Tecnica: gli equilibratori dinamici

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La loro affermazione è stata una tappa importante nella storia della tecnica automobilistica
13 ottobre 2017

All’attuale livello di evoluzione nel campo della meccanica dei veicoli a motore si è arrivati grazie a decenni di intenso lavoro da parte dei costruttori. Il grande impegno di progettisti e tecnici addetti alla ricerca e allo sviluppo, ai quali vanno aggiunti gli specialisti delle aziende di componentistica, delle industrie metallurgiche e di quelle petrolifere, ha portato a risultati straordinari.

Oggi i motori, indipendentemente dalla loro struttura e del loro frazionamento, funzionano senza dare origine a vibrazioni o a ruvidità di sorta. In larga misura questo è dovuto alla ormai largamente generalizzata adozione (almeno per certe architetture) di efficaci equilibratori dinamici. Quelli impiegati in campo automobilistico sono di norma costituiti da alberi ausiliari dotati di masse eccentriche opportunamente disposte, rigorosamente fasati rispetto all’albero a gomiti. Il caso più diffuso è quello dei motori con quattro cilindri in linea, che sono quelli più largamente impiegati, per le vetture medie. Per lunghissimo tempo sono stati costruiti in numeri imponenti senza che si avvertisse la necessità di migliorarne l’equilibratura, in origine già buona. Due pistoni vanno verso il punto morto superiore mentre gli altri due vanno verso quello inferiore, e viceversa. Una situazione questa che a prima vista si potrebbe ritenere ottimale.

Le cose però non stanno proprio così e in effetti questi motori delle vibrazioni le producono. Sono infatti equilibrate le forze d’inerzia del primo ordine, ossia le più importanti, ma non quelle del secondo, che sono di entità nettamente minore e agiscono con una frequenza doppia. Queste ultime sono dovute al fatto che le bielle non hanno una lunghezza infinita (se così fosse il grafico che descrive lo spostamento del pistone in funzione dell’angolo di manovella avrebbe un andamento sinusoidale). Durante il funzionamento del motore le bielle si inclinano ora da un lato e ora dall’altro, rispetto all’asse del cilindro. Il piede è vincolato al pistone dallo spinotto e quindi va su e giù all’interno del cilindro mentre la testa di biella è montata sul perno di manovella dell’albero, che è in rotazione. Questo movimento pendolare delle bielle ha conseguenze importanti. Nei motori a quattro cilindri in linea i due pistoni che scendono dal punto morto superiore compiono metà corsa in un tempo minore rispetto ai pistoni che salgono dal punto morto inferiore. I pistoni che partono dal primo di questi due punti morti sono soggetti a una accelerazione più elevata (con la velocità massima che viene raggiunta notevolmente prima di 90° di rotazione dell’albero) rispetto agli altri due. Accelerazioni diverse significano forze differenti. Una perfetta bilanciatura è quindi impossibile. Quelle non equilibrate sono forze d’inerzia del secondo ordine che come detto agiscono con una frequenza doppia rispetto a quelle del primo ordine ma hanno una intensità notevolmente minore.

Purtroppo le forze d’inerzia aumentano non linearmente ma con il quadrato della velocità di rotazione; crescono inoltre al salire della cilindrata unitaria (le masse in moto alterno sono maggiori). In molti motori di serie per limitare l’ingombro verticale vengono impiegate bielle che, in rapporto alla corsa, hanno una lunghezza piuttosto ridotta, e questo è svantaggioso ai fini delle vibrazioni dovute alle forze del secondo ordine (le bielle stesse infatti si inclinano in misura maggiore).

Questa situazione non piaceva all’inglese F. Lancaster che già nel 1904 ha ottenuto un brevetto relativo a un sistema di equilibratura per i motori a quattro cilindri in linea utilizzante due alberi ausiliari controrotanti muniti di masse eccentriche, che ha impiegato su alcune sue vetture. I tempi però non erano maturi e all’epoca di un dispositivo del genere non si sentiva alcuna necessità.

La soluzione non è stata adottata da nessun altro costruttore e in seguito è caduta nel dimenticatoio. Solo negli anni Settanta c’è stato un risveglio di interesse nei suoi confronti. I motori avevano ormai regimi di rotazione ben diversi e le esigenze in fatto di NVH (cioè riduzione della rumorosità, delle vibrazioni e della ruvidità) stavano iniziando ad emergere.

Attorno al 1975 la Mitsubishi ha messo in produzione un modello che utilizzava due alberi ausiliari controrotanti e ben presto è stata seguita lungo questa strada da case come Porsche, Fiat e Saab. Era l’inizio di una graduale affermazione degli equilibratori dinamici in campo automobilistico. Per quanto riguarda l’architettura in linea, vanno segnalati i sistemi con un solo albero ausiliario utilizzati su motori a tre e a cinque cilindri, nei quali non sono le forze ma le coppie ad essere squilibrate.

I primi motori automobilistici costruiti in gran serie che hanno adottato un albero ausiliario di equilibratura avevano però una architettura a V di 60°. Si tratta di due quadricilindrici (Essex e Taunus), prodotti in Inghilterra e in Germania dalla Ford negli anni Sessanta e Settanta. E prima ancora gli alberi di bilanciatura non erano sconosciuti sui motori industriali…

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