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Volpiano – Si scrive Sparco, si legge Aldino Bellazzini. Questo infatti il nome dell’artefice del rilancio del marchio piemontese, che nel 2009 acquisì l’azienda italiana divenendone il proprietario e portando la stessa, in soli 4 anni, a risollevarsi da una situazione di stallo in cui era entrata con la vecchia gestione ed arrivando così a chiudere il 2012 con un guadagno di 44 milioni di euro (di cui il 10% viene regolarmente reinvestito ogni anno in Ricerca & Sviluppo), segnando così il culmine di una crescita costante negli ultimi 3 anni.
Il lavoro: un valore che Sparco tutela
Un’azienda sana - che aspira a passare da best a premium brand – e che va in controtendenza rispetto al mercato e all’Italia stessa grazie ad una politica aziendale frutto del credo di Bellazzini, ovvero costante disponibilità di fornitura e, soprattutto, creazione di posti di lavoro a tempo indeterminato.
100 di questi (degli oltre 500 totali del marchio italiano nel mondo) sono peraltro stati creati di recente grazie ad un investimento di 3 milioni di euro, attinti non dal portafogli societario o dalle casse dello Stato, ma dal patrimonio personale del CEO dell’azienda, che crede fermamente nel fatto che il lavoro sia il valore più importante della vita e che pensa sia necessario. Per il successo del marchio, far sì che il lavoratore percepisca il proprio luogo di lavoro come un ambiente non ostile in modo da avere un team motivato ed in grado di lavorare serenamente è infatti il credo fondamentale di Bellazzini.
L'azienda in numeri
Questi gli ingredienti chiave di una ricetta che ha portato il marchio di Volpiano ad essere presente in Europa, USA, America Latina e Africa del Nord, producendo oltre 50.000 tute (di cui almeno 10.000 personalizzate), 10.000 caschi e circa 600.000 pezzi mobilitati all’anno, per presenziare inoltre nel motorsport con la fornitura di abbigliamento e accessori per oltre 250 team (Sparco lavora con McLaren dal 1995 e collabora con Catheram e Marussia, sempre in F1, ed è presente nella Dakar, nel Le Mans Series, in GP2, nel Campionato NASCAR, in Formula Indy e nell’RCZ Cup, oltre ad essere al momento impegnata ad entrare nell’Off-Road), e nella realizzazione delle più importanti supercar stradali, tra cui anche la recentissima “LaFerrari”.
Aree di interesse
Fondata nel 1977 a Torino la Spare Part Competition, questo il significato dell’acronimo, la Sparco è attualmente impegnata su due fronti: Racing e OEM (componenti e parti in carbonio che vengono realizzati per marchi quali Lamborghini, Bugatti, Aston Martin, Ferrari, Maserati, Audi Quattro, Volkswagen, Bentley, AMG e Koenigsegg) – di quest’ultimo vi parleremo più dettagliatamente in un articolo dedicato – ed è attualmente orientata ad aprirsi verso un nuovo mondo commerciale i cui prodotti saranno comunque affini al DNA aziendale.
Brevi cenni storici
Aurelio Sportelli, Chief Operating Officer e Presidente Sparco USA, così ci descrive come l’azienda torinese sia arrivata ad occuparsi di componenti derivate dalle corse da destinare al mercato stradale fino a divenire partner dei più importanti produttori di supercar: «Una delle richieste che ci veniva ancora dai tempi della Lanci Delta Integrale – per cui Sparco realizzava tutte le parti della macchina da corsa – era di realizzare le componenti da destinare alla versione stradale, che però negli anni ’80 Sparco non era in grado di soddisfare per via delle omologazioni di cui necessita il prodotto stradale».
«Negli anni ’90 Sparco raggiunse poi queste capacità, dando alla luce il primo sedile - una realtà questa di cui Sparco è leader con circa 25.000 sedili in fibra di carbonio prodotti all’anno – ovvero lo Sparco EVO del 1996, da cui nacque poi il sedile realizzato nel 1998 per la Ferrari 360 Modena. L’azienda di Maranello ci sfidò sugli accoppiamenti tra materiali per tutto quello che riguardava le personalizzazioni richieste dai clienti, una sfida che riuscimmo però a vincere».
