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Il mercato dell'auto e della moto sta vivendo un profondo cambiamento per effetto della crisi. Adeguare le strategia e l'organizzazione del punto vendita diventa quindi fondamentale. Già, ma come farlo?
Vito Caramia, esperto business manager della mobilità che ormai da diversi anni (dapprima per BMW Italia, attualmente per Yamaha Motor Italia), si occupa di sostenibilità delle reti di vendita del settore auto e moto e nel 2011 ha scritto l'interessante volume “Il business automotive” (Hoepli Editore, Pagina Facebook ufficiale).
Il suo è il primo manuale di Dealer Management espressamente dedicato agli autoveicoli e alle moto. Scritto con l’ottica del visto da dentro, e non soltanto da fuori, attraverso esempi concreti offre soluzioni a molti dei problemi emersi negli ultimi anni e le mosse per anticipare la ripresa.
Visto che possiamo definire il libro come il primo manuale di economia del concessionario, riesce a farci una fotografia del concessionario italiano medio?
«È brutto da dire – le parole di Caramia -, ma bisogna riconoscere alla crisi il grande merito di averci dato la possibilità giudicare il livello imprenditoriale dei concessionari italiani. Purtroppo il voto raramente supera la sufficienza. Il perché è presto spiegato: nei decenni di mercato “amico” in grande crescita, contraddistinto da una forte domanda spontanea, le uniche doti richieste all’imprenditore concessionario medio erano un modesto spirito d’iniziativa ed essere al posto giusto nel momento giusto. Ex meccanici, rivenditori oppure figli di ricche e nobili famiglie con la passione delle auto affittavano o compravano uno stabile, mettevano fuori un’insegna, esponevano le loro auto et voilà, il gioco era fatto. Gli ampi margini di guadagno, a fronte di oneri gestionali assai contenuti, garantivano ritorni sugli investimenti adeguati dando al business la sembianza della sostenibilità economica. Poco più di un franchising insomma. Oggi tutto è cambiato. Il concessionario medio ha di fronte a sé due scelte: sperare che il o i discendenti abbiano sviluppato una capacità imprenditoriale maggiore grazie alle costose scuole che hanno frequentato (e qui si apre il traumatico tema del passaggio generazionale) oppure affidarsi alla consulenza del proprio commercialista, di un manager o peggio ancora del suo miglior venditore, che smetterà di ricoprire un ruolo che portava grande giovamento all’azienda per andarne a ricoprire un altro dove tutto costituirà, tranne che un valore aggiunto. L’attenzione agli oneri finanziari, la gestione virtuosa dell’usato, il web e il social marketing, la formazione del personale, il CRM e così via sono solo alcuni degli aspetti che rimangono ancora nascosti da una fumosa cortina che l’imprenditore sembra non riuscire a dipanare. Il periodo storico che stiamo vivendo deve rappresentare il momento migliore per mettere in discussione e rivedere a fondo le precarie certezze su cui si è basata la gestione aziendale di numerosi concessionari sino ad oggi. Non è più il tempo dei rimpianti ma quello delle idee: far nascere dalla crisi una nuova visione del business è l’obiettivo principale che mi pongo con il libro».
Come pensa che sarà il concessionario del futuro?
«Per decenni il sistema distributivo di auto e moto ha dato massima enfasi agli attributi di funzionalità, design e qualità del prodotto relegando in secondo piano tutti gli aspetti relativi ai servizi, al rapporto con il cliente, all’assistenza post-vendita. In tempi di produzione di massa, le Case si sono abituate ad avere una clientela numerosa e poco differenziata, disposta ad attendere tempi relativamente lunghi per entrare in possesso del bene. In quest’ottica la rete di commercializzazione rappresentava una sorta di canale su cui esercitare una notevole pressione dello stock, più che uno strumento per attivare un canale comunicativo in grado di valorizzare il patrimonio informativo acquisibile dal cliente. Da qualche anno il rapporto tra le Case e le reti della distribuzione sta vivendo una trasformazione radicale. Nei principali Paesi europei ad alta motorizzazione, ancor più che in Italia, il “business model” sta rapidamente mutando, attraverso la crescente valorizzazione delle componenti immateriali legate all’acquisto del veicolo nuovo. Si dà maggiore rilevanza competitiva ad asset come la cura del rapporto con il cliente, il post vendita, l’offerta di servizi complementari (assicurativi, finanziari), l’offerta di soluzioni di possesso e non di proprietà (noleggio a lungo termine). Dal ruolo tradizionale di elementi accessori questi ultimi sono divenuti pilastri essenziali della redditività aziendale nonché efficace strumento di fidelizzazione. Il futuro del concessionario, quindi, sarà sempre più legato alla professionalità manageriale degli operatori, sempre meno alla vendita di un prodotto».
