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León, 4 Marzo. Mexico, Rally Guanajuato Corona, 13° della serie Mondiale di uno degli eventi motoristici più spettacolari, “carico” di storia e di storie, e non vogliamo fare riferimento, qui, al memorabile “tuffo” di Tanak, Fiesta e navigatore compresi, che ha fatto il giro del Mondo in uno degli “spot” più riusciti del WRC. È che il Rally del Messico ha sempre avuto una marcia in più, dovuta all’estro e quel certo agio economico, non comune, che spinge gli organizzatori a pensare addirittura a un Rally Brasile Mondiale. Del resto, chi altri può permettersi 3600 persone tra polizia federale, fuerza de seguridad pubblica, esercito, protezione civile, pompieri, croce rossa, e coprire ogni metro del Rally con un simile spiegamento di forze? Mexico è il Rally fragoroso di pubblico in delirio, ed è stato originale e grande anche quando aveva molti chilometri in meno, e qui invece è chiaro il riferimento all’edizione del 1983, la più corta della storia del WRC. Oggi, in quello che era inizialmente il Rally America, si corre oltre i 2.000 metri sul livello del mare, fino alla punta massima di 2.747 dopo la El Chocolate di 54 chilometri, e già questa è un’avventura. In altitudine i motori sono affamati d’aria, devono rinunciare a un quinto della potenza, ed è già stato Rally degli elettronici alla ricerca della migliore mappatura per minimizzare l’andicap. La riduzione di efficienza resta, e questo vuol dire punire duramente anche gli errori più piccoli con ripartenze sacrificali e frustranti, ed essere costretti a tenere “aperto” a lungo, a volte… oltre, rischiando di fare di un errore un evento agonisticamente fatale.
Cominciamo dalle Volkswagen. Da quella di Ogier o da quella di Mikkelsen? Visto che succede ancora così poco, partiamo da quella del giovane norvegese, che ha strappato il miglior tempo sui 5 chilometri e mezzo dello shakedown di Llano Grande. Sette passaggi e record, si inizia bene grazie ai test in Spagna, dice Mikkelsen, ma a un secondo e mezzo appare Thierry Neuville con la prima Hyundai, e quindi il compagno di Squadra Ogier. Un buon inizio, un buon test dei nervi, che si ripropone nella scenografica prima, avvincente speciale di apertura del Rally tra le vie del centro storico della più famosa città dell’argento messicano, tra i tunnel e i ciottolati dell’antica rete mineraria. Poco più di un chilometro, centro metri, ma sembra fatto apposta per alzare la febbre degli spettatori, urlanti e “pigiati” ai bordi delle strade, contenuti a stento. Spettacolo, purissimo.
E lì, come nelle favole, torna al successo Thierry Neuville. Un decimo di secondo sullo spumeggiante Lorenzo Bertelli, quattro sul leader del Mondiale. Se questo è il buongiorno del Rally, è anche il buongiorno di Hyundai, che presenta i suoi piani mentre da noi è ancora notte fonda. Subito dopo è la volta dei due primi passaggi della super speciale, ancora pochi metri, duemilatrecento, ancora per il pubblico, e questa volta Ogier e Ingrassia si rifanno allontanandosi di “ben” un secondo e sette dalla muta di inseguitori. Tre Volkswagen, dopo quella di Ogier anche quelle di Mikkelsen e Latvala, ma al secondo posto c’è ancora la i20 Nuova Generazione di Neuville. Poi le altre due di Sordo e Paddon, quindi Bertelli, sesto. Alla fine della prima serata di gara, pare che a soffrire di più per la rarefazione dell’aria siano le Ford, cinque in fila comprese quelle di Prokop, Tanak, Ostberg e del beniamino locale Benito Guerra Jr, che corre assistito dal Team Motorsport di Max Rendina, anch’egli in gara con una Fiesta, ma in configurazione R5.
È il centesimo Rally dell’Equipaggio che da tre anni è Campione del Mondo e da tre anni vince in Messico, senza contare che proprio in Messico Ogier ha vinto il suo primo Rally Mondiale da Junior. Non è, forse, abbastanza per imporsi di festeggiare l’occasione speciale con un successo?
Torniamo alle riflessioni. Da quando è andata in scena la super coreografica cerimonia di partenza, l’aria agonistica è diventa torrida. Una trentina di Equipaggi alla partenza, ma è già un doppio concentrato di motivazioni. No, non trenta, intanto. Nasser Al Attiyah, Mondiale WRC2 in carica, ha dovuto rinunciare. Il principe del Qatar, infatti, in lizza per la sua quarta Olimpiade, è andato a Cipro per una gara di Skeet, un allenamento obbligato per la medaglia di bronzo di Londra in predicato di migliorarsi a Rio de Janeiro. Via libera alle alternative della interessante formula di vivaio identificata dalla nuova onda delle R5, Skoda, ma anche Ford e, al più presto, anche Hyundai.
La pressione degli stimoli, o viceversa lo stimolo della pressione, è concentrato sulla Volkswagen di Sébastien Ogier e Julien Ingrassia. È il centesimo Rally dell’Equipaggio che da tre anni è Campione del Mondo e da tre anni vince in Messico, senza contare che proprio in Messico Ogier ha vinto il suo primo Rally Mondiale da Junior. Non è, forse, abbastanza per imporsi di festeggiare l’occasione speciale con un successo? E se così non fosse, se cioè Ogier e Ingrassia ritenessero che il Rally può essere semplicemente gestito in ottica Mondiale, ecco spuntare Jost Capito, il Super Manager di VW, a ricordare che le Polo R hanno vinto undici gare consecutive a partire dal Portogallo dello scorso anno, con la vittoria in Messico salirebbero a uguagliare il proprio record di 12 successi, da Australia 2013 a Finlandia 2014, e con un nuovo successo si aprirebbe la prospettiva per migliorarlo. Dunque le Volkswagen “devono” vincere. Non ci sono le Citroen, in Messico, e per i francesi di Matton è finalmente e effettivamente l’annunciato anno sabbatico in attesa della nuova Macchina per il 2017, ma le Hyundai di Nandan sono ripartite con uno step evidente, che potrebbe essere riduttivo considerare solo di avvicinamento. E insieme alla fame d’aria, c’è fame di vittoria. Una fame contagiosa in Messico. E quindi è battaglia.
Ma state calmi. In fin dei conti è stato solo un prelibato aperitivo. Sette prove speciali sono previste per la giornata di venerdì, e altre nove per quella di sabato. Due “sole” PS la domenica conclusiva, ma è un bene che siano ancora così lontane. Oltre al Power Stage finale di Agua Zarca, infatti, sull’esito del Rally incombe lo spettro della Guanajuato, non a caso Speciale che da il nome alla terza prova del Mondiale. Ottanta virgola zero zero chilometri! E da qui alla Guanajuato, assetto da terra e gomme dure, per il caldo, i sassi e il cemento trasversale agi sterrati. Quattrocento chilometri di speciali infernali, su un terreno così scivoloso che “sembra finalmente di essere in Svezia!”