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Non è possibile appellarsi a ritardi della Pubblica Amministrazione per contestare un’ordinanza di sospensione della patente. O meglio, secondo le più recenti interpretazioni non è possibile prendere come riferimento la data di notifica del provvedimento per ottenere l’invalidazione di quest’ultimo per decadimento dei termini.
L’articolo 218 del Codice della strada, che regola la sanzione accessoria della sospensione della patente, prevede che il documento venga ritirato dall’organo di polizia nel momento in cui viene accertata la violazione e che venga rilasciato permesso provvisorio per il periodo necessario al rientro del conducente.
Da questo momento, l’organo di Polizia dispone di cinque giorni per inviare comunicazione alla prefettura, che a sua volta ha quindici giorni di tempo per emanare l’ordinanza di sospensione indicando il periodo relativo. Non ha però rilevanza il fatto che la notifica del provvedimento possa avere luogo oltre venti giorni dopo il ritiro della patente.
Se infatti la legge prevede che qualora l’ordinanza di sospensione non venga emessa entro i quindici giorni del termine legale il titolare possa ottenere la restituzione del documento, non è stato invece stabilito un termine per la notifica all’interessato.
L’indicazione in tal senso si limitata ad un “immediatamente”, senza stabilire termini la cui mancata osservanza potrebbe causare nullità del provvedimento. E’ però possibile fare riferimento ai precedenti (Cassazione civile, sezione I, 24 settembre 2004, n. 19234, e 9 maggio 2006, n. 10666) che applicano il principio generale contenuto nell’articolo 2 della legge 241/1990, in base al quale tutte le procedure amministrative devono compiersi nel termine di trenta giorni, da cui vanno esclusi i giorni trascorsi per l’invio della patente al prefetto da parte della polizia.