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Milano - In occasione dell’inaugurazione della concessionaria Nissan di Viale Certosa 253 a Milano, rilevata da poco dal Gruppo Fassina, abbiamo avuto modo di conoscere a fondo Antonio Fassina, detto Tony, fondatore dell’omonima Azienda specializzata nella vendita di automobili ed ex-pilota di rally.
Tony Fassina, classe 1945, oggi è a capo di una delle reti di concessionarie più grandi d’Italia, commercializzando i marchi Fiat, Alfa Romeo, Lancia, Fiat Professional, Abarth, Jeep, Volvo, Skoda, Hyundai, Audi e Mitsubishi ma è anche divenuto importatore ufficiale per il nostro Pasese di brand del calibro di McLaren e Infiniti. In passato però Fassina ha pilotato auto da rally per 15 anni ad alto livello, divenendo un pluricampione italiano ed europeo e vincendo anche una tappa del Mondiale nel 1979, a Sanremo, al volante dell'indimenticata Lancia Stratos.
Conoscere un imprenditore di successo e dalla personalità così sfaccettata come Tony Fassina è stato particolarmente interessante per scoprire quali sono i segreti fondamentali per vincere nello sport così come nell’imprenditoria, anche in un momento particolarmente difficile per l’economia. Inoltre è stata un'occasione imperdibile per conoscere la sua opinione in merito al futuro dell'auto in Italia.
Oggi il suo nome rappresenta uno dei più grandi Gruppi di concessionarie d’auto in Italia ma un tempo era legato al mondo delle competizioni. Che ricordo ha conservato di quegli anni, al volante di gloriose auto da rally come la Lancia Stratos?
«Come tanti giovani anch’io ero un ragazzo pieno d’entusiasmo per il mondo delle corse. Ho iniziato a correre in auto un po’ tardi per la verità, dopo i 20 anni, perché le possibilità economiche di allora come oggi erano molto limitate per i giovani. Il successo al volante l’ho conosciuto fin da subito, poi ho vissuto 15 anni di gare. Tre anni al volante della Opel ufficiale, due anni con la Stratos, un anno con il 131 Abarth, ma ho guidato anche l’Alpine e il Gordini, posso dire di aver guidato un po’ di tutto in quei 15 anni. Nella mia carriera ho vinto una tappa del Campionato del Mondo, il rally di Sanremo con la Stratos nel 1979, poi ho vinto quattro volte il Campionato italiano e ho vinto anche la Targa Florio e mantengo un ricordo fantastico di quegli anni».
“Lo sport mi ha insegnato molto perché il rally è uno sport che richiede veramente tanti sacrifici se si punta alla vittoria. Si vince solo se si è molto impegnati e preparati. Questo atteggiamento, fondamentale nelle corse in auto, mi ha insegnato molto anche nel mondo del lavoro”
L'esperienza maturata nei rally è servita qualche modo anche dopo, quando ha deciso di aprire le prime concessionarie d'auto?
«Lo sport mi ha insegnato molto perché il rally è uno sport che richiede veramente tanti sacrifici se si punta alla vittoria. Se ci si vuole solo divertire è un altro discorso, ma per la vittoria occorrono veri sacrifici. Per vincere nell’atletica, ma anche in auto o in moto, bisogna essere preparati fisicamente e psicologicamente. Si vince solo se si è molto impegnati e preparati. Questo atteggiamento, fondamentale nelle corse in auto, mi ha insegnato molto anche nel mondo del lavoro».
Come ha vissuto il ritiro dal mondo delle corse?
«In realtà mi piace dire che io ho iniziato a correre quando ho smesso di correre. Nel 1984, dopo aver vinto la Targa Florio, mi sono ritirato dalle corse e ho incominciato la mia prima avventura a Vittorio Veneto, aprendo la prima concessionaria. È in questo preciso momento che ho incominciato veramente a correre. Perché questo lavoro (vendere automobili, ndr) l’ho trovato addirittura più bello e stimolante che correre in auto. Per questo ho messo nel mio lavoro lo stesso entusiasmo che avevo quando partecipavo alle competizioni e ancora adesso è lo stesso entusiasmo a motivarmi. Oggi ci metto ancora tutto l’impegno di cui sono capace nel mio lavoro. Per me infatti l’impegno non è un sacrificio, alla mattina mi alzo con il piacere di fare questo lavoro. Ed è questo il segreto del successo. Se si lavora con l’entusiasmo si troverà sempre il successo. Se invece ci si ritrova a lavorare costretti o spinti esclusivamente da interessi economici non si avrà mai successo».
