Volkswagen Sedric, così la mobilità urbana fra 30 anni

Volkswagen Sedric, così la mobilità urbana fra 30 anni
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Abbiamo visitato il Future Center della VW a Potsdam in Germania, ove si sperimentano i vari scenari che potrà assumere il trasporto individuale e le nuove forme di automobile fra qualche decennio
27 aprile 2017

Chiamatela cabina di filovia, shuttle da aeroporto, vagoncino di funicolare, ma è un’automobile. Nel senso che si muove da sole e ha quattro ruote – anche se non si vedono perché totalmente coperte. Ma non ha un muso, né volante, né pedali, e neppure un posto per chi volesse guidarla. È la Sedric, prefigurazione di come sarà, o meglio, come potrebbe essere - secondo il Future Centre Volkswagen di Potsdam, a est di Berlino - la mobilità individuale urbana fra 30 anni. Sedric sta per self driving car.

Il concetto base è che la guida completamente autonoma, prima o poi, diventerà una realtà imprescindibile. E allora il disegno dell’auto così come la sua concezione operativa muterà radicalmente. Come dire che le Case si dovranno trasformare da fabbriche di automobili a fornitori di mobilità, rendendo disponibili oggetti che vanno da soli, che non appartengono al singolo, ma che possono essere utilizzati da chiunque e soprattutto da chi non sa, non è in grado o non può guidare. Nel futuro, veicoli completamente automatici arricchiranno le soluzioni di mobilità di molti cittadini. Veicoli utilizzati più intensamente e da persone diverse, meno spazio, meno energia consumata, maggior sicurezza e sostenibilità. E soprattutto mobilità per ognuno: adulti e bambini, pensionati e disabili, cittadini che non possiedono l’auto o non hanno la patente. E ancora, turisti che visitano una città e professionisti che si spostano da una città all’altra.

Bambini per collaudatori

Al Future Center i clienti privilegiati, dai quali ricavare suggerimenti, giudizi, esperienze, sono quindi i bambini, i non vedenti, gli anziani, i disabili. Tutti capaci e bisognosi di farsi portare da un’auto che va da sola. Al semplice tocco di un bottone, magari capace di riconoscere le impronte digitali di chi lo preme, e con opportune istruzioni a voce, ciascun abbonato al sistema, premendo il suo telecomando, si vedrà comparire davanti, rapidamente, un esemplare di Sedric pronta a condurlo dove vuole in piena sicurezza, con un abitacolo che potrà modificare a piacere secondo le sue esigenze. Segnali colorati sul telecomando indicheranno quanto manca all’arrivo della vettura, mentre i non vedenti saranno guidati verso l’auto da opportune vibrazioni. Sedric è un’auto di tutti e di nessuno. Ma è prevista la possibilità di acquistare in esclusiva l’auto intelligente: per portare a scuola i bambini, per cercarsi uno spazio libero in cui parcheggiare in attesa di ordini, per ritirare la spesa fatta per telefono al supermercato, per andare a prendere amici alla stazione o un figlio in palestra.

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Il volante non c’è più

Oggi si considerano 5 livelli di guida autonoma: si parte dal sistema che fa qualcosa, per esempio frena, assistendo il pilota nel vedere, misurare le distanze, analizzare le velocità. Poi si sale di livello, aggiungendo altri sensori che leggono le strisce bianche, poi quelli che individuano l’asfalto ove i pneumatici possono passare (distinguendolo da quello dell’altra corsia o dai marciapiedi), per continuare con sistemi che analizzano il traffico e gli oggetti che si trovano davanti. Per finire ai programmi capaci di analizzare i gesti di un uomo, compreso i movimenti delle braccia. Infatti, una vera guida autonoma deve saper distinguere fra un pedone che gesticola e un vigile che regola il traffico con le braccia. E il volante non c’è più. Perché il microchip sa decidere in millesimi di secondo (siamo a livelli inferiori a mezzo decimo di secondo) cosa fare. A Potsdam ci hanno mostrato anche i programmi che analizzano in che direzione guardano gli occhi dei passanti o di altri guidatori. E tutte queste informazioni giungono contemporaneamente al microchip che decide la guida, con una unica parola d’ordine: safety first, sicurezza innanzitutto. Del resto è ormai ampiamente dimostrato che i sistemi elettronici non sbagliano (o meglio, sbagliano molto meno dell’uomo), non si distraggono e se correttamente addestrati risolvono i problemi prima e meglio del miglior pilota. Rimane il dilemma: chi paga i danni se l’elettronica si rompe. I tecnici delle Case dicono che il risparmio di vite umane sarà comunque così elevato che i governi saranno costretti ad autorizzare la guida autonoma e che gli eventuali imprevisti saranno ampiamente coperti dalle assicurazioni.

