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L'ultima vicenda giudiziaria riguardo ad Uber in ordine di tempo vede un'azione legale da parte di un sindacato inglese dei driver, l'App Driver and Couriers Union, presso il tribunale distrettuale di Amsterdam, dove si trova la sede internazionale di Uber. Scopo di questa mossa è scoprire il funzionamento degli algoritmi informatici segreti impiegati da Uber per gestire le proprie operazioni. Il sindacato ritiene essenziale che l'azienda garantisca la massima trasparenza, per escludere ogni forma di discriminazione o di disparità di trattamento nei confronti dei conducenti.
Secondo gli avvocati che hanno intentato l'azione legale, in caso di vittoria i driver avranno maggior potere contrattuale. Questo perché, come spiega Anton Ekker, legale esperto di privacy incaricato del caso, a Repubblica, Uber «esercita il controllo sui conducenti attraverso i dati e il processo decisionale automatizzato e sta bloccando l’accesso a queste informazioni. L’app decide milioni di volte al giorno chi otterrà quale corsa: chi ottiene quelle più remunerative; chi ottiene le corse brevi. Ma questo non riguarda solo Uber. Il problema è ovunque. Gli algoritmi e i dati danno molto controllo ma le persone che ne sono soggette spesso non ne sono consapevoli».
Stando ai documenti depositati dalla Adcu, Uber utilizzerebbe dei tag nei profili dei conducenti, che vanno dalle segnalazioni di «comportamenti inappropriati», ritardi e altro. I guidatori, rifacendosi alle normative sulla privacy europee, sostengono che i lavoratori hanno diritto di accedere ai dati di profilazione rilevati attraverso l'applicazione, che includono informazioni sull'affidabilità, la posizione, i movimenti e il comportamento di un guidatore. Solo con un accesso completo ai propri dati, i conducenti avrebbero un reale potere di contrattazione collettiva.