Tassa sul contante: buona idea, anzi pessima

Tassa sul contante: buona idea, anzi pessima
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La proposta di Confindustria di tassare al 2% il prelievo al bancomat non raccoglie, ma c’era da immaginarselo, molti consensi. Consumatori imbufaliti, esercenti già esasperati dalla fatturazione elettronica fanno notare che gli unici a guadagnarci sarebbero le banche
17 settembre 2019

Uno dei temi più caldi degli ultimi giorni è quella che è stata definita la “tassa sul contante”. L’idea è stata lanciata da Confindustria, che propone un incentivo ed un disincentivo che viaggerebbero in tandem: da una parte una “tassa” del 2% sui prelievi di contante (ATM o sportello fisico della banca) oltre i 1.500 euro mensili (la metà dei prelievi attuale); dall’altra, un credito di imposta del 2% sul valore della transazione (cioè uno sconto sulle tasse) per chi paga con moneta elettronica o con bonifico. Gli industriali stimano che lo Stato recupererebbe 3,4 miliardi in un anno. 

Lo scopo? Far emergere, a dire dell’associazione, l’economia sommersa che ammonta circa al 12,4% del PILsecondo il MEF. Che fine dovrebbero fare le commissioni per il prelievo oggi applicate dalle banche ancora non si sa: erano sparite qualche anno fa sulla spinta della concorrenza, ma sono state ripristinate pian piano dalla maggior parte degli istituti, unilateralmente come previsto dalla normativa che ne dà loro facoltà.

D’accordo con Confindustria sulla digitalizzazione dei pagamenti, ma solo in parte, c’è anche Confesercenti: «La ricetta non può essere quella di bastonare i consumatori che prelevano contanti», commenta la Presidente di Confesercenti Patrizia De Luise. «La crescita dei consumi è tornata ai minimi degli ultimi anni, e rimane l’interrogativo dell’Iva. Diciamo quindi no a penalizzazioni sui contanti: per una volta, scegliamo la carota e favoriamo la moneta elettronica dando un vantaggio ai consumatori. Allo stesso tempo, affrontiamo il nodo delle commissioni sui piccoli pagamenti e quello delle infrastrutture: in alcune zone del nostro Paese ci sono ancora gravi problemi di copertura, un fatto che non può essere ignorato, ciascuno deve essere libero di poter pagare in contanti o con moneta elettronica. La moneta elettronica deve essere più conveniente del contante».

Sulla stessa linea anche Confcommercio: «La priorità rimane, comunque, quella di ridurre le commissioni previste per l'utilizzo della moneta elettronica sia per gli acquirenti che per i commercianti. Per questi ultimi, la riduzione può essere realizzata anche per via fiscale attraverso lo strumento del credito d'imposta. In ogni caso, i micropagamenti, quelli ad esempio al di sotto di 30 euro, dovrebbero essere esenti da commissioni a carico delle imprese del commercio».

Tutti rimangono d’accordo sul fatto che, se davvero si deve percorrere la strada della moneta elettronica, non si può prescindere dal calmierare le spese che gli esercenti sono costretti a sostenere nei confronti delle banche che erogano il servizio per commissioni, affitto del terminale Pos, spese una tantum e manutenzione dello stesso.

Secondo Business Insider, un commerciante che accetta un pagamento con carta di credito et similia può essere costretto a rinunciare fino al 9% di quanto incasserebbe con il contante. Qualche esempio: un terminale per pagamenti di Unicredit costa 100 euro una tantum ed un canone che oscilla tra i 30 e i 90 euro mensili, a cui vanno aggiunte le commissioni variabili da un 2,25% fino al 5%. Con Intesa Sanpaolo si pagano 200 euro per l’installazione, un canone mensile da 40 a 55 euro e commissioni che oscillano dall’1,8% (con un minimo però di 50 cent) al 4,45%.

Quello di avere un Pos, peraltro obbligatorio dal 2016, è chiaramente un balzello bello tosto per qualunque esercente, che può ripercuotersi sul prezzo finale di ogni bene o servizio acquistato con moneta elettronica. Lo sanno bene i gestori delle pompe di benzina, sul piede di guerra lo scorso anno per la fatturazione elettronica che ha raddoppiato di fatto i costi dei terminali, e che solo da qualche mese hanno ottenuto un credito d’imposta pari al 50% del totale delle commissioni addebitate per le transazioni effettuate a partire dal 1 luglio 2018. Insomma, da un lato banche ed operatori dei pagamenti elettronici sono liberi, in nome del libero mercato, di stabilire i prezzi del servizio, dall’altro lo Stato ci mette una pezza rinunciando ad una parte di gettito per evitare che si riducano ulteriormente i già risicati margini dei gestori. 

Che un sistema di tassazione sui prelievi di contante sia, senza troppi giri di parole, un regalo per le banche, lo sostengono in molti. Anche una voce insospettabile come l’ex ministro dell’economia Vincenzo Visco: «La proposta di Confindustria su contanti non serve a molto. Se uno mette una tassa del 2% sul prelievo, questa viene aggirata comodamente. Dopodiché l'evasione non dipende soltanto dall'uso del contante al consumo, gran parte dell'evasione avviene senza contante, semplicemente manipolando i bilanci delle imprese». 

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