“Mi piace dire che ho iniziato a correre quando ho smesso di correre. Mi sono ritirato dalle corse e ho aperto la prima concessionaria. È in questo preciso momento che ho incominciato veramente a correre. Perché questo lavoro l’ho trovato addirittura più bello e stimolante che correre in auto”
Rimpiange il suo passato al volante delle auto da rally?
«Assolutamente no visto che il prossimo 4 e 5 aprile andrò a rifare con una 037 il rally di Sanremo che ho vinto nel 1979 al volante della Stratos. Al volante sono ancora attivo».
Com’è nata l’idea di lasciare le corse per aprire una concessionaria?
«Tutto è nato dal Direttore area della Fiat a cui faceva capo l’area di Padova e Bologna, l’Ingegner Cantoni. Mi conosceva per le mie gare, anche perché aveva una scuderia chiamata 4 Rombi Corse. Un giorno mi disse di aprire una concessionaria e di vendere il marchio Fiat. Mi convinse e così ho aperto la prima concessionaria Fiat a Vittorio Veneto. Al momento di trovare un nome, l'Ingegner Cantoni mi disse che essendo conosciuto nelle corse, non avrei potuto fare di meglio che chiamare con il mio stesso nome la mia concessionaria. Tutto ha avuto inizio così».
«Dopo aver aperto la prima concessionaria sono passati un po' di anni e ne ho aperta una seconda, poi una terza. Poi ho iniziato a venderne una per comprarne un’altra e così via. Alla fine del 1987 ho rilevato la succursale della Fiat in Corso Sempione ed è stata un'impresa veramente dura, ma poi ho aperto anche Svezia Car con Volvo, poi abbiamo preso Jeep, Audi, Hyundai, Skoda, McLaren e dal 2008 siamo importatori Infiniti. L’ultima arrivata, insieme a Mitsubishi, è Nissan che offre prodotti eccezionali perché tutti i prodotti giapponesi sono eccezionali. Credo che anche con Nissan avremo un’esperienza di successo».
I brand del Gruppo Fiat fanno parte della vostra realtà fin dagli inizi ed oggi hanno un ruolo di assoluta rilevanza all’interno del Gruppo Fassina. Qual è la sua idea sulla Fiat di oggi?
«Sono partito con Fiat e quindi devo tutto a questo marchio. Considero Fiat il nostro marchio nazionale ed è la nostra bandiera. Per questo sono molto legato a Fiat e non mi piacerebbe se spostassero alcuni stabilimenti altrove. In ogni caso non credo che si realizzi questa eventualità. Ho una stima incondizionata nei confronti di Sergio Marchionne. Anche se non è un uomo esattamente di prodotto, ha comunque salvato la Fiat e attraverso operazioni finanziarie, acquisendo la Chrysler, ha raggiunto risultati incredibili. A breve non vedo infatti problemi per Fiat».
“Ho una stima incondizionata nei confronti di Sergio Marchionne. Anche se non è un uomo esattamente di prodotto, ha comunque salvato la Fiat e attraverso operazioni finanziarie, acquisendo la Chrysler, ha raggiunto risultati incredibili. A breve non vedo problemi per Fiat”
Dal 2008 siete importatori ufficiali del marchio Infiniti per l’Italia. Com’è nata l’idea di portare questo brand nel nostro Paese. Qual è la differenza tra questo marchio premium tutto sommato recente e Audi, che invece commercializzate già da diversi anni?
«L’idea di diventare importatori Infiniti è nata dall’ambizione e dalla passaione, che sono le uniche cose che ci possono permettere di crescere. Il business plan che abbiamo fatto nel 2008, in un momento in cui la crisi era ancora lontana, ci ha convinto che puntare su Infiniti sarebbe stata una scelta vincente. La differenza tra Audi e Infiniti sta nel fatto che mentre la Casa tedesca fa 1.500.000 pezzi, il brand giapponese ne fa 150.000. Sono entrambi due brand premium e la qualità dei modelli Infiniti è indiscussa. Infiniti però deve scontare il fatto che non ha ancora curato gli aspetti legati al prezzo, non propone al momento una vettura di piccole dimensioni e propone ancora motorizzazioni troppo grandi per il mercato italiano. Presto arriverà sul mercato il motore da 2.2. litri, per cui credo che potremo raggiungere risultati più grandi in futuro. Abbiamo investito moltissimo in pubblicità per il marchio Infiniti, sia noi, sia la divisione Infiniti Europe, ma probabilmente occorre ancora un po’ di tempo per far crescere questo marchio»
Come vede il futuro dell’auto in Italia?
