tra i compagni di viaggio e come gestisce la sua partecipazione al Mondiale. Appartenere a una famiglia con un doppio nome importantissimo non gli è bastato ad evitare una lunga gavetta. Difficile, faticosa e… istruttiva che, tuttavia, ha contribuito a “formare” il Pilota ma anche il Manager. Dimodoché la sua è un’esperienza globale molto interessante, perché attraversa come un ponte gli aspetti più disparati della partecipazione al WRC. È chiaro che è più facile avvicinarsi a un mondo complesso, e costoso, se ci si chiama Bertelli, o Prada, piuttosto che Batini, ma resta il fatto che lo Sport ti misura con il cronometro e non attribuisce alcun valore allo stato anagrafico o al 730. E resta il fatto che il WRC non è un party al quale si partecipa, invitati o imbucati, ma una palestra di vita come molte altre, più o meno spettacolari o veloci, nella quale applichi e sviluppi, essenzialmente, i tuoi valori.

Quello che è più interessante, secondo noi, è che Lorenzo Bertelli, ha preso il WRC come una cosa tremendamente seria, vedremo poi perché e, buon sangue non mente, non si è limitato a tenere le mani sul volante ma le ha usate per giocare tutte le carte dell’ambiente, da Pilota e da Manager, appunto.

Va forte, Lorenzo Bertelli? Potrebbe andare forte? Il Mondo dibatte. Molte volte fermo, a volte “falloso”, e dunque difficilmente giudicabile senza correre il rischio di essere tifosi o… faziosi, si può dire numeri alla mano che Bertelli è nei dieci del Mondo, e che di meglio e di peggio dipende da lui. Si può dire anche che è risultato velocissimo in alcune tipologie di Prove, il che certifica che il “manico” c’è. Poi siamo tutti bravi a discorrere, seduti comodi e con un bicchiere in mano, ma bisogna ricordare che per tenere in mano uno di quei volanti, e per affrontare e uscire a quelle velocità da situazioni che dovremmo, in tutta onestà, ritenere inconcepibili per la nostra abilità standard, bisogna saperci fare davvero.

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Quindi Lorenzo Bertelli è bravo, e dovrebbe dispiacerci il fatto che la stagione 2017 sarà un anno di transizione, Svezia, Messico con la nuova Fiesta WRC+, Argentina, poi forse, verso una sempre più “inevitabile” uscita di scena. Dovremmo esserlo molto meno, dispiaciuti, invece, pensando all’imprinting familiare che potrebbe restituirci, almeno part time, un ruolo di grande utilità per lo sviluppo del WRC. Ma non mettiamo il carro avanti ai buoi, e vediamo che succede ai giorni nostri.

Cominciamo con una domanda facile facile. Parliamo del debutto al Rally Messico con la nuova Fiesta WRC+, provata per la prima volta.

Lorenzo Bertelli. “Allora: da zero a dieci, e considerando il mio programma, sono soddisfatto da sei e mezzo. Nel senso, è vero che abbiamo fatto un test prima del Messico, ma è anche vero che è venuto giù un nubifragio, e quindi di chilometri utili ne abbiam fatti ben pochi. Mi ero posto l’obiettivo di avere lo stesso passo delle ultime gare dello scorso anno con la vecchia macchina, vale a dire circa un secondo, un secondo e due al chilometro in più rispetto al passo dei primi, qualche volta sotto. La Gara, purtroppo, è iniziata male per il problema al motore subito al primo giorno. Con la mezza giornata saltata con le macchine bloccate sull’autostrada da Città del Messico, e l’altra interrotta anzitempo per il problema al motore, ecco come è finita nel cestino tutta la prima giornata del Rally. Male anche venerdì, ma questa volta colpa mia, l’errore fatto a quel tornantino. Facevo fatica nello stretto, all’inizio, ma nei tratti di Prova più fluidi ho iniziato a capire la macchina e a divertirmi. E finalmente domenica, bene. Un passo migliore, sofferto nello stretto ma buono rispetto allo scorso anno, considerando che conoscevo quella macchina da diversi anni e questa da pochi giorni. Quindi soddisfatto, soprattutto per il rendimento di domenica. Dunque, come a scuola, sei e mezzo.”

Dalla vecchia alla nuova macchina. Vero che in Messico le condizioni sono molto particolari, ma ritieni che sia difficili adattarsi ai nuovi bolidi?

