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Quando si parla dei progressi tecnici compiuti in campo motoristico spesso si dimentica il formidabile contributo che nel corso del tempo è stato fornito dai lubrificanti, la cui evoluzione continua senza soste. Anzi, oggi si lavora con maggior vigore rispetto al passato, sotto la spinta di esigenze molto diverse da quelle di allora.
Una volta gli obiettivi erano quelli di aumentare la durata dei motori, riducendo l’usura dei vari componenti e di ridurre la frequenza di sostituzione dello stesso olio motore. Si combatteva contro la formazione di morchie, incrostazioni e lacche. Da tempo però tutto questo appartiene a un’altra era. Da vari anni a questa parte i tecnici del settore sono impegnati nello sviluppo di lubrificanti in grado di contribuire al contenimento dei consumi, cosa indispensabile per ridurre le emissioni di CO2. Sono diventati realtà gli oli a bassissima viscosità (si è perfino arrivati a 0W-8!!!), che hanno una straordinaria scorrevolezza e consentono di ridurre l’assorbimento di potenza sia da parte della pompa che per quanto riguarda l’attrito tra gli organi in movimento (perni e bronzine, pistoni e cilindri…).
Fino alla metà degli anni Venti del secolo scorso per indicare la viscosità degli oli per motori (delle altre caratteristiche non si parlava ancora!) si ricorreva a una vaga suddivisione in tre categorie, che negli USA venivano chiamate Light, Medium e Heavy. Nel 1926 la SAE ha pubblicato per la prima volta i suoi “viscosity numbers”, stabilendo sette classi, ciascuna delle quali era contraddistinta da un numero di due cifre (da 10 a 70), del quale il secondo era sempre uno zero. Venivano anche stabilite le modalità con le quali doveva essere rilevata la viscosità stessa. In seguito il discorso è stato allargato, prendendo in considerazione la viscosità degli oli alle basse temperature (importante per gli avviamenti a freddo nella stagione invernale), e sono state aggiunte tre classi, indicate da un numero di due cifre seguito dalla lettera W e descrivendo anche in questo caso le modalità, ben diverse, da impiegare per effettuare la misura. Parallelamente sono stati abolite le classi 60 e 70.
Per gli automobilisti la pratica usuale, seguendo le prescrizioni dei costruttori, era quella di impiegare un olio più fluido d’inverno e uno con viscosità più elevata in estate. Questa situazione si è protratta per lungo tempo, fino a che non sono diventati commercialmente disponibili gli oli multigradi e si è poi generalizzato il loro impiego.
Nel 1929 Dean e Davis avevano effettuato importanti ricerche sull’indice di viscosità e nei decenni successivi alcune case petrolifere avevano iniziato a studiare la possibilità di migliorarlo. In pratica si cercava di ridurre la diminuzione di viscosità che l’olio subiva al crescere della temperatura. Le ricerche sono culminate con la comparsa dei primi veri oli multigradi (SAE 10W-30) negli USA nel 1952-53. Occorre dire che già da qualche anno erano noti i “double graded oils” ma che il loro impiego non si era diffuso in misura apprezzabile.
Per ottenere un olio multigrado si aggiungeva a una base piuttosto fluida una certa quantità di miglioratori di indice di viscosità, costituiti da polimeri di vario tipo (polibuteni, polimetacrilati, polialkilstireni), dotati di un elevato peso molecolare. La solubilità nell’olio di tali additivi aumentava sensibilmente al crescere della temperatura. Le molecole, inizialmente molto “raccolte”, si srotolavano aumentando di dimensioni e “incorporando” olio. In questo modo la resistenza allo scorrimento del lubrificante diventava notevolmente maggiore di quella che il fluido avrebbe avuto senza di esse.
La diffusione degli oli multigradi non è stata rapida come si potrebbe pensare. Nel 1963 essi costituivano poco più del 25% del totale dei lubrificanti per i motori automobilistici venduti negli USA e nel 1966 in Francia arrivavano al 60%. Al termine degli anni Sessanta gli oli unigradi potevano considerarsi pressoché totalmente soppiantati.
Oltre alla viscosità, in un lubrificante ci sono altre caratteristiche estremamente importanti da considerare; da esse dipendono infatti il tipo di servizio che l’olio è in grado di fornire (ovvero le sue prestazioni, eccettuate come detto quelle che dipendono dalla viscosità) e la sua vita utile. A proposito di quest’ultima basta ricordare che all’inizio degli anni Cinquanta c’era ancora chi prescriveva la sostituzione dell’olio estivo ogni 2000 km e di quello invernale ogni 1200 km…
Oggi, come tutti dovrebbero sapere, il livello qualitativo (o prestazionale) dei lubrificanti per motori è indicato da sigle che vengono riportate sulle lattine e che certificano la capacità di superare severe prove stabilite da enti come API, ACEA e JASO e da alcune case costruttrici (Volkswagen, Mercedes-Benz…).
Prima del 1947 gli oli venivano classificati solo in base alla loro viscosità. Alcuni produttori già impiegavano comunque qualche additivo con lo scopo di ostacolare la formazione di morchie e di impedire l’incollamento dei segmenti. Un altro problema che si poteva rivelare importante era costituito dalla corrosione delle bronzine. Nella seconda metà degli anni Trenta qualche azienda petrolifera ha iniziato ad impiegare degli additivi detergenti (si trattava in genere di fenati e fosfonati). Nel 1941 la Lubrizol ha cominciato ad impiegare i ditiofosfati di zinco, rivelatisi eccellenti come antiusura e validi anche come antiossidanti.
Nel 1947 l’API (American Petroleum Institute) ha varato la sua prima Service Classification, che prevedeva tre categorie: Regular, Premium (con alcuni additivi anticorrosione e antiossidanti) e Heavy Duty (con anche additivi detergenti e disperdenti). Cinque anni dopo esse sono state sostituite da tre livelli di servizio indicati dalle sigle MS (leggero), MM (medio) e ML (gravoso). Alla fine degli anni Sessanta finalmente sono apparsi i livelli qualitativi indicati da sigle di due lettere come quelle che conosciamo oggi (per i lubrificanti destinati ai motori a benzina la prima è una S). Il livello MS è diventato SD nel 1968; nel 1972 è apparso l’SE, che prevedeva il superamento di prove più severe. Nel 1980 è stata la volta dell’SF e nel 1989 dell’SG. Tutti questi livelli sono da tempo obsoleti. Dal 2011 il top è diventato l’SN, che in quanto a esigenze da soddisfare supera l’SL del 2004 e il successivo SM.