Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su info@moto.it
Qualche volta leggi delle news "ufficiali" che non sembrano vere, almeno ad una buona parte di "noi" occidentali: la Honda ha rilasciato una nota sui propri siti media che dice molto di come la cultura del Sol Levante sia - ad ogni livello - del tutto unica e profondamente diversa, specie per le posizioni di vertice. In ballo qui non c'è tanto il brand di riferimento, perché sarebbe stato lo stesso anche per altri, ma la assoluta trasparenza e la volontà di rendere pubbliche anche le decisioni più delicate, la gestione di una crisi interna e soprattutto, di chiedere scusa e fare ammenda.
La cronaca: un top manager finisce al centro di un caso delicato: va ad una festa e "si comporta in modo inappropriato". Non è dato sapere cosa abbia fatto, ma secondo lo stile giapponese potrebbe trattarsi anche un peccato veniale, che so, una barzelletta sconcia, un bicchiere di troppo? Fatto sta che la cosa viene risaputa dal board. Si riunisce un Comitato, vengono consultati anche esperti esterni e i risultati sottoposti al consiglio di amministrazione. Il quale fissa una data per "un'azione disciplinare", ma non fa in tempo a decidere, perché il vicepresidente "incriminato" si dimette con la velocità della luce con tante scuse. Dimissioni e "Scuse accettate", ovviamente anche se non finisce così male come piace fare a Dart Vader con il comandante Needa.
Il tutto è successo, nota bene, al di fuori dell’orario di lavoro ma ve l'immaginate la reazione con il copione occidentale? Avvocati, smentite e strategie difensive, depistaggi. Al contrario: arriva una lettera di dimissioni. Subito. E senza troppi giri di parole. È un approccio che affonda le radici in una cultura aziendale profondamente diversa, dove il concetto di “perdere la faccia” pesa più di qualsiasi bonus o clausola contrattuale. Dove la reputazione personale si intreccia in modo indissolubile con quella dell’azienda, e dove un comportamento ritenuto inappropriato può tradursi in un gesto netto: farsi da parte per il bene comune. E non è finita qui, arriva la parte migliore: lo stesso presidente Toshihiro Mibe si assume la "colpa" e fa un passo concreto, tagliandosi lo stipendo del 20% per due mesi. Non per obbligo contrattuale, ma per coerenza etica. Un modo per lanciare un messaggio forte a dipendenti, investitori e opinione pubblica: la responsabilità è collettiva, e chi guida deve dare l’esempio.
Una prassi quasi inconcepibile in altri contesti, dove le logiche di potere, la tutela legale e la narrazione mediatica spesso prevalgono sulla trasparenza. Nei consigli d’amministrazione occidentali, le dimissioni di un executive arrivano solo quando il caso è esploso su giornali e social, e anche allora con riluttanza e clausole milionarie. Nel sistema giapponese, invece, la riservatezza non è sinonimo di copertura, ma di rigore interno. Le inchieste partono in silenzio, ma arrivano a conclusioni rapide e pubbliche. E la fiducia, una volta incrinata, richiede gesti concreti per essere riconquistata. Non è un modello perfetto, e anche in Giappone non mancano le contraddizioni, ma quando si parla di etica manageriale e senso di responsabilità, la lezione che arriva da Tokyo merita più di un’occhiata distratta. Soprattutto da parte di chi, altrove, continua a pensare che una poltrona valga più della parola data.