LB. “Quello della potenza, in Messico, è l’ultimo dei problemi, poiché i valori sono simili a quelli della “vecchia” al livello del mare. In realtà la novità in cui mi sono imbattuto in Messico è l’effetto dell’aerodinamica sulla percorrenza delle curve veloci. Si sente che la nuova WRC+ tiene di più, e quello che devo capire ancora meglio è il comportamento del differenziale centrale attivo, che invita ad una guida più pulita e meno impostata sulle curve. Credo anche che sia il particolare tecnico delle nuove Macchine che può farti fare il salto di qualità. Se lo sai usare!”.

Spieghiamo meglio cosa succede nelle curve veloci?

LB. “Facciamo un esempio. Ci son curve, anche in Messico, che si facevano “in pieno”. Allora mi dicevo che, con la nuova Macchina, saremmo stati un po’ più al limite, che avremmo dovuto “levare”. No, si riesce a guidare in pieno anche disponendo di più velocità. Questo è il contributo della aerodinamica alla performance di guida. Arrivi più forte, ma resti in pieno, a volte anche di più. Stiamo parlando, naturalmente di velocità sopra i 130-140 chilometri all’ora, quando cioè l’aerodinamica può far sentire il suo effetto.”

Il programma di quest’anno?

LB. “Al momento un solo altro Rally in programma, confermato. Argentina. Poi vedremo per una o due gare ancora. L’anno scorso ho preso una decisione, legata ad una scelta di vita, di lavoro, e mi era sembrato che il momento buono fosse proprio questo del cambio della Macchine. Poi, Pirelli si è ritirata, e con M-Sport abbiamo solo un accordo parziale. Ma alla base della decisione c’è una scelta di vita.”

Facciamo allora un passo molto indietro, se ti va. Hai una tradizione familiare di Sport ad altissimo livello, ma in direzione molto diversa da quella che hai preso tu. Tuo padre è un grande della Vela mondiale, e tu ti sei avvicinato ad uno Sport in un certo senso in contraddizione con quello. Come si spiega?

LB. “Si spiega con le sensazioni che danno la Vela e il Rally. Innanzitutto la Vela fa impazzire anche me, sia chiaro, ma la risposta più concreta è che io sono un fan dell’adrenalina, e la barca a vela non ti da le scariche che ti arrivano stando dentro una macchina da gara. Credo che la risposta semplice sia questa.”

E come sei arrivato proprio al Rally?

LB. “Per caso, e gara dopo gara. All’inizio una prova, e la macchina si è rotta quasi subito, così ne ho fatta un’altra, e così via. Una gara tira l’altra, magari per vederne una fatta bene, e poi piano piano da gioco è diventata una cosa seria, e dopo ancora un’attività coltivata con un approccio e un impegno di livello professionale. Diciamo anche che, dal punto di vista dell’adrenalina, il Rally è un po’ una droga.”

E quanto ti ha impegnato il Rally, dunque, e quanto ti ha messo in contrapposizione con un piano di vita e di lavoro diverso da quello dedicato al volante?

LB. “Io ho sempre detto che quando si arriva al WRC, o si fa questo o è tempo perso. Ogni giorno ci si sveglia pensando a cosa si deve fare per andare più forte alla prossima gara. L’anno scorso ho fatto praticamente solo questo, o quasi, ed è stato difficile riuscire a far conciliare il Rally con l’attività del lavoro. Anche per questo mi sono convinto che il WRC esige che tu pensi solo a quello. Un po’ per come sono fatto io, che mi sento in dovere di assumermi seriamente ogni responsabilità. Sentivo che arrivava l’ora di doverne prendere in azienda, e ho fatto fatica a coniugare i due verbi allo stesso tempo. Inoltre la Gara ti porta via molta energia, oltre che durante la Corsa anche in fase di preparazione, e a me non è mai piaciuto correre per il solo fatto di farlo. Ho sempre tenuto a migliorarmi e a cercare di rendermi competitivo. Non è correre per correre, finire la gara, il senso di tutto questo per me. È migliorare, ottenere comunque il massimo possibile. Farlo, insomma, con senso di responsabilità. Ecco che, dall’impossibilità di far conciliare le due attività dando il massimo in entrambe, è nata la decisione di fermarmi. Sì, perché un programma con una o due gare ancora quest’anno non è niente di più di questo.”

Perché un tuo Marchio?

LB. “È nato come un gioco, a scuola. Non sapevo che nome e logo dare al Team e ho scelto quello. Fuckmatié World Rally Team. Così è nato il Marchio, e dopo l’idea di diffonderlo anche con il merchandising.”

Ma non era più comodo correre con qualcun altro, ovvero senza mettere in piedi il tuo Team?

