Sicurezza stradale: tra relativismo e relatività

Sicurezza stradale: tra relativismo e relatività
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Il relativismo spicciolo, che sconfina nel “menefreghismo”, è largamente professato da tutti i soggetti che non si interessano delle conseguenze delle proprie azioni. Come chi si mette alla guida in stato di ebbrezza o come i comuni che non riparano mettono in sicurezza le strade
7 maggio 2014

Fin dall’antichità un discreto numero di pensatori, in genere pessimisti, hanno teorizzato la limitatezza delle conoscenze umane, escludendo la possibilità di individuare delle verità assolute. Questi sono i filosofi “relativisti” seri, se è serio chiudersi gli occhi davanti a certe leggi inconfutabili la cui validità, in certi ambiti, è indiscutibile.

Quando il relativismo (spicciolo) diventa menefreghismo

Il relativismo spicciolo, che sconfina nel “menefreghismo”, è invece largamente professato a livello individuale e associativo da tutti i soggetti che non si interessano delle conseguenze delle proprie azioni. Chi guida sotto l’effetto di alcoolici o di sostanze stupefacenti ha già deciso, prima di mettersi al volante, che il mondo obbedirà alle sue regole, che si comporterà “relativamente” al suo modo di essere e di agire.

 

L’amministrazione che non rimedia ai pericoli (siano essi buche, mancanza di barriere di protezione, ostacoli sporgenti, segnaletica fantasiosa, ecc.) perché ”tanto c’è il limite di 30 km/h di velocità massima” crede che tutti si comporteranno di conseguenza e magari se la caverà dal punto di vista giudiziario perché si era “relativamente protetta”. Un esercizio di “scaricabarile” volto a rovesciare su altri le proprie responsabilità fino ad approdare nel mare magnum della fatalità, del destino imponderabile. Il pullman che rompe i freni, urta contro le barriere appoggiate ma non fissate e cade nel burrone?

cartello pericolo caduta massi
Applicare semplicemente un segnale di ipotetico pericolo, senza realmente mettere in sicurezza una strada. Una prassi per molti comuni italiani

 

Fatalità, ma non certo responsabilità del gestore della strada perché: primo i freni non si debbono rompere (ci sono le revisioni obbligatorie) e secondo si deve restare in carreggiata e nei limiti di velocità stabiliti. Molta gente, diciamo pure responsabile almeno in parte, continua a dormire sonni “relativamente” tranquilli perché è convinta che il mondo dovrebbe comportarsi secondo il proprio personale concetto di sicurezza che ritiene “imprevisto” quello che invece doveva essere previsto (e quasi sempre è effettivamente previsto, e bellamente ignorato, dai regolamenti di esecuzione dei lavori).

 

Avrete certamente notato quei tizi che, in corrispondenza dei cantieri, con molta buona volontà, agitano delle palette verdi da un lato e rosse dall’altro e sveltiscono il traffico regolando il senso unico alternato. Benissimo, ma che autorizzazione hanno? Se uno non li vede cosa succede? Con che criterio agiscono? Che competenza hanno se a volte sono poco più che ragazzi? Se si esaminano le leggi, di sicuro non è prevista la facoltà di affidare a chiunque un compito del genere, come invece avviene regolarmente. A passare (con la paletta verde) ci si sente solo “relativamente” sicuri. 

Molta gente, continua a dormire sonni “relativamente” tranquilli perché è convinta che il mondo dovrebbe comportarsi secondo il proprio personale concetto di sicurezza che ritiene “imprevisto” quello che invece doveva essere previsto

Quando il relativismo è una cosa seria invece...

Per tornare al relativismo serio, un non-relativista famoso, che non cadde nell’intolleranza (pericolo in cui possono cadere gli antirelativisti) fu lo scopritore e formulatore della “teoria della relatività”, l’ebreo Albert Einstein di cui è nota l’affermazione che “Dio non gioca a dadi”. Più precisamente e spiritosamente egli aggiunse che Dio gioca a carte “ma è difficile dargli una sbirciatina”. Esiste cioè una realtà assoluta di cui si può e si deve esplorare le regole; a non capirle o non assecondarle non si progredisce.

 

Se uno scienziato fosse relativista non avrebbe nulla da scoprire o quello che scoprirebbe varrebbe solo per lui: cioè nulla. Avere una fede religiosa non è conseguente: le regole fisiche e matematiche non comportano quelle morali. Ma né gli scienziati credenti (come i cristiani Isaac Newton, Blaise Pascal e lo stesso Galileo Galilei) né quelli atei (meno famosi e stabilizzati da un secolo attorno al 30% del totale) potrebbero orientarsi in un mondo senza punti di riferimento.

 

Carlo Sidoli

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