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Per lungo tempo nella meccanica dell’automobile la parte del leone l’ha fatta il motore. La trasmissione era semplice e standardizzata: una frizione, un cambio e un differenziale, dal quale uscivano due semialberi collegati alle ruote motrici, che a seconda dei casi potevano essere posteriori o anteriori. Nelle vetture di grossa cilindrata il cambio poteva essere automatico, e allora al posto della frizione c’era un convertitore di coppia. Negli ultimi anni però la situazione è profondamente cambiata. Le moderne trasmissioni automobilistiche sono frutto di una tecnologia sofisticata e, come vedremo, non sono tutte uguali. Gli schemi che sono stati sviluppati sono infatti numerosi. Si sono diffuse le trazioni integrali, inseribili o disinseribili a seconda dei casi, e sono stati realizzati cambi automatici e semiautomatici di vario tipo, variatori, sistemi a doppia frizione, ripartitori di coppia e via dicendo. Di recente in questo settore si è aperta una nuova pagina con la comparsa del 4MATIC, sviluppato dalla Mercedes-Benz in più versioni. Questo sistema di trazione integrale consente di ottimizzare il comportamento dinamico della vettura e di assicurare il miglior controllo, con grandi vantaggi ai fini della stabilità, del confort e della sicurezza, anche nelle condizioni di impiego più critiche.
Prima di descriverlo in dettaglio appare comunque opportuno riassumere alcuni concetti di base e descrivere sinteticamente il compito e il funzionamento dei dispositivi che costituiscono la trasmissione.
Alle ruote arriva la stessa potenza che esce dal motore meno lievissime perdite per attrito. Per quanto riguarda la coppia le cose stanno però diversamente: quella disponibile alle ruote infatti è notevolmente più alta di quella prodotta dal motore!
La coppia è una forza moltiplicata per la distanza tra il suo punto di applicazione e l’asse di rotazione; si tratta cioè di uno sforzo di torsione. Quando si aziona una manovella, col braccio si esercita una forza che viene trasformata in coppia (o momento torcente) all’albero. Quando con una chiave si cerca di svitare un grosso dado si crea una coppia. Se non si riesce a smuoverlo, basta allungare la chiave inserendo su di essa un tubo. A parità di forza esercitata si aumenta così la coppia. In questo caso però quando la chiave ruota, poiché la abbiamo allungata, la mano compie un percorso maggiore, a pari angolo di rotazione.
Lo stesso risultato si può ottenere con un paio di ruote dentate aventi diametri diversi. Se quella che trasmette il moto è più piccola, la coppia aumenta, ma ciò avviene a scapito della velocità di rotazione: la ruota condotta gira più piano. Se quest’ultima ha un diametro pari a due volte quello della ruota conduttrice, la sua velocità di rotazione risulta dimezzata, mentre la coppia viene raddoppiata.
Quando la pendenza della strada aumenta, ferma restando la forza che un ciclista esercita sulle pedivelle, innestando un rapporto più corto la coppia inviata alla ruota posteriore diventa più elevata, il che consente un agevole superamento della salita. Se il ritmo della pedalata rimane invariato la velocità di avanzamento della bici però diminuisce.
La trasmissione fa dunque aumentare la coppia e al tempo stesso fa diminuire la velocità di rotazione. Il motore gira molto più forte rispetto alle ruote motrici, ma la coppia subisce una notevole incremento. Al termine del “percorso” ci sono le ruote che trasmettono al suolo la forza di trazione, costituita dalla coppia (ad esse trasmessa dai semialberi) divisa per il loro raggio.