LB. “Se devo essere sincero, avendo io zero esperienza e poca introduzione in questo mondo, ho buttato via i primi tre-quattro anni perché ho lavorato con persone che non mi hanno instradato nella direzione giusta. Non avendo esperienza alcuna ho avuto molti guasti e buttato via tanto tempo. In quei primi anni direi che ho fatto molta più esperienza come manager che come pilota. Ora saprei come seguire e cosa far fare a un giovane alle prime armi, e come indirizzarlo, anche a diventare Campione del Mondo. Però è un’esperienza che ho vissuto sulla mia pelle.”

In Messico c’erano anche i tuoi genitori. Stanno entrambi dalla tua parte?

LB. “Sì, i miei genitori mi hanno sempre appoggiato. Sanno che l’ho presa come una cosa seria e questo è essenziale perché riescano a condividerla. Se fosse diventato o rimasto un gioco, se avessi corso tanto per correre probabilmente, prima o poi, sarebbe arrivato un “richiamo”, ma siccome non è nella mia indole fare le cose meno che seriamente, i loro e i miei modi di pensare coincidevano, e da lì l’appoggio.”

Si può dire che sei diventato “grande” prima ancora che ti chiedessero di farlo?

LB. “Sì, è esatto”.

Torniamo al Mondo. Mi pare, a colpo d’occhio, che tu abbia una buona relazione in particolare con alcuni Piloti, come Tanak o Mikkelsen. È così?

LB. “Sì, è vero, ma diciamo che non ho difficoltà ad avere buone relazioni un po’ con tutti. Con Ott ci conosciamo da tanto tempo, già dal WRC2, ed è forse il Pilota al quale sono più legato, ma la relazione è buona anche con Seb, con Andreas, con Dani…”

Vuoi dire, quindi, che non ce n’è uno particolarmente “odioso”?

LB. “No, no. Neanche per idea. Anche perché magari da fuori qualcuno potrà sembrare un po’ così così, ma in realtà siamo tutti dei ragazzi normali, appassionati, che fanno un bellissimo Sport. Non c’è mai quell’aria di superiorità che puoi trovare in Formula 1, per esempio, e forse questo dipende anche dal fatto che non corriamo mai uno a fianco dell’altro, che non ci sono mai “sportellate”.

Ci sono, invece, dei Piloti che hai preso come modello di riferimento?

LB. “Diciamo che non ho mai avuto dei veri e propri idoli, ma a suo tempo mi sono ispirato molto a Petter Solberg, che è stato Campione del Mondo e che lo è diventato due volte anche nel RallyCross. L’ho conosciuto e l’ho scoperto essere anche molto simpatico, un grande personaggio. Credo che uno come lui manchi al nostro Mondo. Poi, di sicuro, Ogier, Loeb. Li ammiro come professionisti e per la loro capacità di fare certe cose in quel modo straordinario, e quindi sono fonte inesauribile di ispirazione. Ammirazione e grande rispetto, ecco quello che provo per gente come loro.”

E come potresti descrive il Signor Wilson, il Manager di M-Sport che ti fornisce la Macchina da Corsa?

LB. “Malcolm? Come possiamo definirlo? Ecco, sì. Un grande appassionato di Auto che è diventato anche imprenditore, e ha continuato a fare quello che era la sua passione. Lo vedo un po’ come mio padre e la Coppa America. Wilson è un personaggio unico nel Mondo dei Rally, direi, nessuno come lui è riuscito a portare avanti così bene il suo lavoro, al punto da essere, pur da privato, così competitivo nel confronto con le Case e i Team ufficiali.”

Tu hai un cognome, anzi se fossi spagnolo ne avresti due ben in vista, “pesanti”. Tali da poterti condizionare anche per il solo fatto di chiamarti così. In che atmosfera vivi questa appartenenza, e in che modo si relaziona nel tuo rapporto con gli altri, o viceversa degli altri con te?

LB. “Di solito chi non mi conosce parte sempre un po’ prevenuto. Direi che è una consuetudine abbastanza italiana, che porta a mettere delle etichette con una certa facilità. Diciamo che ci sono abituato e che me ne faccio una ragione, e del resto non vedo perché non dovrei. Nel portare due cognomi come i miei ci sono tanti vantaggi e ci può benissimo stare anche qualche svantaggio. Diciamo anche che una volta conosciuto, tuttavia, tutte quelle persone che mi avevano affibbiato un connotato si sono ricredute, e hanno scoperto in me nient’altro che la persona normale che sono. Io mi comporto come mi hanno educato i miei genitori, secondo quello che mi hanno insegnato essere giusto e quello che è sbagliato. È chiaro che son un ragazzo privilegiato, ho la fortuna di aver fatto cose che molti altri avrebbero voluto fare ma che non hanno potuto, ma non ho una colpa originaria da espiare. In un certo senso capisco che succeda anche questo, lo accetto senza alcun problema e, anzi, se devo dire, rafforza in me, comunque, quella necessità di essere serio, di pensare a quale è il mio dovere. Ripeto, anche in questo caso, ho affrontato questo Mondo con la massima serietà, e anche per rispetto di quelle persone che non hanno la possibilità di farlo. Credo che sia un modo giusto di affrontare le cose, nello Sport come nel lavoro, una costante che dovrebbe essere sempre rispettata.”