Sette occhi e orecchie per vedere e sentire

Attualmente sono sette i tipi di sensori che rilevano l’ambiente e che comunicano al computer di bordo informazioni che nessun pilota potrebbe conoscere. Per esempio, guardano e vedono in tutte le direzioni, davanti, dietro, di lato, perfino sotto e sopra la vettura. Poi vedono di notte, anche nella nebbia, si accorgono se un ostacolo è caldo, se è fermo, se si muove. Radar, lidar (radar a raggi laser), telecamere mono, telecamere stereo, ultrasuoni, infrarossi, ecco gli occhi che vedono. E di alcuni ce ne sono addirittura 5, in punti diversi.

“E quando i passeggeri non dovranno più occuparsi della guida – dice Ulrike Müller, a capo del Future Center di VW – noi dovremo studiare cosa fargli fare, quali saranno i loro desideri, come occuperanno il loro tempo di viaggio”. Per questo, al posto del parabrezza troviamo un cristallo OLED che si trasforma in televisore, in display, in schermo, in mappa stradale, in libro da leggere, che tuttavia può tornare a essere trasparente. Così il Centro di Potsdam è tappezzato con vetri che riproducono realtà virtuali in grado di modificare a piacimento l’ambiente, i colori, i suoni e perfino i profumi e di creare l’atmosfera ove le idee innovative trovano il terreno fertile per tradursi in progetti. I 250 progettisti? Ragazzi e ragazze, molto giovani, creativi, con la libertà di vestire, parlare, inventare a ruota libera. Il Gruppo VW ha 37 centri ricerca dislocati in tutto il mondo ove lavorano 2000 tecnici che studiano come soddisfare la domanda di mobilità ricorrendo a intelligenze artificiali, sistemi di interconnessione e realtà virtuali. Ma soprattutto studiano come utilizzare i vari sensori e le varie tecnologie che ogni giorno si rendono disponibili. Per esempio, una piastra riempita con un reticolo di sensori a ultrasuoni può emettere un fascio di segnali paralleli che si comporta come un flusso d’aria: passando una mano in questo fascio si può riprodurre su uno schermo la deviazione dei raggi provocata dalla mano, proprio come se fosse immersa in un vento colorato. Il sistema diventa quindi in grado di leggere perfettamente i movimenti della mano e di interpretarli usando intelligenze artificiali.

Lo chiamavano Ambrogio

Sedric è una delle versioni possibili, la sommatoria, il banco di prova di tutti i sistemi pensati per la mobilità del futuro. E non è detto che la rappresenti esattamente, ma è certo che ad una ad una, alcune delle soluzioni sperimentate per Sedric troverà applicazione nelle VW dei prossimi anni.

Al progetto Sedric collaborano attualmente MOIA, nuovo brand di Volkswwagen dedicato ai servizi di mobilità, e MobVoi, una nuova azienda cinese specializzata nel riconoscimento vocale e nei controlli a voce. Al recente Salone di Shanghai queste aziende hanno rivelato il comune intento di riuscire in breve tempo a sviluppare un "personal digital assistant” di mobilità sulla base di intelligenze artificiali. Qualcosa di simile a quello che cento anni era lo “chauffeur personale” e che, negli spot televisivi del cioccolatino, si chiamava Ambrogio.

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