Il primo dispositivo che la coppia incontra alla uscita dal motore è la frizione, grazie al quale il conducente può “staccare” completamente il motore stesso dalla trasmissione e, quando necessario, ottenere un innesto graduale, indispensabile nelle partenze. Schematicamente, la frizione è costituita da un elemento conduttore (in genere si tratta dello stesso volano del motore) e da uno condotto, usualmente costituito da un disco guarnito con materiale d’attrito montato sulla estremità dell’albero di entrata del cambio. In posizione di riposo la frizione è innestata e trasmette il moto dato che gli elementi conduttore e condotto sono solidali in quanto premuti con forza uno contro l’altro da una apposita molla. Quando si agisce sul pedale, la frizione viene disinnestata: la forza esercitata dalla molla viene vinta e i due elementi possono così ruotare indipendentemente.
Il cambio riduce la velocità di rotazione, e di conseguenza fa aumentare la coppia, consentendo di utilizzare il rapporto di riduzione più appropriato per le diverse situazioni. Quando serve una coppia più elevata (ad esempio per superare ripide salite) il pilota seleziona una marcia più bassa.
L’innesto delle varie marce si ottiene grazie a manicotti scorrevoli sugli alberi, ma obbligati a ruotare assieme ad essi, che diventano a turno solidali con gli ingranaggi adiacenti (montati folli sugli alberi stessi). Per rendere dolce e silenzioso l’innesto, questi manicotti, che vengono mossi da apposite forcelle, sono dotati di sincronizzatori.
Il cambio può avere un albero di uscita parallelo a quello di entrata; in questo caso si parla talvolta di schema “in cascata”. Spesso però l’albero di uscita è assai corto e viene piazzato alla estremità di quello di entrata, con il quale è perfettamente allineato. In questo secondo caso il moto allora trasmesso dall’albero di entrata a un albero ausiliario parallelo e quindi, tramite una coppia di ingranaggi, all’albero di uscita. Una marcia però viene trasmessa con rapporto 1:1; quando essa è innestata si è in “presa diretta” in quanto l’albero di uscita diventa solidale nella rotazione con quello di entrata.
Per lungo tempo lo schema classico ha previsto un motore longitudinale e ruote motrici posteriori. In seguito sono diventate sempre più diffuse le vetture con motore trasversale e ruote motrici anteriori. Nel primo caso il gruppo di riduzione finale, collegato al cambio dall’albero di trasmissione, è costituito da una coppia di ingranaggi conici. Nel secondo è posto direttamente alla uscita del cambio ed è costituito da due ruote dentate cilindriche.
In curva la ruota motrice interna gira con una velocità minore rispetto a quella esterna (che nello stesso tempo compie un percorso maggiore). In effetti anche in rettifilo le ruote di uno stesso asse non girano esattamente con la stessa velocità; ciò accade per via di avvallamenti, piccole asperità e momentanee perdite di aderenza di uno dei due pneumatici. Per consentire che queste situazioni si verifichino senza creare problemi, i due semialberi che portano il moto alle ruote non sono vincolati rigidamente uno all’altro o all’ingranaggio condotto della riduzione finale ma ricevono il moto da quest’ultimo tramite il differenziale. Questo dispositivo trasmette la stessa coppia a entrambe le ruote e consente loro di girare con velocità differenti.
Per un normale impiego stradale e con una aderenza eguale per entrambi i pneumatici, un normale differenziale va sicuramente bene, ma questa condizione ottimale non si incontra sempre! Anche la trazione su di un solo asse (anteriore o posteriore) è OK, ma si può fare di meglio. Di conseguenza sono state messe a punto soluzioni più raffinate che assicurano un importante miglioramento sia delle prestazioni che della sicurezza di guida. Le case come la Mercedes-Benz, che costruivano mezzi destinati al fuoristrada o ad essere impiegati su fondi sconnessi, come gli autocarri da cava e cantiere, hanno potuto accumulare un’ampia esperienza in questo campo, che li ha successivamente agevolati nella realizzazione di vetture con trazione integrale di tipo particolarmente avanzato. La gamma di 4 x 4 della casa tedesca è molto ampia, comprende modelli con motore sia longitudinale che trasversale ed è stata di recente completata dalla versatile Classe E 4MATIC All-Terrain.