Due domande simili, alle quali puoi anche non rispondere, visto che c’entrano marginalmente. La prima è questa: pensi che tuo padre vorrà tornare alla Coppa America?

LB. “Secondo me, se glielo chiediamo adesso la risposta è no. Così non gli piace. A parte New Zealand, tutti gli altri si comportano come team satelliti di Oracle per fare il loro circuitino di regate con le loro regole. Si sono già messi d’accordo che nel caso vinca questo o quello, comunque manterrebbero il format e le regole già decise. Un circuito Coppa America che va contro quello che è lo spirito della Coppa America. Da sempre chi la vince fa e impone le regole, e le inventa più difficili che può per rendere la vita durissima agli avversari. Ma non esiste che tu ti metta d’accordo con gli avversari già da prima, per creare quel circuito di interessi e mantenere in funzione il proprio giocattolino. Quindi noi speriamo che vinca New Zealand, perché sono gli unici che la pensano come noi e che posso quindi cambiare le regole riportandole allo spirito originale. Se questo succede, poiché mio padre è innamorato della vela quanto io lo sono del WRC, credo che a quel punto gli sarà molto difficile dire di no!”

Seconda domanda, meno marginale. Si è parlato, nell’ultimo scorcio rocambolesco della stagione, del fatto che tu potessi, non so se il termine è gusto, “rilevare” il pacchetto Volkswagen. È vero?

LB. “Voci, per lo più. Ci sono stati dei pour parler, sono venuti da me a chiedere, così come senza dubbio hanno chiesto e si sono rivolti anche ad altri. Ma la verità è che agli altri Team non andava che Volkswagen, dopo il ritiro, continuasse a competere. Mi è stato chiesto, per il budget e per riuscire a fare il Team, ma niente di più. La FIA aveva deciso, non si capisce bene perché, che potessero iscriversi solo in quanto Team di Casa Ufficiale, per ragioni di sicurezza, e che dovessero correre tutto il Mondiale con due Macchine. Questo non era possibile ed era stata chiesta una deroga, iscriversi ma per fare poche gare, un po’ come Citroen lo scorso anno, ma quest’anno la porta era chiusa dalla nuova regola e i team ne son stati ben contenti. Non è una decisione “sportiva” ma, viste le regole, legittima e corretta. Uno sportivo vero avrebbe detto “lasciamoli correre!” ma qui ci sono in ballo anche altre dinamiche.”

Di solito chi non mi conosce parte sempre un po’ prevenuto. Direi che è una consuetudine abbastanza italiana, che porta a mettere delle etichette con una certa facilità. Diciamo che ci sono abituato e che me ne faccio una ragione, e del resto non vedo perché non dovrei. Nel portare due cognomi come i miei ci sono tanti vantaggi e ci può benissimo stare anche qualche svantaggio

C’è qualcosa che vorresti dire, sempre di questo Mondo?

LB. “Sì, vorrei dire una cosa. Ho fatto tanto da Team Manager, e vengo da un mondo dove si sa cosa vuol dire vendere bene un prodotto. Mi dispiace che dopo tanti anni di esperienze, di regole, di spettacolo, di discussioni sulla sicurezza e di propositi, mi spiace dirlo, questo Mondo del WRC continui a galleggiare in un limbo di decollo-non decollo. Mi son reso conto di come è, e credo che, di base, sia gestito in un modo che sarebbe da rivedere…

Vuoi dire che se fosse gestito come un’azienda, la tua azienda, ci sarebbe qualcuno da licenziare?

LB. “Esatto. No, non esatto. Non da licenziare, diciamo da richiamare all’ordine, magari, a un maggiore coinvolgimento, a una maggiore competenza e prontezza di riflessi. È normale, perché il WRC non è solo management ma è anche politica. Perché è collegato alla politica FIA, perché di fatto è contingente al mondo in cui vive. Ci sono altri business in cui la gestione non è in mano a una maggioranza di politici e che funzionano meglio. Non sto cercando dei colpevoli, ci sono i contro e anche i pro, sto solo cercando di dire che come nella politica normale, dove spesso tutto va almeno molto a rilento, anche qui ci sono le stesse problematiche e gli stessi, incerti esiti.

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