«Le normative sono poi divenute negli anni sempre più “strette” e per la Lamborghini Aventador nacque un sedile sportivo con guscio in fibra di carbonio dotato di regolazioni elettriche, di airbag, di lombare e di sistema di riscaldamento, insomma, di una serie di sistemi che normalmente non sono legati alla sportività di una vettura come questa».
Seguire una realtà come questa impone avere disponibilità costante di componenti e parti di ricambio, motivo per il quale il fornitissimo magazzino conserva al suo interno fino a 12.000.000 di euro di prodotti, in modo da poter disporre sempre di quanto serve quando serve (chi desidera una tuta può infatti averla realizzata il giorno stesso dell’ordine, ma l’urgenza immediata ne farà ovviamente aumentare il costo).
Le tute da corsa: le rischieste dei piloti McLaren
Dalla zona di stoccaggio delle componenti si passa poi all’area di produzione ove vengono realizzate le tute da corsa. Queste pesano solamente 800 grammi l’una (tuta Racing Superleggera), ed un team come la McLaren ne richiede fino a 40 per pilota all’anno (per un costo di 2.500/3.000 euro a tuta), le quali possono essere modificate rispetto al “modello base” in base alle richieste del pilota (Hamilton chiedeva una tuta priva di cintura e di tasche per ridurre il peso, mentre Jenson Button preferisce avere un sotto-tuta al mentolo per aumentare la propria sensazione di freschezza) o delle esigenze del team (qualche anno fa venne indetto un concorso tra privati e scuole per celebrare i 30 anni di collaborazione tra la Casa di Woking e la Hugo Boss finalizzato a portare alla realizzazione di un disegno dedicato da apporre sulla tuta dei piloti. Le proposte vennero poi inviate in Sparco, ove venne verificata l’effettiva fattibilità del progetto per poi dare alla luce la tuta commemorativa).
“I disegni delle tute possono essere realizzati mediante due processi: serigrafia e ricamo. Il primo processo porta alla realizzazione di una tuta molto più leggera ed è basata su un processo di stampa particolare, in quanto i colori di logo e disegni vengono stampati direttamente sul tessuto impregnando il suddetto”
Procedure di lavorazione
I disegni delle tute possono essere realizzati mediante due processi: serigrafia e ricamo. Il primo processo porta alla realizzazione di una tuta molto più leggera – circa 800 grammi appunto – ed è basata su un processo di stampa particolare, in quanto i colori di logo e disegni vengono stampati direttamente sul tessuto impregnando il suddetto, ed è un processo piuttosto lungo, in quanto necessita di un impianto di stampa per ogni colore ed ogni logo. Il secondo è invece un processo più semplice, ma porta la tuta a pesare quasi il doppio.
Ogni tuta racing - che deve rispondere ai rigidi parametri di omologazione imposti dalla FIA – è composta da tre strati e realizzata in Nomex, un materiale costituito da fibre ignifughe (I tessuti ignifughi sono fatti tutti in Italia o in Europa in generale, Sparco non acquista dal far east), e deve essere in grado di garantire oltre alla sicurezza, anche la traspirazione della pelle del pilota, quest’ultima garantita da una serie di tecnologie sviluppate da Sparco che hanno portato ad un notevole incremento della stessa, mentre le spalline devono essere in grado di sorreggere il peso del pilota qualora dovesse essere estratto dalla vettura dai soccorritori in caso di perdita di conoscenza.
Come nasce una tuta
La realizzazione di una tuta è il frutto di un lavoro sequenziale il cui sviluppo è affidato a quattro diverse aree: ingegnerizzazione del prodotto; modelleria, confezione e ricamo. Nella prima (ingegnerizzazione del prodotto) si riceve dal cliente una bozza relativa a come lo stesso desidera la tuta. Qui viene preso in esame il bozzetto con tutte le misure di ogni singolo pilota. Una volta analizzate, queste vengono poi passate all’area di taglio dei tessuti, dove le modelliste partono dal “modello base”, che è un campione di riferimento standard a catalogo, e lo sviluppano al computer sulle specifiche tecniche di ogni singolo cliente tramite un CAD dotato di uno specifico software per l’abbigliamento ancor più “customizzato” in base alle esigenze Sparco.
