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Il settore dell’automotive è stato tra i più colpiti dalla pandemia. Questo perché, oltre ai problemi di assemblaggio e distribuzione fronteggiati da buona parte delle aziende, ha dovuto fare i conti anche con i periodi di lockdown e il lavoro da remoto, quando l’auto è passata rapidamente in secondo piano nella vita delle persone.
Da un periodo di calma piatta riscontrato nei primi mesi del 2020, responsabile di un drastico calo del fatturato, si è passati all’esatto opposto: troppe richieste da parte del mercato rispetto all’effettiva capacità produttiva. Il collo di bottiglia però è dovuto, cosa ormai assodata, alla mancanza di microchip per l’assemblaggio delle (sempre più numerose) componenti elettroniche a bordo delle vetture.
Un problema che il mondo dell’auto condivide con quello della tecnologia, anche se nel secondo caso le aziende produttrici di chip hanno motivazioni più solide per correre ai ripari. I componenti richiesti in questo caso risultano più evoluti, complicati e costosi da produrre rispetto a quelli dell’auto, motivo per cui il margine di contrattazione con le aziende interessate è minore e di conseguenza i ricavi risultano più cospicui.
Di contro, su di una vettura moderna i chip necessari a far funzionare l’auto sono più semplici e numerosi: basti pensare alla gestione degli ADAS, dell’infotainment e di tutti quei componenti - dai gruppi ottici ai sensori per gli airbag - che richiedono un microchip per funzionare. Più tecnologia, più problemi.
Ecco perché stupisce che Tesla, tra i pionieri in fatto di guida autonoma e di tecnologia applicata all’auto, è riuscita a tamponare meglio di altri queste mancanze.
I numeri parlano chiaro: Tesla, nonostante tutto, ha incrementato le vendite passando dalle 200.000 unità del secondo trimestre del 2021 alle 240.000 del terzo trimestre. Le ragioni dietro a questo successo sono molteplici, a cominciare dal fatto che l’azienda di Elon Musk - per quanto la borsa sia poco d’accordo - ha un volume d’affari decisamente inferiore rispetto alle case tradizionali. I volumi di produzione sono diversi, il che permette al marchio californiano di gestire con più rapidità i cambiamenti e adattarsi meglio alle novità. Non solo però, perché negli Stati Uniti - forse come conseguenza della politica protezionista dell’amministrazione Trump - vengono prodotti microchip che, normalmente, le case acquistano dal mercato orientale.
A questo si aggiunge il fatto che Tesla, come dichiarato da Elon Musk in un incontro con gli investitori lo scorso luglio, ha potuto sostituire i chip utilizzati normalmente con nuove componenti: “Siamo stati in grado di sostituire i chip con un lavoro di adattamento ma abbiamo dovuto riscrivere il software per farli funzionare”. Un lavoro impensabile per un costruttore che lavora su vasta scala ma che nel caso di Tesla è stato possibile effettuare. In futuro, spiega sempre Musk, le cose dovrebbero migliorare gradualmente, anche se resta impossibile dirlo con certezza.