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Incontriamo Luigi Pirollo - ma per tutti è “Gigi” - in un bar in piazza Giorgione, a Castelfranco, dove tutto è iniziato oltre quarant’anni fa. Sì perché era proprio qui uno dei ritrovi principali di piloti, navigatori, meccanici, tifosi e sognatori, in un’epoca - siamo tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta - in cui i rally potevano rivaleggiare niente meno che con il calcio per numero di appassionati. Dalle chiacchierate infinite alla prima gara disputata il passo è breve. È il 1974, l’auto è una Fiat X1/9 e “Gigi” siede nel sedile di destra, quello del navigatore, quello che non mollerà più e continua ancora oggi a occupare, 44 anni e oltre 450 gare dopo. Nel frattempo Pirollo è diventato uno dei migliori navigatori italiani, un professionista delle note che ha corso 78 rally del Mondiale con il team Lancia nell’epoca d’oro del marchio torinese e poi sempre da ufficiale per Ford e Mazda, e quindi di nuovo in Italia, ma sempre ai massimi livelli.
Ha “navigato” alcuni dei più grandi talenti degli ultimi tre decenni (tra cui Vudafieri, Capone, Fiorio, Longhi, Liatti, Cunico, Basso e Scandola) e ha fatto da chioccia a tanti altri giovani aspiranti campioni. “Una curva lunga una vita”, verrebbe da dire, e infatti proprio questo è il titolo del libro che ha recentemente pubblicato per Giorgio Nada Editore: non un’autobiografia, ma una raccolta di avventure e imprese che restituiscono all’appassionato il sapore di un mondo, quello dei rally, che come tante cose è profondamente cambiato, e non sempre in meglio. «Bisogna avere un’infinita passione per le automobili e tanta determinazione - sintetizza Pirollo quando gli chiediamo come è arrivato da questa piazza ai vertici mondiali della specialità -. Avevo 10 anni quando andai a vedere le prime gare e a 15-16 anni già dicevo che sarei diventato campione del mondo. Bisogna crederci, sempre».
Quasi tutti sognano di fare il pilota, ma come sei finito sul sedile del navigatore? «Guidavo forte, ma è sempre meglio fare una cosa sola, ma al meglio che due fatte male. E poi c’era un aspetto pratico: i piloti pagano per correre, se fai il navigatore invece, se sei bravo, ti pagano. Ho avuto la fortuna di iniziare subito a correre con grandi piloti: da tutti ho assorbito qualcosa. Così quando nel 1981 Cesare Fiorio mi affidò la pianificazione delle assistenze al Tour de Corse ero pronto: avevo 27 anni e si trattava di organizzare il lavoro di oltre 100 meccanici in un rally del Mondiale».
Come altri grandi navigatori, infatti, anche Pirollo affianca progressivamente al ruolo nell’abitacolo quello di esperto di logistica e organizzatore a 360° sui campi di gara, ruolo che richiede le medesime doti di precisione e capacità di pianificazione, anche se su un piano del tutto diverso. Ma per lui il meglio, in abitacolo, doveva ancora arrivare: nel 1987 è Campione del Mondo Gr. N accanto ad Alex Fiorio su Lancia Delta e il binomio si conferma negli anni successivi anche nella classifica assoluta: terzi nel Mondiale nel 1988, secondi nel 1989, quarti nel 1990. Poi un nuovo alloro iridato di Gr. N. nel 1993, stavolta accanto a Fassina su Mazda. E quindi i successi in Italia: nel 1994 è 3° nel Campionato Italiano assoluto con Liatti su Subaru Impreza, ma un’altra svolta importante arriva nel 1998, quando affianca Franco Cunico. Insieme sono terzi nell’Italiano assoluto nel 1998 con la Ford Escort WRC Martini Racing e secondi l’anno dopo su Subaru Impreza WRC, mentre nel 2000 e 2001 vincono il Campionato Italiano Terra, ancora sulla Subaru WRC.
E l’elenco delle vittorie e dei piazzamenti di prestigio potrebbe continuare a lungo, sempre accanto ai migliori piloti del momento (i più curiosi possono trovare il palmarès completo su wikipedia).
