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Un automobilista, al fine di sottrarsi alla prova per etilometro, avrebbe pronunciato le seguenti frasi all'indirizzo di due poliziotti: «Sono il figlio del sindaco di XXXXXX, lasciate perdere che è meglio per voi, state facendo un abuso di potere solo perché portate la divisa, senza quella non contate niente», continuando ad inveire anche all'atto di sottoscrivere i verbali.
Denunciato per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, la sentenza di condanna di primo e secondo grado è stata annullata dalla Corte di Cassazione con la sentenza 20 maggio 2015, n.20936.
Perché vi sia resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) è necessario infatti che si usi violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto di ufficio o di servizio, mentre nel caso in esame deve escludersi tanto la violenza e la minaccia, quanto la finalità di impedire il compimento dell'atto d'ufficio.
Invero, le frasi in questione, nel contesto in cui sono state pronunciate dall'imputato, dimostrano un contenuto sicuramente oltraggioso, perché rappresentano l'espressione di uno sfogo di sentimenti ostili e di disprezzo verso i pubblici ufficiali, ma non rivelano la volontà di opporsi allo svolgimento dell'atto di ufficio, la prova dell'etilometro, a cui in effetti l'imputato si è poi sottoposto.
Dunque, la condotta dell'imputato configurerebbe il diverso reato di oltraggio a pubblico ufficiale (previsto dall'art. 341-bis c.p.), di cui manca però nella circostanza la condizione di punibilità della presenza di più persone prevista dal Codice penale, da intendere come persone diverse dagli oltraggiati. L'articolo 341 stabilisce infatti che l'oltraggio debba essere commesso «in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone».
Alessandro Casale, Comandante Polizia Locale comune capoluogo di provincia - Presidente di Unico, Unione dei Comandanti della Polizia Locale