“Il mercato delle auto è passato da quasi 2,5 milioni di unità del 2007 a circa 1,4 milioni del 2012 (-44%), mentre per le moto si è passati da quasi 436 mila unità del 2007 a circa 206 mila unità del 2012 (- 53% non considerando i ciclomotori 50cc)”
Quali sono i numeri della distribuzione del settore automotive in Italia?
«Nel corso degli ultimi anni si è perduto quasi un cliente su due. In particolare il mercato delle auto è passato da quasi 2,5 milioni di unità del 2007 a circa 1,4 milioni del 2012 (-44%), mentre per le moto si è passati da quasi 436 mila unità del 2007 a circa 206 mila unità del 2012 (- 53% non considerando i ciclomotori 50cc). In termini economici questa emorragia si traduce in un costante aumento dei concessionari che hanno bilanci in perdita. Il numero di concessionari con i conti in rosso è ormai giunto a livelli di guardia: il preoccupante rapporto di uno su due del 2011 è addirittura salito a due su tre nel 2012. Si stima che la redditività media delle aziende del settore sia vicina a -1% sul fatturato. In uno scenario di questo tipo la propensione del sistema bancario a finanziare il settore si è ridotta all’osso in quanto il settore viene considerato ad alto rischio. Per questo motivo il ricorso al sistema bancario rappresenterà nei prossimi due anni uno dei punti più critici della gestione aziendale del concessionario, il cui conto economico si fa ormai carico di oneri finanziari che incidono mediamente almeno 1% sul fatturato».
Gli effetti della crisi, come sempre accade, non sono però uniformi. Infatti , in questo quadro di recessione, ci sono realtà che registrano utili di assoluto rilievo. Qual è l’ ingrediente segreto per la sostenibilità economica dei concessionari?
«Esiste un ingrediente segreto dell’azienda concessionaria che non tutte le imprese hanno e che può aiutare a neutralizzare il rischio d’impresa insito nel mercato, soprattutto in un periodo di recessione. Mi riferisco a questa affascinante unicità della concessionaria: essere un’azienda che, come le scatole cinesi, contiene tante altre aziende, ognuna con un core business completamente diverso (la vendita del nuovo, la vendita dell’ usato, la vendita dei ricambi e degli accessori, la vendita di manodopera d’officina, la vendita di servizi assicurativi e finanziari). Questa rara prerogativa gestionale rappresenta uno strumento di diversificazione naturale del rischio commerciale per gli imprenditori del settore».
Concretamente, come questo paradigma si applica tutti i giorni all’interno di un’azienda concessionaria?
«Il paradigma poggia sulla distinzione fra i settori di business cosiddetti “variabili” e i settori di business cosiddetti “fissi”. I primi sono il settore vendita veicoli nuovi ed il settore vendita veicoli usati. Sono definiti “variabili” in quanto dipendono dal mercato che come sappiamo è imprevedibile e incerto. I secondi sono il settore ricambi&accessori e l’officina. Si definiscono “fissi” in quanto dipendono dal parco circolante. Ogni auto o moto venduta costituiscono un’ unità aggiuntiva di parco circolante disponibile e quindi un potenziale cliente in officina. Voglio dare enfasi alla “certezza” dell’informazione contenuta nel parco circolante che, attraverso una efficiente gestione dei settori fissi, favorisce il processo di neutralizzazione dei rischi del mercato. In un contesto di mercato sempre più schizofrenico e per il quale non mi sento di fare stime e previsioni se non con lo scopo di disattenderle, quanto appena detto richiede la necessità di cambiare il focus del lavoro in concessionaria al fine di gestire con attenzione quasi maniacale il settore after sales. Non vorrei essere preso per veggente visionario ma credo che la sostenibilità del business del concessionario passi attraverso una rivisitazione copernicana del modello di business che non può più fondarsi solo sulla vendita del ferro, bensì sul post vendita. Agli imprenditori oltremodo ancorati allo status quo e impantanati nel triste ricordo del mercato che fu propongo di iniziare a guardare la propria azienda con occhi diversi. L’azienda concessionaria che sino a qualche anno fa andava da se, e poco importava se accusasse ogni tanto una battutina di arresto, oggi necessita di una sensibilità maggiore rispetto al post vendita come variabile anticiclica che attraverso la “certezza” del parco circolante può offrire sicurezza in uno scenario economico così incerto. Credo che questa visione innovativa rappresenti l’altro lato della medaglia rispetto all’incertezza. Chi è abituato ad innovare non ha ragione di temere l’incertezza. In fondo è la migliore compagna di viaggio della magnifica avventura che chiamiamo “fare impresa”».