Tecnica e storia: basamento, robusto, ma sempre più leggero

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Come si è evoluto il disegno del basamento
13 gennaio 2020

La funzione e il disegno dei vari componenti dei motori automobilistici sono ben noti a tutti gli appassionati. Stavolta parliamo del basamento, ovvero della struttura che alloggia e sostiene l’albero a gomiti grazie ai supporti di banco, muniti dei relativi cuscinetti (di norma si tratta di bronzine), e che protegge le parti mobili evitando l’ingresso di aria esterna, polvere e umidità, impedendo al tempo stesso che l’olio possa fuoriuscire.

Da molti anni a questa parte la soluzione classica, per i motori con architettura in linea, prevede che il basamento sia realizzato in blocco con la bancata dei cilindri. Lo stesso vale ovviamente per i motori a V, nei quali però le linee di cilindri sono due.

In passato però la situazione è stata a lungo differente.

Ai primordi del motorismo lo schema tipico prevedeva che la testa fosse incorporata nella stessa fusione in ghisa dei cilindri, spesso realizzati in gruppi di due. Non era cioè amovibile e in genere non ospitava le valvole, dato che nella grande maggioranza dei casi esse erano piazzate lateralmente. Il “blocco” in questione veniva fissato superiormente al basamento, che si riduceva a una semplice scatola in ghisa o in lega di alluminio ad alto tenore di rame. Nei motori con più di due cilindri spesso si impiegavano due blocchi testa/cilindro e talvolta anche tre.

L’evoluzione della tecnica ha portato in seguito per i motori di serie alla affermazione delle teste amovibili, cosa che ha anche agevolato la diffusione delle distribuzioni ad aste e bilancieri o con un albero a camme in testa (e in qualche caso addirittura due). A partire dalla fine degli anni Trenta inoltre ha consentito, per le teste, la graduale adozione delle leghe di alluminio al posto della ghisa.

Nel basamento è stato incorporato il blocco cilindri e, per quanto riguarda il materiale, con tale struttura “monoblocco” è stata invariabilmente adottata la ghisa. Questo fino a che non hanno iniziato ad essere impiegate le leghe di alluminio, con canne riportate in ghisa, che però hanno impiegato molto tempo per riuscire ad ottenere una diffusione realmente importante.

Nei motori da corsa le cose sono andate un poco diversamente e la soluzione costruttiva che prevede teste fisse ovvero non separabili dai cilindri e formanti con essi un unico blocco (imbullonato sopra il basamento in lega leggera) ha continuato ad essere impiegata nei motori che hanno vinto i primi sei mondiali di Formula Uno, cioè fino al 1955.

A Indianapolis la scena è stata dominata per decenni (dagli anni Trenta a metà degli anni Sessanta) dai motori Offenhauser, che avevano la testa e la bancata dei cilindri in un’unica fusione (in ghisa!) e il basamento in lega di alluminio. Quest’ultimo aveva una struttura a tunnel, utilizzata decisamente di rado nel settore automobilistico (vanno ricordati alcuni motori diesel costruiti dalla VM).

Abbastanza particolare è lo schema adottato dalla Lancia in alcuni suoi motori a V stretto, che prevede, tra la testa e il basamento (ridotto a una specie di scatola in lega di alluminio) un blocco cilindri separato e ovviamente amovibile, realizzato in ghisa e munito di canne integrali. Questa soluzione oltre ad essere stata utilizzata in modelli famosi come l’Appia e la Fulvia, ha trovato impiego anche nei motori a sei cilindri in linea degli autocarri pesanti (Tre Ro, Esatau, Esagamma) prodotti dalla casa torinese. Pure nel motore della Vanwall di Formula Uno degli anni cinquanta la bancata dei cilindri separata veniva stretta come in un sandwich tra la testa e il basamento, ma si riduceva alle sole pareti esterne; era in lega di alluminio mentre le canne dei cilindri, umide e con appoggio in basso, erano in ghisa.

È interessante a questo punto dare un’occhiata a quanto accaduto in un settore che per lungo tempo è stato una autentica punta di diamante della tecnologia motoristica, quello aeronautico. Nei grossi motori a V protagonisti della seconda guerra mondiale si impiegavano sia teste amovibili, con bancate dei cilindri incorporate nel basamento (Rolls-Royce Merlin, Junkers Jumo), che teste realizzate in un unico blocco con le bancate dei cilindri (Daimler-Benz). Diversa era la situazione per i grandi motori stellari, nei quali il basamento, ridotto a una sorta di autentica scatola alla quale erano fissati tutti i cilindri, era straordinariamente sollecitato. Al punto che la soluzione standard prevedeva che esso fosse ottenuto per forgiatura in lega di alluminio. Quello del suo formidabile 801 la BMW lo aveva addirittura realizzato in acciaio!

I basamenti dei motori automobilistici raffreddati ad aria rientrano in una categoria a sé stante. Di norma in questo caso i cilindri, debitamente alettati, sono amovibili e individuali, ossia costituiti da fusioni singole. Il basamento si riduce quindi ad essere poco più di una scatola, che in genere è in due parti simmetriche che si uniscono secondo un piano mediano verticale il quale taglia a metà i supporti di banco.

Nei motori di schema classico, con blocco cilindri incorporato nella stessa fusione del basamento nel corso degli anni si è avuta una crescente corsa alla rigidezza, ovviamente abbinata alla maggior leggerezza possibile. Dai cappelli di banco fissati con due viti si è passati a quelli con quattro (per diverso tempo esclusivi dei motori da corsa) e a quelli con due viti trasversali, a 90° rispetto alle due principali. E infine si è arrivati ad impiegare un sottobasamento, ossia una struttura unica nella quale sono incorporati tutti i cappelli di banco (il piano orizzontale di unione al basamento taglia cioè a metà gli alloggiamenti delle bronzine di banco).

Per quanto riguarda infine i materiali, agli albori del motorismo, quando per il basamento si optava per le leghe di alluminio, venivano impiegate quelle al rame. Non avevano una grande colabilità ma per le semplici geometrie in gioco andavano bene. Poi, quando si è imposto lo schema che prevede blocco cilindri e basamento in un’unica fusione, sono state le ghise (prima impiegate solo per i cilindri e per le teste) a dominare la scena. Più o meno dalla metà degli anni Trenta su qualche motore di serie hanno cominciato a venire impiegati basamenti in lega di alluminio al silicio, sempre in un’unica fusione con la bancata dei cilindri, come da tempo si faceva per i motori da competizione. Oggi la ghisa è ancora molto utilizzata, ma i basamenti in lega di alluminio, dal peso minore, sono sempre più numerosi.

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