Winkelmann, Bugatti: «Una supersportiva elettrica oggi? Tra 10/20 anni sarà obsoleta»

Winkelmann, Bugatti: «Una supersportiva elettrica oggi? Tra 10/20 anni sarà obsoleta»
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Al Salone dell’Auto di Torino al Parco Valentino abbiamo avuto modo di incontrare il presidente di Bugatti, Stephan Winkelmann. Ci ha raccontato l’essenza e gli obiettivi di un marchio unico ed esclusivo
8 luglio 2019

Bugatti nel 2019 festeggia il 110° anniversario della sua fondazione: per celebrare questo traguardo ha presentato l’esclusiva La Voiture Noire al Salone di Ginevra. Un compleanno a cifra tonda, però, è anche occasione di bilanci e di piani per il futuro: ne abbiamo parlato con il presidente di Bugatti, Stephan Winkelmann, in occasione del Salone dell’Auto di Torino al Parco Valentino.

Il 2019 è iniziato con il premio per la migliore concept a Villa d’Este, ma soprattutto è l’anno del vostro 110° anniversario

Stephan Winkelmann: «Si tratta di un premio importante, perché dà sicuramente notorietà alla vettura e al marchio. Villa d’Este è un contesto che a mio avviso per un brand come Bugatti è molto importante. Abbiamo iniziato l’anno festeggiando il 110° anniversario, e La Voiture Noire è una vettura che abbiamo dedicato alla storia, in ricordo di una delle quattro Atlantique costruite, andata persa all’epoca. Il 2019 è un anno importante: abbiamo tanti progetti, lo vogliamo dedicare specialmente ai nostri clienti e ai fan». 

Allo stato attuale la tecnologia elettrica garantisce ai vostri clienti il livello di aspettativa che appartiene al vostro DNA?

«Se parliamo di supersportive, credo che ci sia ancora strada da fare, soprattutto per la riduzione del peso. La potenza delle batterie c’è, ma non basta per un marchio come il nostro. D’altro canto oggi il cliente di una supersportiva cerca anche un pezzo da collezione, per cui se acquista adesso un’elettrica, tra 10/20 anni avrà in possesso una vettura obsoleta. Un’auto con motore a scoppio avrà sempre una storia e un futuro nell’ambito di una collezione. Per quanto riguarda invece un ipotetico secondo modello ad uso quotidiano, penso che una vettura elettrica debba essere comunque la più performante del segmento, perché Bugatti ha questa prerogativa. In questo caso, potrebbe essere una delle opzioni». 

"Se è paragonabile non è una Bugatti". Come lavorate quando progettate una nuova auto per rispettare sempre il vostro motto?  

«Se si parte da quello che si aspetta la gente, si sbaglia, perché bisogna andare al di là delle aspettative. Ogni modello va programmato con anni di anticipo ed avere un ciclo vita di almeno una decade. Ora poi stiamo assistendo ad una rivoluzione nel mondo dell’auto, quindi è ancora più difficile prendere decisioni, anche perché ci sono molti più concorrenti sul mercato. La differenza naturalmente la deve fare il prodotto, su questo non ci piove. Il nostro vantaggio è la tradizione, che ci dà credibilità nelle cose che facciamo. La sfida è mantenere la promessa che facciamo ai clienti. La ricerca costante, l’aerodinamica, i materiali, motorizzazioni, innovazioni in genere: studiamo tutto per capire cosa possa superare il test del tempo. Noi i clienti li ascoltiamo tutti i giorni, ma superare le loro aspettative è una conditio sine qua non». 

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Lei in precedenza ha guidato Audi Sport e Lamborghini, è utile in Bugatti questa sua esperienza, o gli obiettivi sono troppo diversi?

«Per Lamborghini gli obiettivi erano diversi: nel mio periodo trascorso lì abbiamo lavorato alla Aventador, alla Huracan e abbiamo posto le basi per la Urus. Dimenticando i volumi, sotto altri aspetti Lamborghini e Bugatti sono paragonabili, anche se naturalmente dove finisce una deve iniziare l’altra. È quella la complessità: noi ci autolimitiamo come volumi di produzione, e questo naturalmente rende ancora più difficile portare l’azienda ad avere abbastanza soldi da reinvestire. Ci stiamo lavorando; è un compito certosino, però abbiamo avuto buoni riscontri nel 2018, chiudendo l’anno in attivo. Sono molto soddisfatto di questo. Siamo sempre alla ricerca di opportunità di business nascoste». 

