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In passato l’evoluzione di alcuni componenti e/o di alcuni schemi è avvenuta in maniera fin troppo graduale. Ossia, molto lentamente. E in genere ha avuto luogo di pari passo con l’aumento della potenza specifica dei motori, e quindi delle sollecitazioni in gioco. È questo ad esempio il caso dei supporti di banco. Facendo riferimento ai motori con quattro cilindri in linea, per un certo periodo, ormai molto lontano, non era raro che ne venissero adottati due soltanto; basta ricordare modelli di grande diffusione nati negli anni Trenta come la Morris Eight e la Fiat 500 (più nota come Topolino e costruita fino al 1955), economici e di bassa potenza specifica. Per lunghissimo a dominare la scena sono stati i motori nei quali l’albero a gomiti poggiava su tre supporti. Questa soluzione, che la Ford già impiegava nel famoso modello T, apparso nel 1908, ha continuato ad essere utilizzata da qualche costruttore fino a non molto tempo fa, per alcune auto di prestazioni non elevate.
Lo schema migliore, per i motori a quattro cilindri in linea, prevede cinque supporti di banco; si ottengono così la massima rigidezza e si riducono al minimo le flessioni dell’albero. Quando le potenze specifiche, e quindi anche le sollecitazioni, sono considerevoli questa soluzione diventa obbligatoria.
Negli anni Cinquanta i quadricilindrici Alfa Romeo spiccavano non solo per la distribuzione bialbero ma anche per l’albero a gomiti che poggiava su cinque supporti. Nel decennio successivo quest’ultima soluzione è stata adottata sulla Simca 1000 (nel 1961), sulla Glas 1004, sulla BMW 1500 (entrate entrambe in produzione nel 1962) e sulla NSU 1000 (1964). La Fiat 124, con la quale la casa torinese è passata con decisione a tale schema costruttivo, in seguito adottato su tutti i suoi motori a quattro cilindri di nuova progettazione, è arrivata nel 1966. All’inizio degli anni Settanta la linea da seguire era ormai tracciata in maniera netta.
Da diverso tempo a questa parte tutti i quadricilindrici in linea hanno dunque cinque supporti. Esistono però anche altre architetture e altri frazionamenti. I moderni motori a sei cilindri hanno sette supporti di banco se sono in linea e quattro se sono a V o boxer. I V8 ne hanno cinque e i V12 sette. Da anni lo schema base prevede insomma un perno di banco a ciascun lato di ogni manovella dell’albero, eccezion fatta per i motori a cilindri contrapposti.
Un albero ben supportato è dunque essenziale nelle moderne realizzazioni. Però, è necessario che anche i cappelli dei supporti di banco siano robusti e saldamente fissati. Se le forze in gioco sono molto elevate, tendono a deformare elasticamente gli alloggiamenti dei cuscinetti e a spostare i cappelli, facendo “aprire” i supporti. Per questa ragione, alla ricerca della massima rigidità e robustezza, i tecnici sono intervenuti anche su questi componenti. Negli anni Cinquanta hanno così cominciato a essere costruiti alcuni motori da competizione nei quali ciascun cappello di banco, di dimensioni molto generose, era fissato non con due ma con quattro viti. Questa soluzione è stata ad esempio impiegata dalla Lancia e dalla Maserati. Un altro schema, che ha avuto maggiore diffusione e che in seguito ha trovato svariate applicazioni importanti nella produzione di serie, prevede per ogni cappello, in aggiunta alle usuali due viti di fissaggio verticali, altre due viti orizzontali, che lo vincolano saldamente alle pareti laterali del basamento.
Da alcuni anni a questa parte sui motori più performanti e di impostazione più moderna sta avendo una notevole diffusione la soluzione che prevede l’impiego di un sottobasamento, nel quale sono incorporati tutti i cappelli di banco. In tal modo viene ottenuta una straordinaria rigidezza strutturale.
È interessante osservare che questo schema costruttivo, che da decenni viene impiegato universalmente in campo motociclistico per i motori quadricilindrici, in fondo è quello che si utilizza da sempre nei motori a cilindri contrapposti, nei quali il piano verticale di unione dei due semicarter che formano il basamento taglia a metà i supporti di banco. Una rimarchevole eccezione è costituita dal motore boxer Alfasud, apparso all’inizio degli anni Settanta e rimasto in produzione in numerose versioni successive per decenni, nel quale il basamento in ghisa è in un sol pezzo e ciascun cappello di banco (che viene inserito dal basso) è fissato con due viti verticali e due trasversali.
Un cenno meritano infine i basamenti a tunnel, nei quali ogni supporto di banco è costituito da due parti unite mediante viti, che si montano sull’albero prima che questo venga installato nel basamento stesso, inserendolo da una estremità. Successivamente tali supporti, discoidali o cruciformi, vengono saldamente fissati. La soluzione assicura una eccellente rigidità strutturale. I motori automobilistici che l’hanno impiegata sono stati assai pochi. Vanno senz’altro ricordati i famosi Offenhauser, che hanno a lungo dominato a Indianapolis, e alcuni diesel VM che hanno avuto interessanti applicazioni nel nostro settore.