Tecnica, i motori a 12 cilindri contrapposti (Prima parte)

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Autentici capolavori, sono stati pochi ma hanno lasciato un segno profondo
20 febbraio 2020

Quando si parla di motori molto frazionati invariabilmente si pensa che i loro cilindri siano disposti a V. Nella maggior parte dei casi in effetti è proprio così, e per ragioni assai valide. Le architetture in linea richiedono alberi a gomiti molto lunghi, e quindi soggetti a elevate sollecitazioni torsionali. I supporti di banco sono numerosi (ben nove, se i cilindri sono otto) il che significa notevole complessità realizzativa e considerevoli perdite per attrito. E infatti motori a otto cilindri in linea non ne vengono più costruiti. E di 12 cilindri con questa architettura, neanche parlarne! In questo secondo caso l’unica architettura che si può adottare è quella a V. La sola alternativa prevede che i cilindri siano contrapposti, ma è stata adottata molto raramente. Ricordiamo in proposito la sola Porsche, che ha utilizzato motori con questa configurazione negli anni Sessanta per la sua Formula Uno di 1500 cm3 e poi per le vetture Sport, tra le quali spiccano la 904/8 e la 908. Quest’ultima ha ottenuto numerose vittorie sul finire del decennio.

In questo servizio ci occupiamo dei motori a 12 cilindri contrapposti, che stati pochi ma tutti di grande interesse tecnico. La loro importanza nella storia del motorismo è notevole anche perché due di loro hanno vinto molto, e ai massimi livelli!

A rigore questi motori non devono essere definiti boxer ma a V di 180°. I loro alberi a gomiti hanno infatti sei perni di manovella, su ciascuno dei quali sono montate affiancate due bielle, collegate ai pistoni delle due bancate (“servono” cioè cilindri opposti). La soluzione canonica prevede che per ogni manovella ci siano due perni di banco, ossia uno da ogni lato. Nel nostro caso, sette in tutto. Dunque, la situazione è analoga a quella che si ha in un V12 di tipo classico. In alcuni casi assai illustri, come vedremo, di supporti di banco ne sono stati impiegati soltanto quattro, e in altri ben otto!

In un vero boxer la situazione sarebbe diversa e i pistoni di due cilindri opposti andrebbero ai rispettivi punti morti superiori contemporaneamente (e, 180° dopo, farebbero lo stesso raggiungendo i punti morti inferiori). Su ogni perno di manovella sarebbe montata un’unica biella. Per quanto riguarda i supporti di banco, se ce ne fosse uno a ciascun lato di ogni perno di manovella, in totale sarebbero ben 13! La complessità costruttiva sarebbe impressionante, per non parlare dei problemi legati alle sollecitazioni torsionali. E pure la lunghezza del motore ne risentirebbe in misura cospicua…

L’Alfa Romeo ha legato il suo nome a tre motori da competizione a dodici cilindri contrapposti, dei quali due sono purtroppo rimasti allo stadio di prototipo.

Il primo è stato progettato da Wifredo Ricart, che per un breve periodo è stato direttore tecnico presso l’azienda milanese, e ha visto la luce nel 1940. Era destinato a equipaggiare una monoposto a motore posteriore che avrebbe dovuto prendere il posto della 158. Si trattava di un 1500 sovralimentato, contraddistinto dalla sigla 512. I cilindri avevano le canne umide e il basamento era in due parti che si univano secondo un piano verticale. La distribuzione, comandata da due cascate di ingranaggi piazzate posteriormente, era bialbero con due valvole per cilindro, inclinate tra loro di 95°. I supporti di banco erano otto. La potenza era dell’ordine di 350 cavalli a 8600 giri/min, ma si prevedeva di portarla a valori assai più elevati nel corso dello sviluppo. Questo 12 cilindri era stato progettato per una bellissima monoposto a motore posteriore, che non è mai stata impiegata in gara. Un esemplare è visibile nel museo della casa ad Arese.

Subito dopo il termine della seconda guerra mondiale Piero Dusio, industriale appassionatissimo di motori (al punto da andare successivamente in rovina per causa loro) ha fondato la Cisitalia e ha affidato allo studio Porsche la responsabilità di realizzare il motore per la sua futura monoposto da Gran Premio. Nel 1949 sono così iniziate le prove di un 12 cilindri contrapposti di 1500 cm3 dalla tecnica molto evoluta, il “Tipo 360”. La distribuzione era bialbero e le canne erano riportate in umido. L’albero a gomiti composito era realizzato con il sistema Hirth e poggiava su sette cuscinetti di banco a rulli più uno a sfere (dal lato della frizione, per assorbire le spinte assiali). La potenza era di circa 340 CV a 10500 giri/min. La vettura non ha mai corso.

Al termine del 1951 le monoposto da Gran Premio non han più potuto impiegare più motori aspirati fino a 4,5 litri e sovralimentati di 1,5 litri. Le nuove regole prevedevano per le vetture di Formula Uno aspirati fino a 2500 cm3 e sovralimentati fino a 750 cm3 (un handicap decisamente eccessivo per questi ultimi). In previsione della entrata in vigore di tali norme l’Alfa Romeo ha realizzato un 2500 a dodici cilindri contrapposti di notevole interesse tecnico, il GP 160. Pure in questo caso la distribuzione era bialbero con due valvole per cilindro, fortemente inclinate tra loro. L’albero a gomiti era tipo Hirth, con cuscinetti di banco e di biella a rotolamento. Le canne erano riportate a secco e le teste erano in blocco con i cilindri (in gruppi di tre). Tra le particolarità di maggiore interesse spiccava la presa di moto centrale; lo stesso ingranaggio che trasmetteva il movimento all’albero ausiliario (posto nella parte inferiore del basamento) comandava anche le due cascate che azionavano gli alberi a camme. I supporti di banco erano otto. Al termine dello sviluppo la potenza avrebbe dovuto essere dell’ordine di 300 CV a 11.000 giri/min. La decisione della casa del Portello di ritirarsi dalle competizioni ha fatto sì che questo motore non sia stato mai impiegato in gara.

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