Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su info@moto.it
Incredibile a dirsi solo poco tempo addietro: anche l’Italia “ri-accende” il carbone a livello industriale come fonte di energia. Un nonsenso, mentre si elettrifica l’auto con pesi per l’utenza? No, un’esigenza dovuta alle scelte belligeranti della politica internazionale di cui il Bel Paese è in qualche modo “parte passiva” rispetto a chi ci guadagna, da certe mosse.
Al sodo, mentre chi ha una ben tenuta piccola auto storica non può metter piede se non in certi giorni e magari pagando, nei grandi centri abitati, le poche centrali a carbone ancora attive metaforicamente spingono a fondo “sul pedale”. Il ministro Cingolani approva quello che i tempi di guerra giustificano: massimizzazione degli impianti, con deroga semestrale, se va male anche annuale. Si tratta di centrali come Brindisi (Enel, più grande con 2640 MW) Civitavecchia, Fusina e Monfalcone. In totale sono poche meno che dieci, in tutta Italia, contando anche La Spezia (chiusa proprio a dicembre 2021), Torre valdaliga, Fiume Santo e Portoscuso.
Tutte pronte a innalzare la produzione compensando, con il carbone, 3 miliardi di metri cubi di gas, pare. Tradotto in cifre comprensibili, non è poi molto: circa il 5% del fabbisogno energetico italiano si può mettere in capo al carbone, oggi. I tanto evoluti e ora anche “verdi” tedeschi in Germania possono arrivare a quasi il 30%, se gli servisse. Altro fattore non troppo positivo è poi il costo, di questa energia da carbone. Vero è che non siamo di fronte al blocco e alla speculazione come per il gas, ma arriva a 400 dollari a tonnellata oggi la materia, prima che l’Italia deve necessariamente acquistare e trasportare a destinazione, anche in questo caso. In molti auspicano piuttosto che un ritorno al carbone, qualche miglioramento degli accordi sul gas.