Su come far funzionare il “rapporto di coppia” in abitacolo Pirollo ha le idee chiare: «Ci vogliono rispetto e fiducia reciproci. Perché chi legge le note è passeggero del pilota, ma quest’ultimo è nelle mani del copilota. Può sembrare una banalità, ma quando ci si infila a tutta su certe strade, a certe velocità, è determinante la figura del copilota. Quando si è in auto si affronta ogni cosa insieme, anche gli errori».
Paura mai? «Se c’è fiducia, non c’è paura. Il che non significa essere incoscienti, sia chiaro. Il pilota non deve mai andare oltre il proprio limite, e ho un modo infallibile per verificarlo, anche se con i caschi di oggi è più difficile: ascolto il suo respiro, se è regolare è tutto sotto controllo, anche se magari siamo a velocità impensabili; se invece inizia ad ansimare, siamo a rischio di uscita di strada».
A proposito di piedi pesanti, c’è un pilota italiano che avrebbe meritato più di quanto ha ottenuto? «Sicuramente Cunico, ha vinto tantissimo in Italia e non solo ma come velocità avrebbe meritato un posto stabile nel Mondiale. Ci conoscevamo da tempo ma abbiamo iniziato a correre insieme relativamente tardi, ma ancora adesso se capita l’occasione, magari in qualche rally storico, torniamo in macchina insieme».
Tanti piloti, campioni di epoche diverse, ma anche auto leggendarie: chiediamo a “Gigi” di scegliere la più bella, ma la scelta è quasi impossibile. «Diciamo piuttosto che ogni epoca ha avuto le sue regine e nella mia carriera ho avuto la fortuna di gareggiare con tutte, dalla 131 alla 037, fino all’epopea della Lancia Delta nelle sue varie evoluzioni, e poi l’avvento delle WRC, Subaru Impreza, Ford Escort e Focus, Citroën e Skoda, fino alle 2 ruote motrici e alle S2000. Tra le tante, un ricordo particolare lo merita certamente la Lancia 037, potente e leggera, 350 CV su poco più di 900 kg, agile, una vettura che aveva tutto e che ancora adesso in certe situazioni potrebbe dire la sua.
Con la Delta S4 invece ho svolto per fortuna solo dei test ed è stato meglio così, perché si avvertiva una sensazione di pericolo: l’accelerazione era violentissima e la tenuta in curva scarsa, per non parlare della collocazione dei serbatoi di benzina sotto i sedili (infatti le vetture di Gr. B saranno abolite alla fine nel 1986 proprio per ragioni di sicurezza, dopo una serie di tragici incidenti). Ma anche della Subaru Impreza e poi delle Ford Escort e Focus ho un gran bel ricordo. In generale amo le WRC (le vetture della massima categoria prevista dal regolamento tecnico), con i loro 350-400 CV e l’accelerazione brutale. Anzi non vedo l’ora di salirci nuovamente».
E non è un modo dire, perché Gigi Pirollo oggi fa parte della Commissione Rally di Aci Sport ed è supervisore per la sicurezza in diversi rally nazionali, ma di appendere il casco al chiodo non se ne parla proprio: «Lo scorso anno ho fatto 11 gare, quest’anno non ho ancora gareggiato e mi manca, ma l’occasione giusta arriverà». Magari in qualche rally storico con l’ormai inseparabile Cunico, oppure al fianco di un giovane al quale tramandare i trucchi del mestiere.
L’intervista finisce ma la chiacchierata continua, proprio come certe serate di tanto tempo fa in questa bellissima piazza della provincia veneta. Pirollo che ci spiega alcuni piccoli accorgimenti che fanno la differenza tra gli amatori e i professionisti delle note. Questione di dettagli, come la posizione del sedile, inclinato all’indietro così da guardare per un attimo la strada senza dover muovere la testa su e giù dal quaderno delle note («perché chi dice che non ha bisogno di guardare la strada, dice una sciocchezza, e infatti spesso chiama le note fuori tempo», sorride sornione) o la capacità di sintesi nella stesura delle note, perché troppi dettagli servono solo a distrarre e a perdere secondi preziosi. Nel giro dei rally che contano c’è ancora chi ricorda bene questa lezione, impartita tanti anni fa da Pirollo in un rally del Galles accanto a quello che all’epoca era un giovane di belle speranze.