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Per anni le trasmissioni automatiche sono state sinonimo di vetture di grossa cilindrata e di notevole livello. Mentre negli USA sin dagli anni Cinquanta questi dispositivi si sono affermati in maniera pressoché plebiscitaria (al punto che da decenni molti automobilisti americani non sanno guidare le auto con cambio meccanico e pedale della frizione!), in Europa gli utenti hanno continuato a preferire nella grande maggioranza dei casi i classici cambi manuali.
Fino a poco tempo fa solo una percentuale molto modesta delle auto vendute era dotata di una trasmissione automatica. Come nel caso delle auto americane, quest’ultima era invariabilmente del tipo tradizionale, con convertitore di coppia e cambio dotato di gruppi epicicloidali (una rarissima eccezione è stata per diverso tempo la piccola DAF, con il suo variatore).
L'influenza della Formula 1
Negli ultimi anni però quasi tutti i costruttori di automobili hanno cominciato a offrire trasmissioni automatiche o semiautomatiche anche per modelli di cilindrata piccola e media, che in Europa hanno conquistato fette di mercato molto significative, e stanno continuando alla grande su questa strada. Una forte spinta in questa direzione è stata data dalle monoposto di Formula Uno, con il loro passaggio alle trasmissioni con cambio sequenziale, di tipo robotizzato, con il comando ridotto a due semplici levette al volante e frizione ad azionamento automatico.
Le soluzioni oggi adottate dalle diverse Case sono svariate e ognuna di esse ha le proprie caratteristiche costruttive e funzionali. Comune a tutte è l’assenza del pedale della frizione. Quando viene impiegato un cambio automatico il pilota sceglie un “programma” e poi non deve fare altro che agire sul pedale dell’acceleratore. Al resto pensa la centralina con i suoi attuatori. In questo caso però non c’è la possibilità di decidere quale marcia innestare.
Il principio di funzionamento
In base al regime di rotazione del motore, alla velocità del veicolo e alla posizione del pedale dell’acceleratore, la centralina stabilisce, nella logica dei vari programmi (guida sportiva o tranquilla, contenimento dei consumi) quando effettuare i cambi di marcia. Generalmente il pilota può comunque agire in maniera da ottenere una scalata, con innesto di una marcia più bassa, effettuando il kick-down (ossia premendo repentinamente a fondo il pedale dell’acceleratore). In diversi casi sollevando il piede dal pedale è possibile ottenere l’innesto di una marcia più alta.
I cambi semiautomatici
Ci sono poi i cambi semiautomatici, che nelle esecuzioni moderne consentono al pilota di scegliere tra due modalità di funzionamento. Nel primo caso questo è totalmente automatico, con la centralina che controlla il cambio e la frizione. Anche qui in genere sono disponibili due programmi, con differenti logiche di intervento, dei quali uno è studiato all’insegna del contenimento dei consumi e l’altro in un’ottica decisamente sportiva. La seconda modalità di funzionamento prevede che sia il pilota a scegliere quale marcia innestare e in quale momento.
La cosa avviene grazie a una corta leva collocata in posizione tradizionale o mediante due levette al manubrio (ma talvolta ci possono essere due pulsanti). Questi cambi semiautomatici sono definiti anche “robotizzati”; si tratta infatti di cambi meccanici tradizionali nei quali lo spostamento delle forcelle di innesto delle marce (come pure l’azionamento della frizione) invece di essere determinato dalla azione del pilota sulla leva di comando, viene ottenuto per mezzo di attuatori che agiscono con estrema rapidità e precisione.
Ma sulle moto?
Si tratta di cambi sequenziali, in quanto allo spostamento in un senso della leva corrisponde l’innesto di una marcia immediatamente più alta e a uno “scatto” in senso opposto corrisponde l’innesto di una immediatamente più bassa. Per inciso, il sistema sequenziale (completamente meccanico e con comando a pedale) sulle moto è apparso nel 1927 per merito della inglese Velocette ed è stato adottato universalmente nel corso degli anni Trenta.