«La crisi non va considerata solo per i suoi aspetti negativi dal momento cha ha anche dei lati positivi. La crisi infatti ci ha insegnato molto, ci ha insegnato a soffrire, a risparmiare, a tagliare il superfluo. Per i prossimi dieci o vent’anni non vedo una soluzione alternativa all’auto. Il nostro mercato che oggi è arrivato a 1.400.000 vetture, potrà scendere ancora a 1.300.000 pezzi, anche se è difficile fare previsioni. Se il mercato si assesterà attorno a 1.500.000 pezzi l’anno, ci sarà posto per 2.000 concessionarie, mentre oggi sono più di 3.000 ed è chiaro quindi che 1.000 concessionarie dovranno o aggregarsi o chiudere o liquidarsi. Però lo spazio per vendere 100.000 o 120.000 auto al mese secondo me c’è e noi come Gruppo Fassina vorremo conquistare l’1% del mercato nazionale. Io credo che ci siano i margini per raggiungere questo obiettivo, ma per farlo occorre sicuramente tanto impegno e tanta professionalità».
“Supereranno la crisi solo quelli più preparati professionalmente, quelli più capaci, che hanno tanto voglia di fare e di impegnarsi. Nel nostro settore non c’è spazio per chi non lavora. Chi ha voglia di lavorare ce la fa”
A livello di concessionarie sopravvivranno solo le realtà più grandi quindi?
«Non necessariamente quelle più grandi. Supereranno la crisi solo quelli più preparati professionalmente, quelli più capaci, che hanno tanto voglia di fare e di impegnarsi. Nel nostro settore non c’è spazio per chi non lavora. Chi ha voglia di lavorare ce la fa. Noi per esempio siamo aperti da sempre tutti i sabati e le domeniche e questo è un indice della nostra caparbietà e del nostro entusiasmo».
Negli anni passati il mercato dell’auto è stato drogato con gli incentivi. È corretto affermare quindi che si sono vendute troppe auto quando in realtà non ce n’era un effettivo bisogno?
«Abbiamo fatto molti anni ad avere un mercato a 1.500.000 o 1.600.000. Poi con le prime rottamazioni siamo arrivati a 2.300.000 o addirittura a 2.400.000 pezzi, complici anche le forzature delle Case. Se il mercato si dovesse assestare a 1.500.000 vetture con la conseguente razionalizzazione delle concessionarie (che dalle 3.000 attuali, passerebbero a 2.000, ndr) è chiaro che ci sarà più spazio per gli altri. Nella nostra zona per esempio (Milano, Varese, ndr) negli ultimi tre anni hanno chiuso moltissime concessionarie e di conseguenza lo spazio per quelli che rimangono si allarga. Noi per esempio a febbraio 2013, (nonostante la crisi, ndr) ci apprestiamo a raggiungere il record assoluto rispetto a tutti gli anni precedenti».
Spesso le concessionarie attribuiscono le cause di eventuali fallimenti e chiusure alle Case costruttrici che avanzano troppe pretese senza fornire il supporto necessario in caso di difficoltà. Quanto conta il rapporto con la Casa madre per mantenere in salute l’attività di una concessionaria?
«Io credo che il buon senso sia quello che ci debba guidare nei rapporti con la Casa madre, che spesso ha problemi più grandi dei nostri. Quindi non possiamo sempre pensare che la Casa sia sempre la nostra mamma, perché potrebbe essere anche la nostra matrigna. La Casa madre deve pensare alle sue difficoltà, noi alle nostre. Per lo stato di salute di una concessionaria in ogni caso il rapporto con la Casa conta al 100%. Se non si ha un buon rapporto con la Casa e i rapporti si incrinano irrimediabilmente, la cosa migliore è abbandonare tutto perché l’alternativa è finire rovinati. Il buon rapporto con la Casa secondo me pesa per più dell’1% del fatturato. Dal momento che l’utile medio netto sul fatturato tolte le tasse ecc. in Italia è allo 0,50%, non ci si può permettere di perdere l’1% per un brutto rapporto con la Casa, perché significherebbe essere in perdita. Senza un buon rapporto con la Casa quindi è impossibile andare avanti».
Il nuovo Governo prenderà qualche provvedimento per smuovere il mercato dell’auto?
«No, non credo, perché avrà problemi molto più grandi da affrontare prima, come la disoccupazione, in particolare quella giovanile. I problemi dell’auto arriveranno quindi solo dopo, saranno messi al decimo posto (nell'indice delle priorità, ndr). A breve non vedo quindi soluzioni per l’auto. Dobbiamo soffrire ancora qualche anno».