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Tra i tanti schemi costruttivi impiegati per i motori automobilistici ce ne è uno che è stato utilizzato solo in alcuni casi molto particolari e del quale si parla di rado, benché sotto l’aspetto tecnico sia di notevole interesse. Si tratta di quello che prevede un frazionamento estremamente spinto, per il nostro settore, con ben sedici cilindri.
Già nei primi anni del Novecento i tecnici sapevano bene che aumentando il numero dei cilindri si potevano ottenere una potenza maggiore, a parità di cilindrata totale (e con un analogo rapporto corsa/alesaggio), e un funzionamento più dolce e regolare. Il primo di questi vantaggi era legato al fatto che aumentando il frazionamento è possibile raggiungere regimi di rotazione più alti (la corsa è infatti minore); inoltre cresce la superficie totale dei pistoni. La superiore dolcezza di funzionamento è dovuta al maggior numero di fasi utili che si svolgono durante i 720° del ciclo a quattro tempi. Le fluttuazioni di coppia sono più numerose ma meno importanti: i picchi che si susseguono sono più vicini al valore medio della coppia stessa (l’irregolarità è massima nei monocilindrici e diminuisce al crescere del frazionamento).
Dunque, i pochi motori a sedici cilindri apparsi sulla scena automobilistica nel corso degli anni sono stati realizzati con l’obiettivo di ottenere la potenza più elevata (con una data cilindrata) o il massimo confort immaginabile. Per questo motivo li troviamo su alcune auto da competizione, su certe straordinarie supercar e su qualche vettura di gran lusso.
Anche in questo caso però c’è un rovescio della medaglia ed è costituito dal peso e dall’ingombro, assai considerevoli in relazione alla cilindrata, dalla notevole complessità costruttiva e dal costo elevato. Inoltre, c’è da tenere presente che se l’albero a gomiti è molto lungo e ha un notevole numero di manovelle occorre fare i conti con considerevoli sollecitazioni torsionali.
Nella storia dell’automobile i motori a sedici cilindri sono stati pochi. Alcuni di essi erano ottenuti dalla unione, su di uno stesso basamento, di due motori a otto cilindri in linea, ciascuno dei quali dotato del proprio albero a gomiti. In questi casi sarebbe più rigoroso parlare di U16 e non di V16. I primi esempi davvero significativi si sono avuti nella seconda metà degli anni Venti. Si ricordano in tale periodo una realizzazione di Miller per la vettura da record Stutz e il motore Bugatti 45 GP, entrambi del 1928 ed entrambi del tipo a U. Era di questo genere anche il 16 cilindri della Maserati V4, con distribuzione bialbero e due compressori volumetrici, apparso l’anno seguente.
A realizzare un vero V16, destinato a una vettura di serie, ha provveduto la Cadillac con il modello 452, entrato in produzione nel 1930 (non una grande idea, in piena depressione…).
In questo motore, dotato di una distribuzione ad aste e bilancieri, le due bancate di cilindri formavano una V di 45°. La cilindrata di 7,1 litri era ottenuta con un alesaggio di 76,2 mm e una corsa di 101,6 mm. L’albero a gomiti poggiava su cinque supporti di banco e le teste erano del tipo uniflow, con condotti sia di aspirazione che di scarico rivolti verso l’esterno. Nella prima serie la potenza era di 165 CV a 3200 giri/min. La Cadillac V16 è stata in listino per poco più di sei anni e il numero totale degli esemplari prodotti è stato inferiore a 4000.
A suo tempo è stata molto famosa la Marmon Sixteen, entrata in produzione nel 1931. Pure in questo caso le due bancate di cilindri erano a V di 45°, i supporti di banco erano cinque e la distribuzione era ad aste e bilancieri. Il motore, che pesava più di 450 kg, aveva una cilindrata di 8 litri e una potenza di 200 CV a 3400 giri/min. Questa vettura è stata costruita per tre anni soltanto, in poco meno di 400 esemplari.
Alle Auto Union da Gran Premio degli anni Trenta spetta un posto di assoluto rilievo nella storia dell’automobilismo. La più famosa è stata sicuramente quella a 16 cilindri, che ha gareggiato dal 1934 al 1937. Progettata da Ferdinand Porsche era nata come “P Wagen” ed è stata realizzata in tre versioni, l’ultima delle quali (tipo C) aveva una cilindrata di 6 litri, ottenuta con un alesaggio di 75 mm e una corsa di 85 mm, ed erogava 520 CV a 5000 giri/min. L’angolo tra le due bancate di cilindri era di 45° e l’albero a gomiti poggiava su 9 supporti di banco. La distribuzione prevedeva un unico albero a camme in testa, piazzato centralmente, che azionava le valvole di aspirazione mediante bilancieri a dito e quelle di scarico per mezzo di corte aste (perpendicolari all’asse cilindro) e bilancieri a due bracci. La sovralimentazione era affidata a un compressore volumetrico con asse di rotazione verticale.
Nel 1937 ha fatto la sua comparsa un’altra Cadillac a sedici cilindri, con le due bancate a V di 135°. In questo caso il motore, la cui cilindrata era di 7 litri, aveva la distribuzione a valvole laterali. La potenza era di 185 CV a 3600 giri/min. è stato un flop clamoroso perché in quattro anni di produzione ne sono stati costruiti soltanto poco più di 500 esemplari.
Per cercare di contrastare l’egemonia delle frecce d’argento tedesche, nel 1938 l’Alfa Romeo ha realizzato un motore a 16 cilindri di 3000 cm3 seguendo la stessa strada della Maserati, ovvero montando due bancate di otto cilindri ciascuna (quelle della 158) su di un unico basamento. E come nel caso dei motori V4 e V5 della casa del tridente, anche qui si impiegavano due alberi a gomiti, ognuno dei quali era supportato da 9 cuscinetti di banco. La distribuzione era bialbero e le teste delle bielle lavoravano su rullini. La potenza era di 440 CV a 7500 giri/min. Con questo motore sono state equipaggiate tre monoposto 316 da GP.
Non ha invece mai visto la pista l’interessante Alfa Romeo 162, con motore a 16 cilindri a V di 135° progettato da Wifredo Ricart nel 1939. La cilindrata di 3 litri era ottenuta con misure caratteristiche quadre (62 x 62 mm). La presa di moto era centrale e l’albero a gomiti ruotava su 10 supporti. Il basamento era in due parti che si univano secondo un piano verticale longitudinale. La distribuzione era bialbero e la sovralimentazione era assicurata da quattro compressori a lobi. La potenza prevista era di 490 CV.