Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su info@moto.it
Accanto a schemi consolidati, adottati dalla maggior parte dei costruttori, ce ne sono stati altri che hanno interessato le valvole e i loro i sistemi di comando e di richiamo. Alcuni erano validi ma costavano troppo o non erano vantaggiosi sotto l’aspetto costruttivo o funzionale. Altri erano forse troppo fantasiosi…
Nei motori con camere di combustione emisferiche o a tetto le valvole, inclinate tra loro, sono trasversali. Da un lato della testa ci sono quelle di aspirazione e dall’altro quelle di scarico. Qualcuno però non ha voluto adottare questa soluzione, più che logica e largamente standardizzata. Sono così state proposte teste con quattro valvole disposte radialmente, che però in campo automobilistico non sono state adottate nella produzione di serie, mentre hanno avuto un apprezzabile impiego in alcuni motori monocilindrici per moto. Ha avuto invece larga utilizzazione sulle vetture di un celebre costruttore un altro schema, che prevede una disposizione delle due valvole inclinate di ogni cilindro su di un piano trasversale, ovvero parallelo all’asse dell’albero a gomiti. La casa della quale stiamo parlando è la Lancia che ha utilizzato questa soluzione costruttiva su modelli come l’Ardea, con distribuzione monoalbero, l’Aurelia e la Flaminia (entrambe con motore a sei cilindri a V di 60°) e infine la Flavia, costruita dal 1960 al 1971. Questa vettura, prima trazione anteriore della casa torinese, era dotata di un motore a quattro cilindri contrapposti interamente in lega di alluminio e aveva la distribuzione ad aste e bilancieri azionata da due alberi a camme piazzati nel basamento. Quest’ultimo era in due parti simmetriche (ognuna delle quali incorporava una bancata di cilindri) che si univano secondo un piano verticale longitudinale. Le canne dei cilindri erano riportate in umido, con bordino di appoggio inferiore. Il motore della Flavia è stato costruito in cilindrate che vanno da 1,5 a 2 litri.
Per richiamare le valvole si impiegano di norma le molle elicoidali, oggi disponibili in più versioni. Sono estremamente diffuse quelle cilindriche a passo variabile, ma stanno trovando un numero di applicazioni crescente quelle del tipo detto Beehive, nelle quali è troncoconica la parte opposta alla estremità di appoggio. Ciò consente di ridurre la massa mobile della molla e di impiegare uno scodellino di minori dimensioni e quindi più leggero. A pari accelerazione della valvola e con uno stesso regime massimo di rotazione è quindi possibile impiegare molle con un carico minore, il che è vantaggioso in quanto consente di ridurre le perdite per attrito nel complesso della distribuzione, cosa vantaggiosa ai fini del contenimento dei consumi.
Un altro tipo di molla, che in passato ha avuto ampio impiego nei motori per moto ma che in campo auto è stato utilizzato solo raramente, è quello a spillo, con il filo che lavora non a torsione ma a flessione. Hanno usato molle di questo genere solo alcuni motori da competizione degli anni Cinquanta come certi Ferrari e Maserati (V8 e V12, poi utilizzato anche dalla Cooper nel 1966) e i quadricilindrici Vanwall e BRM di Formula Uno.
Molto interessanti sono le molle a barra di torsione, alle quali nel settore automobilistico hanno legato il loro nome le Panhard del dopoguerra. Queste vetture, prodotte fino al 1965, erano dotate di un motore a due cilindri contrapposti di grande raffinatezza tecnica. Raffreddato ad aria, aveva un albero a gomiti composito e cuscinetti di banco e di biella a rotolamento. Ogni testa era fusa in blocco con il relativo cilindro; la canna in ghisa era installata con interferenza. Per il richiamo delle valvole si impiegavano, come detto, barre di torsione, alloggiate in appositi astucci tubolari che fuoriuscivano dalle teste. La loro disposizione è cambiata nella seconda (e più performante) versione del motore.
La Honda ha dedicato notevole attenzione alle barre di torsione attorno alla metà degli anni Sessanta. Le ha adottate sulla moto bicilindrica CB 450, che è stata prodotta fino al 1974 (per trasformarsi poi nella CB 500 T) e che ha avuto una notevole diffusione anche in Italia. Per quanto riguarda le auto, le ha invece impiegate nel 1968, non su un modello di serie ma su due suoi motori di Formula Uno (a 12 e a 8 cilindri).
Le barre di torsione sono state impiegate per richiamare le valvole anche nel motore Butterworth costruito nella seconda metà degli anni Cinquanta. Si trattava di un quattro cilindri contrapposti di 1,5 litri raffreddato ad aria che è arrivato ad erogare circa 150 cavalli a 7000 giri/min. La caratteristica saliente di questo interessante quadricilindrico non era costituita però dall’adozione delle barre di torsione ma dal tipo di valvole impiegate. Quelle di aspirazione infatti non scorrevano lungo guide installate nella testa ma oscillavano!
Le valvole in questione sono state realizzate nella seconda metà degli anni Cinquanta da Archie Butterworth, un creativo tecnico irlandese. Inizialmente sono state provate su di un monocilindrico motociclistico e successivamente sono state installate sul quadricilindrico boxer 1500, che è stato montato su una vettura da competizione ed è stato anche impiegato in gara.
Queste valvole oscillanti, impiegate solo alla aspirazione, sono nate in due parti, cosa che consentiva di effettuare la smerigliatura. Poi si è passati alla soluzione in un sol pezzo, per ovvie ragioni di leggerezza e di profilatura aerodinamica.
A Butterworth si deve anche un cambio sequenziale il cui principio di funzionamento era analogo a quello dei cambi a crociera scorrevole. In questo caso però a scorrere era l’albero stesso, che ovviamente era tubolare. Tale dispositivo è piaciuto molto a Colin Chapman, che ne apprezzava in particolare il peso ridotto e la rapidità di innesto. Questo lo ha spinto a realizzarne uno di tipo analogo per le sue prime Lotus da competizione.