Perché quest'anno Bugatti era alla Design Week?

«Io sono convinto che la notorietà sottolinea l’immagine. Se ci si confronta solo con i clienti e con le persone che sono in grado di acquistare le tue vetture, si sbaglia, perché il tempo va investito anche nella convinzione di rendere pubbliche le qualità di un marchio del genere. Essendo un brand piccolo, non abbiamo un budget pubblicitario grande, per cui è importante trovare modi per rendere il marchio visibile».

Per un brand come il vostro, avere una concessionaria è ancora importante? 

«Rispondo di sì, con convinzione: abbiamo bisogno di ambasciatori in giro per il mondo, non solo per la vendita, ma anche per il post-vendita. La concessionaria è poi anche un luogo di ritrovo per gli appassionati. Le nostre vetture sono votate al piacere di guida e il concessionario è un po’ un ambasciatore del marchio in un determinato paese. Noi ce la mettiamo tutta per avere una visibilità fuori dalle mura della nostra sede». 

Il vostro cliente è cambiato? Ci sono sovrapposizioni con altri marchi?

«Chi ha una Bugatti possiede decine di vetture; tra queste ci possono anche essere una Lamborghini o una Ferrari. La Bugatti rappresenta sempre il coronamento di un sogno, è quella che si acquista quando si è già provato tutto. Bugatti deve essere la marca e l’auto che ti rimane».

Dunque quasi tutti i vostri clienti sono collezionisti di una certa età?

«No, assolutamente. Naturalmente partendo da una base di 2,5 milioni di euro, le nostre auto non sono alla portata di tutti, ma ci sono sempre più persone che hanno la disponibilità economica giusta, ancora in giovane età. Abbiamo dei clienti che non hanno nemmeno 30 anni, specie in Asia». 

Quando e come decidete il prezzo di una vettura?

«Diciamo che il costo di sviluppo è molto alto, e noi ci autolimitiamo come volumi. Questo fa sì che il business case diventi molto complesso. Se nell’arco di sette o otto anni si verifica anche una crisi economica, il business case va a gambe all’aria, anche perché in questi scenari chi ha la disponibilità economica per acquistare, molto spesso, per motivi di immagine decide di non farlo. Questa è una spada di Damocle per un marchio come il nostro».

La Bugatti rappresenta sempre il coronamento di un sogno, è quella che si acquista quando si è già provato tutto

«Noi facciamo grandi investimenti, creiamo dei pezzi da collezione che aumentano di valore con il passare degli anni. Se corro il rischio di non poter reinvestire in futuro, posso creare le vetture più belle del mondo, ma non servirebbe a tenere in vita il marchio. Non concordo al 100% su quello che è stato fatto con il nostro marchio negli ultimi anni: stiamo rivedendo molte cose, ma avremo sempre una produzione limitata, con meno di 100 vetture all’anno. Se dovessimo fare un secondo modello, per me dovrebbe essere qualcosa di più utilizzabile quotidianamente, da tenere al di sotto delle 1.000 unità annue. Ci stiamo mettendo in carreggiata per essere più stabili».

Probabilmente Lei è stato scelto anche per questo

«Diciamo che personalmente l’esperienza in Lamborghini mi ha aiutato, anche se ogni marchio rappresenta un’esperienza a sé». 

L’abbiamo incrociata ad EICMA, in giro tra gli Stand: è anche appassionato di moto?

«Da ragazzo ero appassionato di moto e non di auto, forse per il fatto che sono cresciuto a Roma quando non c’era l’obbligo del casco: c’era un senso di libertà assoluto. Per me la moto è rimasta qualcosa di molto speciale, a cui tengo molto. Oggi però non ne posseggo una: mi piacciono le cose nuove, colleziono solo libri e mobili, non auto e moto. A me piacciono le café racer e le naked: se dovessi comprarne una, sceglierei questo tipo di mezzo. Alla Retromobile di quest’anno un costruttore di moto mi ha approcciato, ma ognuno fa il suo mestiere». 

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