Tecnica e storia: ottani & Co.

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Gli studi sui carburanti e il loro apporto allo sviluppo motoristico
24 novembre 2017

Il motore ad accensione comandata del tipo che tutti conosciamo, con il ciclo costituito da quattro fasi che si susseguono durante la rotazione dell’albero a gomiti, è nato per impieghi industriali e inizialmente impiegava un combustibile gassoso. Il primo è stato realizzato da Nikolaus August Otto nel 1876 e per questa ragione si parla spesso di motori a ciclo Otto. In quelli realizzati in precedenza non c’era la fase di compressione. Erano cioè motori “atmosferici”, dal rendimento molto più basso. Con il passare degli anni per fare iniziare la combustione si è generalizzato l’impiego di una candela, e per questa ragione quelli a ciclo Otto vengono anche definiti motori ad accensione per scintilla. Si tratta di quelli che il grande pubblico, digiuno di tecnica, chiama motori “a scoppio”, denominazione impropria perché di esplosioni all’interno dei cilindri non ne avvengono proprio (si tratta di combustioni rapidissime, ma che si svolgono gradualmente).

Quando Benz e Daimler hanno realizzato le prime automobili, le hanno dotate di motori di questo tipo, in versioni nettamente più leggere e più veloci di quelle destinate a impiego industriale. E hanno affrontato il problema del carburante, che doveva essere facilmente reperibile, stoccabile e trasportabile sui veicoli, passando da uno gassoso a uno liquido.

L’estrazione del petrolio era già iniziata da tempo. Le prime raffinerie hanno infatti visto la luce negli anni Cinquanta del XIX secolo. Le frazioni leggere, ottenute dal greggio con un processo di distillazione frazionata, venivano in genere chiamate “spirito di petrolio”. Più pesanti erano le frazioni che costituivano il cosiddetto ”olio di paraffina”, ovverosia il kerosene, che veniva largamente impiegato per le lampade a petrolio. Solo in seguito, grazie all’automobile, nella maggior parte delle nazioni si è diffuso il termine benzina per indicare la miscela di frazioni leggere destinata ad alimentare i motori ad accensione per scintilla. In Inghilterra però essa è stata chiamata petrol e negli USA gasoline (abbreviata in gas). 

Durante la prima guerra mondiale i tecnici hanno iniziato a rendersi conto che non tutte le benzine erano uguali e che a seconda di quella impiegata il comportamento dei motori poteva cambiare anche notevolmente. Quando gli USA sono entrati nel conflitto gli aerei alleati hanno cominciato ad essere alimentati con carburante proveniente da tale paese, e gli effetti sono stati disastrosi (frequenti rotture catastrofiche). La benzina americana aveva infatti un potere antidetonante più basso di quello utilizzato in precedenza, che proveniva dalle indie orientali. Nessuno però aveva ancora chiare le idee in materia…

Poco dopo la fine del conflitto la Shell ha dato incarico al famoso ricercatore inglese Harry Ricardo di effettuare una serie di studi e di ricerche sui carburanti e sulla combustione. L’impegno di questo tecnico ha rapidamente portato a fare luce sull’argomento, e ha individuato il fenomeno della detonazione.

Dall’altra parte dell’Atlantico si lavorava ancora più sodo. In particolare, presso la Delco i ricercatori Midgeley e Boyd hanno provato un gran numero di additivi al fine di individuare quelli più adatti ad aumentare il potere antidetonante della benzina. Alla fine del 1921 hanno scoperto che il più efficace era il piombo tetraetile. Questo additivo però dava luogo alla formazione di depositi e causava problemi di corrosione. È stato quindi necessario individuare una sostanza che, aggiunta in piccole quantità, fosse in grado di eliminare questi inconvenienti. Anche questa ricerche sono state coronate da successo e nel febbraio del 1923 a Dayton in Ohio è entrata in funzione la prima stazione di servizio che vendeva benzina contenente piombo tetraetile. Sul finire degli anni Venti l’impiego di questo additivo si è andato generalizzando.

Importanti ricerche sui carburanti e sulla combustione sono state effettuate presso la Ethyl Gasoline Co e nel 1926 hanno portato alla messa a punto da parte di G. Edgar della scala ottanica e dei metodi per rilevare il potere antidetonante dei carburanti.

Indicativamente, all’inizio degli anni Venti la benzina aveva un numero di ottano Research (cioè quello al quale si fa usualmente riferimento) dell’ordine di 45 – 50 e i motori avevano rapporti di compressione che arrivavano all’incirca a 4. Il potere antidetonante è successivamente aumentato e questo ha consentito ai costruttori di automobili di adottare rapporti di compressione via via più alti (attorno alla metà degli anni Trenta erano dalle parti di 5,5 - 6), il che ha fatto migliorare il rendimento termico, e quindi le prestazioni dei motori. Nel 1939 – 40 negli USA venivano vendute benzine Regular (numero di ottano da 68 a 72) e Premium (da 74 a 81). In Germania la Fahrbenzin aveva 74-75 ottani e la Superbenzin 80-82.

La corsa verso benzine con potere antidetonante sempre più alto è ripresa negli anni Cinquanta. In Germania nel 1954 la normale aveva 84 ottani e la super 88; nel 1960 questi valori erano passati rispettivamente a 92 e 98. Negli altri paesi industrializzati il trend è stato analogo, anche se i numeri di ottano (specialmente per quanto riguarda la normale) non erano proprio gli stessi.

Anche i sistemi impiegati per ottenere le benzine dal petrolio hanno subito importanti miglioramenti con il passare degli anni. Mentre la base del procedimento produttivo è sempre rimasta la distillazione frazionata (che si effettua in due fasi, la prima delle quali a pressione ambiente e la seconda sotto vuoto), per migliorare la resa, ossia la quantità di benzina per autotrazione ottenuta partendo da uno stesso volume di greggio, col tempo sono stati sviluppati importanti nuovi processi di raffineria. Alcuni di essi prevedono la rottura delle molecole delle frazioni più pesanti, che vengono così convertite in altre aventi dimensioni minori; altri processi “riarrangiano” gli atomi delle molecole in modo da trasformarle in quelle di altri idrocarburi con potere antidetonante più elevato. Ci sono poi sistemi che consentono di ottenere idrocarburi liquidi dalle frazioni gassose, mentre altri ancora trasformano le molecole ricorrendo alla aggiunta di idrogeno. Questi processi, alcuni dei quali prevedono il ricorso ad appositi catalizzatori, hanno nomi da tempo ben noti agli appassionati del settore motoristico: cracking, reforming, alkilazione, isomerizzazione, polimerizzazione, hydrotreating

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