Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su info@moto.it
Fin dagli anni Cinquanta alcuni costruttori hanno iniziato ad impiegare cilindri in lega di alluminio nei quali al posto delle canne in ghisa venivano utilizzati sottili riporti di cromo, applicati con un procedimento galvanico. A mettere a punto tale soluzione ha lavorato principalmente la tedesca Mahle, famosa produttrice di pistoni e di altri componenti, per motori sia di serie che da competizione.
I primi esempi di adozione su vasta scala dei riporti di questo tipo si sono avuti in campo motociclistico (spicca qui la nostra Moto Guzzi). Per quanto riguarda le auto, la soluzione veniva utilizzata dalla Mercedes-Benz sulla sua straordinaria 300 SLR, vincitrice della Mille Miglia e del campionato mondiale per vetture Sport nel 1955. Si trattava di una vettura da competizione, realizzata con l’obiettivo di fornire le massime prestazioni e di avere un peso ridotto al minimo. Nelle auto di serie però dei riporti di cromo non c’era alcuna necessità; la loro comparsa è infatti avvenuta diversi anni dopo e la diffusione si è limitata ad alcune vetture di prestazioni particolarmente elevate. La Porsche ha realizzato e ha utilizzato per diverso tempo cilindri in lega di alluminio con riporto di cromo, per motivi di leggerezza (importanti anche per i modelli di serie, nei quali il motore posteriore era montato a sbalzo) e per agevolare il raffreddamento dei suoi boxer raffreddati ad aria. Passando da un cilindro in ghisa a uno in lega di alluminio con riporto di cromo, ferme restando le dimensioni, il peso diminuiva di circa il 44% e la capacità di condurre il calore aumentava del 17%.
Sulle canne dei cilindri veniva applicato uno strato di cromo industriale (ben diverso da quello che si deposita su altre parti del veicolo per ragioni estetiche) in spessori di 0,06 – 0,08 mm. La durezza era molto elevata: ben 800 – 1200 punti Vickers.
L’olio non “bagna” bene le superfici cromate e quindi per consentire la deposizione di uno strato aderente e ben distribuito di lubrificante è stato necessario mettere a punto delle tecniche particolari, con le quali si formavano microscopiche crepe superficiali, si otteneva una “porosità artificiale” o si realizzavano meccanicamente minuscole depressioni.
Per diverso tempo i riporti di cromo hanno avuto largo impiego in campo motociclistico sui motori a due tempi (assai meno su quelli a quattro) perché, oltre ad agevolare il flusso di calore dalla parte interna a quella esterna del cilindro e a ridurre il peso, rispetto alle canne in ghisa consentivano l’impiego di una minore percentuale di olio nella miscela.
Nei cilindri dei motori per auto e per moto i riporti di cromo sono stati completamente soppiantati da quelli costituiti da uno strato di nichel nel quale sono disperse particelle di carburo di silicio. Questi depositi superficiali, applicati essi pure galvanicamente, hanno eccellenti caratteristiche: grande durata, elevata resistenza al grippaggio, buona conduttività termica. Il primo, e più famoso, è stato sviluppato dalla Mahle ed era il frutto di lunghe ricerche e sperimentazioni compiute sui motori Wankel durante gli anni Sessanta. Il riporto, che l’azienda tedesca ha denominato Nikasil, ha uno spessore di 0,05-0,08 mm. La durezza della matrice di nichel è di circa 600 punti Vickers e quella delle particelle di carburo di silicio, che hanno un diametro di 2-3 micron, è dell’ordine di 2500.
Mentre in campo motociclistico questi rivestimenti superficiali dominano la scena in quanto utilizzati su praticamente tutti i modelli di elevate prestazioni, sulle automobili di serie la loro diffusione è limitata ad alcune realizzazioni di alto livello e di particolare raffinatezza. Per quanto riguarda i motori da competizione però le cose stanno diversamente e l’impiego dei riporti al nichel-carburo di silicio è pressoché universale. L’applicazione sulle canne o sui cilindri singoli è relativamente agevole, anche se richiede una tecnologia particolare. Diventa però più complessa (e costosa) quando il rivestimento deve essere applicato sulle canne integrali di blocchi con più cilindri, specialmente se di grandi dimensioni.
Una soluzione interessante è costituita dall’impiego di canne in lega di alluminio con riporto al nichel-carburo di silicio riportate in umido in un blocco in lega leggera. Viene utilizzata in alcuni motori di serie di elevate prestazioni e ha dominato la scena in quelli di Formula Uno fino a quando, nei primissimi anni Duemila, per contenere l’ingombro e quindi ridurre anche il peso dei motori, i costruttori non sono passati per i loro V10 ai basamenti con canne integrali (dotate quasi sempre dello stesso tipo di riporto).