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Metti un giorno a Mirafiori, nel cuore di Torino: una città fortemente tradizionalista che soffre di una pesante disillusione. Il primo sintomo di un malessere diffuso ce l'hai già sul taxi che ti porta in via Plana 80, porta 31. Il tassista si lancia subito nelle confidenze: "Va a Mirafiori? Ma li non c'è più niente, lo sa che quando la Fiat era la Fiat chiamavano 80 taxi all'ora? Ora sei o massimo sette al giorno". Non so se questo sia un indice affidabile della vivacità industriale del capoluogo piemontese, ma di certo fa parte di quel sentimento che sta nella pancia dei lavoratori e della gente comune: la Fiat se ne va, anzi, se n'è già andata. Fake news?
È esattamente quello che sostiene il Ceo di Stellantis Carlos Tavares: la Fiat non sta abbandonando né Torino né l'Italia, e una piccola dimostrazione di queste intenzioni era proprio l'evento di ieri, l'inaugurazione di una fabbrica da 500 addetti per realizzare il nuovo cambio eDCT su cui torneremo. Ma allora le casse integrazioni, gli scioperi, la produzione che va all'estero?
Fa tutto parte di un piano improntato ad un forte pragmatismo, spiega Tavares: il dirigismo europeo ha voluto cambiare le regole del gioco con il bando delle termiche nel 2035 senza che l'industria lo chiedesse e soprattutto senza alcuna valutazione dell'impatto che questa imposizione avrebbe provocato. E, sottolinea Tavares, non si tratta di una di quelle imposizioni "additive" del tipo "oltre a quel che fate già, dovete aggiungere questo e quest'altro" come spesso è accaduto in passato (ad esempio con l'evolversi delle norme Euro 1, 2 ecc) ma di una trasformazione totale di tutti i processi, dalla raccolta delle materie prime al reperimento delle fonti di energia. Tutto questo ha obbligato a cambiare radicalmente gli investimenti e a ripensare al sistema di fabbricazione.
L'Italia e le fabbriche Stellantis sono evidentemente al centro di questa transizione per una serie di motivi fra cui è prevalente il costo del lavoro, e se ne deduce che gli impianti presso i quali si indirizzeranno gli investimenti saranno quelli dove questa variabile è maggiormente sotto controllo, ma il CEO ha voluto smentire categoricamente il "disimpegno" di Stellantis e lo ha fatto citando i 4 modelli multi energia in arrivo a Melfi, le 4 realtà industriali create a Mirafiori e di quanto la produzione di modelli iconici come la Fiat 500e (che nasce a Mirafiori) potrebbe salire di 25.000 unità se si sbloccassero gli incentivi. sulla decisione di produrre la Alfa Romeo Milano in Polonia, al momento del lancio ha detto che se fatta in Italia sarebbe costata 10.000 euro in più.
Molto più che a Mirafiori, è a Melfi che Stellantis prepara la transizione verso le piattaforme STLA, che daranno i natali a modelli Lancia, Opel, DS e la nuova Jeep Compass, quattro nuove auto in due anni. Termoli vedrà presto una gigafactory per le batterie e a Pomigliano la vita della Panda (meglio, Pandina) è stata - saggiamente - allungata fino al 2030. Tutti i motori diesel del Gruppo (in forte calo per le auto, ma ancora molto presenti nei veicoli commerciali in cui Stellantis eccelle ad Atessa) saranno concentrati a Pratola Serra.
Altro tema cui l'AD di Stellantis si è molto infervorato è il paventato arrivo di costruttori cinesi in Italia, cosa che porrebbe minacce molto serie alla produzione, che Tavares ha materializzato concretamente sotto forma di aut-aut: una entrata delle fabbriche (o di fabbriche-cacciavite) nel nostro Paese "non aumenta le vendite di auto in termini di numeri, anche se costano poco, ma riduce la nostra quota di mercato. E se si vende di meno, si produce di meno. Chi prende decisioni di questo genere si deve poi assumere la responsabilità delle conseguenze".
Va ricordato che Stellantis è uno dei pochi grandi gruppi automobilistici ad avere ancora accordi paritetici (anzi, il 51%) con un'azienda cinese (Leapmotor) e che laggiù i costi del lavoro sono inferiori del 30%. Una eventuale importazione in Europa della piccola T03 o altri modelli porterebbe dunque molti vantaggi a Stellantis, ma se i dazi d'importazione (oggi al 10%) fossero inaspriti per decisione della UE (si parla di un ulteriore 25%) anche questa prospettiva svanirebbe. I piani oltre il 2027 rimangono dunque ancora da definire nell'insieme e molto dipenderà - lo dice lo stesso Tavares - da come cambierà lo scenario politico dopo le elezioni europee di giugno e quelle americane a novembre. "E comunque - ha aggiunto il boss - io non racconto i miei piani strategici e tecnologici a chi dialoga coi cinesi, non voglio che finiscano nelle mani di un potenziale concorrente".