Nei cambi semiautomatici non vi è alcun pedale della frizione e quello dell’acceleratore non ha collegamenti meccanici; è la centralina elettronica che, informata della sua posizione, agisce sulla valvola del gas (cioè sulla “farfalla”). Pure la leva che si aziona per cambiare marcia non è collegata col cambio ma con la centralina.
Il Tiptronic
Un tipo particolare di cambio semiautomatico, di notevole raffinatezza tecnica, è il Tiptronic, sviluppato in origine dalla Porsche e oggi impiegato su diversi modelli del gruppo Volkswagen-Audi. In questo caso al posto della tradizionale frizione, all’ingresso del cambio si trova un convertitore di coppia.
I cambi a doppia frizione
Una diffusione crescente stanno conoscendo i cambi semiautomatici del tipo a doppia frizione, che consentono di ottenere cambi di marcia veloci ma al tempo stesso “dolci” (cioè senza strappi). In questo caso ci sono due alberi di entrata, coassiali, ciascuno dei quali è dotato di una propria frizione. Su uno dei due alberi ci sono gli ingranaggi delle marce pari (seconda, quarta e sesta) e sull’altro quello delle marce dispari. Quando il veicolo è in movimento sono sempre innestate contemporaneamente due marce “adiacenti” (ad esempio, seconda e terza, o terza e quarta), ma una sola delle due frizioni trasmette il moto.
“Una diffusione crescente stanno conoscendo i cambi semiautomatici del tipo a doppia frizione, che consentono di ottenere cambi di marcia veloci ma al tempo stesso “dolci”. In questo caso ci sono due alberi di entrata, coassiali, ciascuno dei quali è dotato di una propria frizione”
Il passaggio da una marcia all’altra viene ottenuto innestando una frizione e contemporaneamente disinnestando l’altra. Anche il cambio a doppia frizione è sequenziale e rientra nella categoria dei semiautomatici; può essere infatti impiegato in modalità automatica o manuale, con il pilota che sceglie il momento del passaggio da una all’altra marcia e la centralina che di conseguenza aziona gli attuatori.
I variatori
Completamente diversi sono i variatori, generalmente indicati con la sigla CVT (Continuously Variable Transmission). Questi dispositivi consentono di ottenere una variazione continua e graduale del rapporto di trasmissione; non ci sono quindi le tradizionali marce. In certi casi però il sistema di gestione prevede delle posizioni prefissate, e questo consente di ottenere un comportamento analogo a quello delle trasmissioni dotate di cambio. Per consentire la messa in movimento della vettura vi è una frizione a funzionamento automatico (o un convertitore di coppia), che entra in funzione solo in tale circostanza e dopo rimane sempre innestata.
Usualmente questi dispositivi sono del tipo a cinghia e pulegge a diametro variabile. Il principio di funzionamento è quindi analogo a quello delle trasmissioni impiegate su quasi tutti gli scooter; in questo caso però la cinghia, dotata di una serie di elementi metallici, è realizzata in modo da poter lavorare a compressione. In una categoria a sé stante rientra il Multitronic, impiegato da Audi; utilizza una cinghia, interamente metallica e assai simile a una catena in quanto dotata di una serie di maglie, che lavora a trazione.
Completamente diversi sono i variatori di tipo toroidale (Extroid, Torotrak), che per ottenere un cambiamento continuo del rapporto utilizzano dischi sagomati e rulli. Attualmente nel nostro settore trova impiego (molto limitato) solo quello della Nissan. Anche le trasmissioni meccanoidrauliche consentono di ottenere una variazione continua e graduale del rapporto di trasmissione. Non vengono però utilizzate in campo automobilistico, almeno per il momento.
In conclusione, la scelta della trasmissione in genere viene effettuata dalla casa, in funzione delle caratteristiche della vettura e del tipo di impiego prevalente previsto. In certi casi però è possibile che l’utente possa decidere, in base ai suoi gusti, tra opzioni differenti. Per uno stesso modello di autovettura, o due assai simili, possono infatti essere disponibili trasmissioni differenti.