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Le principali soluzioni tecniche e gli schemi costruttivi adottati in campo motoristico sono da tempo analoghi per tutti i costruttori. Molte differenze sono solo di dettaglio. Un angolo tra le valvole un poco più grande, un procedimento produttivo diverso, una cinghia dentata al posto di una catena per comandare gli alberi a camme e via dicendo. Per avere un’idea della standardizzazione da tempo in atto, basta pensare che tutti i motori di alte prestazioni hanno una distribuzione bialbero e quattro valvole per cilindro, disposte su due piani inclinati tra loro in misura contenuta. Anche l’impiego di bilancieri a dito muniti di rullo e montati su supporti idraulici a testa sferica si è ormai largamente generalizzato.
Spesso le differenze sono dettate da convenienza economica, ma il risultato finale è comunque analogo. In ogni caso le scelte di base non possono essere prese senza considerare il tipo di vettura che il motore andrà a equipaggiare. I modelli destinati ad essere prodotti in gran serie e ad avere un costo contenuto hanno esigenze diverse da quelle delle auto molto sportive o addirittura da competizione. Per i primi l’esigenza prioritaria è quella di contenere i consumi, mentre per gli altri è quella di ottenere una potenza molto elevata in relazione alla cilindrata.
Occorre inoltre considerare in che modo si possono ottenere le prestazioni previste: se devono essere elevate, ad esempio, si può ricorrere a una grande cilindrata o a una alta pressione di sovralimentazione. I cavalli possono essere gli stessi, ma i costi di produzione e gli ingombri (e i pesi) possono differire in misura molto considerevole. Le scelte, insomma, non sono sempre facili.
Il rapporto corsa/alesaggio (C/D) è un parametro fondamentale per qualunque motore. In campo auto per soddisfare le differenti esigenze alle quali abbiamo accennato da tempo sono state imboccate due strade diverse. Nelle vetture per le quali è importante avere consumi ridotti (la cosa è addirittura vitale nel caso di quasi tutte le piccole e medie cilindrate costruite in gran serie) il rapporto in questione è appena inferiore a 1 solo in rari casi. Generalmente infatti i motori di questi modelli sono a corsa decisamente lunga. Ciò è vantaggioso ai fini del rendimento termico (e quindi della diminuzione dei consumi) perché la camera di combustione è raccolta e il rapporto superficie/volume è ridotto, il che si traduce in combustione rapida e (soprattutto) in minori perdite di calore.
Nei recenti Firefly del gruppo Fiat, con basamento in lega di alluminio, il rapporto C/D è 1,24. La Honda ha raggiunto un rendimento effettivo del 45% con un monocilindrico sperimentale nel quale il rapporto C/D è addirittura pari a 1,5!
All’opposto, quando si cercano le massime potenze occorre adottare rapporti C/D molto bassi, onde poter montare valvole più grandi e poter raggiungere regimi di rotazione più alti grazie alla corsa minore, a parità di cilindrata e di frazionamento. Inoltre si può così avere una maggiore superficie dei pistoni. I motori di 3 litri delle Formula Uno aspirate dei primi anni Duemila sono arrivati ad avere un rapporto C/D pari a 0,405, grazie a un alesaggio di 98 mm e una corsa di soli 39,7 mm.
La scelta del numero dei cilindri è legata alla cilindrata del motore e alle prestazioni che si vogliono ottenere. È irrazionale e sconveniente sotto tutti gli aspetti dotare di tanti cilindri un motore piccolo e/o destinato a una utilitaria. Viceversa, non ha senso dotare un modello di grandi dimensioni di tre o quattro cilindri soltanto!
Un motore molto frazionato è più complesso dal punto di vista meccanico, ha un ingombro e un peso maggiori e costa di più, rispetto a uno con un minor numero di cilindri. Però a parità di cilindrata può girare più forte (la corsa è minore, con un eguale rapporto C/D) e dispone di una maggiore superficie dei pistoni. È quindi in grado di erogare una potenza più elevata. È per questa ragione che per i motori da competizione in genere sono stati adottati elevati frazionamenti, regolamento permettendo. C’è però da dire che il peso e l’ingombro maggiori possono rendere più conveniente un frazionamento non molto spinto. In passato non di rado le vetture con motore V8 hanno dato la paga a quelle azionate dai V12.
La tendenza moderna, per le auto di piccola e media cilindrata è quella di adottare motori meno frazionati rispetto al passato (per un 1000 vanno bene tre cilindri al posto di quattro) e fortemente sovralimentati. È la filosofia del downsizing. I motori piccoli pesano meno e un ridotto numero di cilindri determina minori perdite meccaniche. Il vantaggio in termini di contenimento dei consumi è evidente.
Pure sul dimensionamento degli alberi a gomiti è opportuno spendere alcune parole. Una parte non trascurabile delle perdite per attrito che hanno luogo all’interno del motore è dovuta alle bronzine di banco e di biella. Nel funzionamento a regime i perni di banco e di biella dell’albero sono separati dal materiale antifrizione da uno strato di olio che impedisce i contatti tra le due superfici metalliche. Si instaura cioè un regime di lubrificazione idrodinamico. L’attrito è in tal caso dovuto alla viscosità dell’olio, alla velocità con la quale una superficie si muove rispetto all’altra e alla estensione delle superfici. Diminuendo il diametro dei perni si riduce la loro velocità tangenziale, fermo restando il regime di rotazione. È quindi chiaro che perni più piccoli sono vantaggiosi per il rendimento meccanico (e quindi per i consumi). Inoltre si deve ricordare che al diminuire del prodotto tra il carico e la velocità si riduce la produzione di calore nella bronzina.
L’albero deve però avere una elevata rigidezza e ottenerla diventa sempre più difficile mano a mano che il diametro dei perni viene ridotto. Se essa è insufficiente le flessioni dell’albero diventano considerevoli e i conseguenti disallineamenti dei perni possono comportare distribuzioni non uniformi delle pressioni sulle bronzine, con picchi elevati in corrispondenza dei margini, e maggiori perdite per attrito!