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A otto anni dall'addio di Fiat doveva essere l'azienda del rilancio di Termini Imerese dopo i tentativi andati a vuoto con DR, Reva, Brilliance, De Tomaso, Grifa e qualche altra azienda esterna al settore dell'auto. Sembrava che quella con Blutec, newco fondato dal gruppo piemontese Metec, fosse la volta buona, visti i buoni uffici con FCA e i capitali assicurati da Invitalia. Invece, per lo stabilimento ex Fiat di Termini Imerese è arrivato l'ennesimo passo falso.
Stavolta per l'arresto del presidente del consiglio di amministrazione Roberto Ginatta e dell’amministratore delegato Cosimo Di Cursi, accusati di aver fatto sparire 16 dei 21 milioni di euro di soldi pubblici erogati da Invitalia per il rilancio dello stabilimento siciliano dove dal 1970 al 2011 si sono costruite le Fiat 500, le 126, le Panda, le Punto e infine le Lancia Ypsilon.
Nei quattro anni dall'acquisizione dello stabilmento palermitano la Blutec non ha fatto praticamente nulla, anche se appena lo scorso dicembre lo stesso Di Cursi assicurava in occasione di un tavolo al Ministero dello Sviluppo Economico che le commesse c'erano eccome, rassicurando (ma tra lo scetticismo dei sindacati) la partenza della produzione del Fiat Doblò elettrico già a fine gennaio e delle prime 2.000 auto elettriche prodotte per il 2019 in partnership con Jac Cina.
Al MISE fu anche riferito come Blutec fosse «in attesa di formalizzazione» un contratto con FCA per realizzare «un veicolo commerciale elettrico ibrido di medie dimensioni» e «per l’acquisizione di batterie con produzione diretta a Termini Imerese», mentre era già stato dato per chiuso un accordo commerciale con Garage Italia per la produzione di veicoli elettrici. Pare anche che fosse in piedi un accordo con la cinese Jiayuan, produttrice di veicoli elettrici: 50.000 veicoli in tre anni da destinare al mercato europeo. Per l'accordo si attendeva, sostiene il Corriere della Sera, addirittura la presenza del presidente cinese Xi Jinping, che nei prossimi giorni sarà in visita in Italia.
Invece è arrivata solo l'ultima doccia fredda, per Ginatta e soci, ma soprattutto per i 570 lavoratori sono ancora in cassa integrazione, mentre in 130 stavano portando avanti progetti di formazione all'interno dello stabilimento finito ora sotto sequestro da parte della Guardia di Finanza.