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Leggo sull’elenco degli iscritti. Numero 441, Stefano Marrini. Stop.
Sulla lista non è indicata la vettura, né è riportato il nome del navigatore. Penso che l’elenco sia ancora provvisorio e quindi approssimativo. Oppure che si tratta di un altro di quelli “scriteriati” che hanno deciso di fare tutto da soli. Non resta nient’altro da fare che chiamare direttamente per avere delucidazioni. Ne esce un’altra storia di grande, incondizionata passione.
Prendiamola alla larga. Buongiorno Stefano. Con che auto, infine, parteciperai alla Dakar 2015?
Stefano Marrini: «Prendiamola pure alla larga, tanto si arriva presto al punto. Farò la Dakar con la stessa macchina con cui sono partito nell’edizione 2012, una Mitsubishi Pajero ex RallyArt Italia, una della macchine allestite e preparate da Renato Richler. È una buona macchina, non aggiornatissima ma efficiente. È anche un ex T2, poiché l’omologazione è scaduta e ora deve corre con i T1, come se fosse un prototipo. Ma questo non è un problema. Semmai lo è il fatto che per quel tipo di gara oggi è un po’ penalizzata. Ma che ci posso fare? Non ne ho altre! L’importante è che sia una buona macchina. Nel 2012 mi sono fermato all’undicesima tappa. Quest’anno spero di arrivare “almeno” fino alla fine del Rally».
E dunque, stando alla lista degli iscritti, la tua intenzione sarebbe quella di fare la Dakar senza il contributo di un navigatore?
SM: «Nooo, le cose non stanno così. La verità è che alla decisione di poter aggiungere il nome del navigatore sulla mia fiche di iscrizione ci sono arrivato negli ultimi giorni. E ora è difficile smuovere la gente di ASO. Chissà, certamente avranno il loro bel da fare. Ma io insisto, rompo le scatole. No, il navigatore, alla fine c’è. È un mio amico messicano, si chiama Kurt Ritcher. L’ho conosciuto nella sua Terra quando sono andato a correre il Rally del Messico. Faceva parte dell’organizzazione, e come me ha molta passione. Non ha una grande esperienza di navigazione, ma la condizione “primitiva” c’è: ha voglia di fare la Dakar. Mi basta».
Domanda pleonastica. Come mai la decisione è stata così “lunga”?
SM: «Perché la verità è che sono uno che, come tanti, ha tanta passione ma pochi soldi. Un connubio che si sposa male con la voglia di correre. Diciamo che dopo anni e anni di gare, soprattutto nei Rally, anche fuori dall’Europa, erano venuti meno gli stimoli. Non quelli di vincere, che non ci sarebbero potuti mai essere date le condizioni, ma quelli legati al divertimento. Da sempre subisco il fascino della Dakar, e così nel 2012 ho deciso di iscrivermi e di partecipare. Non è andata benissimo ma mi è piaciuta moltissimo, e così quest’anno ho deciso di riprovarci. Non ci ho pensato molto, avevo i soldi per l’iscrizione e ho mandato via i “fogli”. Quando l’ho fatto ho pensato che se non avessi trovato il budget sarei partito da solo, ad ogni costo, che avrei tentato l’avventura in solitario. L’arrivo di Kurt, che mi da una mano anche nella ricerca degli sponsor, completa quasi del tutto il quadro».
“Da sempre subisco il fascino della Dakar, e così nel 2012 ho deciso di iscrivermi e di partecipare. Non ci ho pensato molto, avevo i soldi per l’iscrizione e ho mandato via i fogli”
Quindi partite un po’ “all’avventura”?
SM: «Ma la vita, non è forse un’avventura? La Dakar sappiamo cosa è, e l’esperienza del 2012 ha ribadito fortemente il concetto. Non mi spaventa, così come non mi spaventa di partire con un navigatore non particolarmente esperto. In un certo senso siamo sullo stesso piano, di fronte alla Dakar. Cresceremo insieme, faremo esperienza, prenderemo la gara con molta attenzione. E cercheremo di divertirci. È anche questo il bello dell’avventura. Ho corso due volte in Kenia, ho fatto il Safari Mondiale, quest’anno ho corso in un circuito di gare che riproponevano una sorta di Nascar nelle Filippine. Mi sono divertito a correre e ho riportato a casa delle esperienze, soprattutto umane. Esperienze, la Dakar è la voglia di una nuova, bella esperienza di vita. E ogni Dakar, come non bastasse, può essere molto diversa da quella che l’ha preceduta o da quella che seguirà. La Dakar è… la Dakar!»
Anche l’assistenza, immagino, non sarà di quelle “ufficiali”…
SM: «Una cosa “progettata” e realizzata in casa, anche questa. Ho mandato giù un altro Pajero, un modello Wagon. Ho “tirato via” i sedili posteriori e ho caricato tutti i ricambi che avevo. Sono attrezzato, ma ritengo che il problema non saranno i ricambi, ma… attraversare le dune! Due ragazzi, uno dei quali lavora già con me, mi seguiranno e saranno la mia assistenza».
“Ogni Dakar, come non bastasse, può essere molto diversa da quella che l’ha preceduta o da quella che seguirà. La Dakar è… la Dakar”
Ne esce un’avventura un po’ all’”antica”?
SM: «Sì, è il pensiero che mi è venuto. La verità, tuttavia, è che oggi è difficilissimo trovare degli sponsor, e che la Dakar, in fondo, è una gara fatta per 15 professionisti e centocinquanta ricchi. I motociclisti riescono ancora a farla spendendo relativamente poco, e sacrificandosi molto, ma in macchina è un’altra cosa. Forse c’è ancora qualche argentino che ce la fa, ma da noi le cose sono tutt’altro che facili. Paradossalmente, però, la Dakar è anche l’unica gara che ti aiuta nella ricerca. Io ce la metto tutta così. Ho trovato qualche piccolo sponsor in Cina, qualcun altro dovrebbe arrivare dal Messico. Non sto qui a raccontarla: vorrei riuscire piano piano a focalizzarmi su questo Rally e riuscire a farlo bene».
Quanto anni hai, che cosa fai nella vita, se è lecito?
SM: «Certo. Ho quarant’anni, sono di Arezzo. Sono un imprenditore. Seguo alcune attività, anche di famiglia. Ho cambiato e aggiunto varie volte. Oggi è quasi obbligatorio stare svegli e cambiare, diversificare. In questo momento, per esempio, mi sono lanciato in una nuova avventura imprenditoriale: importo biciclette dalla Cina. Mi piace, mi diverte, e mi piace tanto andare in giro per il Mondo».
Eh sì, la vita è la più bella delle avventure. In bocca al lupo Stefano!
Piero Batini