La prima procedura di lavorazione riguarda essenzialmente come verrà tagliata la tuta. Inserti colorati e tutto ciò che verrà poi passato in automatico ad una macchina di taglio che si occuperà del ritaglio dei singoli pezzi.
Da virtuale a reale
Nella seconda area – quella di modelleria - i ricami dei loghi vengono posizionati sulla tuta. Lo sviluppo si tramuta in un programma che taglia i singoli pezzi in base a colori e tipologia. Una volta il processo si basava sul cosiddetto “modello manuale”, ma ora è tutto automatizzato in modo da permettere eventuali modifiche che evitano di andare a ricostruire l’intero modello e tutto viene archiviato per piloti e per anni onde mantenere una tenere traccia di tutte le modifiche effettuate.
Tutti i manufatti vengono poi controllati al 100% per ottemperare le specifiche richieste dal cliente. Ogni singolo capo passa infatti attraverso 5 diversi collaudi a partire dalla materia prima. Il primo viene effettuato su tutti i tessuti che compongono gli strati della tuta. C’è un controllo di tipo qualitativo per verificare la presenza di falle, macchie o buchi sulla tuta. Il secondo è invece di tipo omologativo ed orientato a testare la resistenza al fuoco del capo.
Il terzo viene avviene quando la tuta viene tagliata e viene effettuato sui ricami: si controlla che tutto risponda alle specifiche: come ricamo dell’omologazione, loghi richiesti dal cliente, etc. prima che la tuta venga poi confezionata.
La tuta passa poi in confezione, dove le modelliste effettuano il quarto controllo, ovvero quello delle misure; fase in cui queste verificano che la tuta abbia effettivamente le dimensioni richieste dal cliente, per poi eseguire un secondo controllo sui ricami onde appurare che i ricami giusti siano stati apposti sulla tuta corretta.
L’ultimo è il controllo qualità definitivo, e consiste in un check visivo: si tagliano eventuali “fili volanti” e si controlla che le cuciture siano regolari. Alla fine vengono poi controllate omologazioni, etichette e varie specifiche dell’ordine personalizzato al fine di ridurre le percentuali di difettosità, che sono ampiamente al di sotto dell’1%.
Resistenza al fuoco: la FIA chiede 11 secondi. Sparco ne vuole 20
La terza area è quella relativa alla confezione. Qui viene confezionato ogni singolo capo dalle sarte. Capi che devono essere in ogni loro parte, fili ed etichette compresi, ignifughi e devono inoltre passare il test di trasmissione del calore (non devono solo proteggere dalla fiamma ma anche isolare il pilota dalla stessa). Una tuta racing deve infatti resistere alle fiamme per un tempo di 11 secondi - ma quelle Sparco hanno dimostrato sul campo di riuscire a resistere per un tempo non inferiore ai 20” - mentre le tute Kart – dove i materiali sono cotone e nylon – devono superare due controlli omologativi relativi ad abrasione e taglio.
“Una tuta racing deve resistere alle fiamme per un tempo di 11 secondi - ma quelle Sparco hanno dimostrato sul campo di riuscire a resistere per un tempo non inferiore ai 20” - mentre le tute Kart – dove i materiali sono cotone e nylon – devono superare due controlli omologativi relativi ad abrasione e taglio”
Nell’ultima area produttiva vengono invece eseguiti i ricami. Qui le macchine sono automatiche. Il logo che viene inviato dal cliente viene trasformato in realtà da un software che elabora densità e colore del logo per trasformare questo in un ricamo. Queste macchine viaggiano su una velocità di 600/700 punti al minuto e qui si effettuano milioni di punti (alcune tute sono state ricamate per 24 – 36 ore). Dopo aver realizzato il ricamo, vengono poi effettuati dei nuovi controlli.
Questo insomma il lungo e complesso processo di lavorazione che sta dietro alla realizzazione di una tuta da corsa, che costituisce solo uno dei molteplici aspetti di un’azienda in crescita quale la Sparco, di cui vi porteremo in seguito alla scoperta nei prossimi giorni di un lato meno noto, ma altrettanto affascinante della stessa, con un servizio dedicato, ovvero la produzione della fibra di carbonio.