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Conduttore TV, attore, ma anche musicista, sceneggiatore e più di recente scrittore e regista. Dopo aver incontrato Pierfrancesco Favino, Eros Galbiati ed Ernia, in questa quarta puntata di S-caricati, il format di Mini Italia e Automoto.it, Vicky Piria a bordo della MINI Countryman Plug-In Hybrid ALL4 intervista Francesco Mandelli, che ci racconta la sua ormai lunga carriera: dall’esordio a MTV a quello dietro la macchina da presa. La location? Milano naturalmente, con una puntatina al Parco di Monza, dove Francesco ha seguito la sua prima gara di Formula 1 nel 1984 e dove si esibice per Vicky con un brano inedito. Le piacera?
Francesco, come hai iniziato? «Ho iniziato a lavorare ad MTV nel ‘98. Abitavo ancora ad Osnago, andavo in quinta liceo e guardavo MTV tutti i pomeriggi. Era l’unico modo per non sentirmi... ad Osnago, perché quella televisione che veniva trasmessa da Londra con tutti quegli ospiti internazionali era in qualche modo un momento di evasione: mi sentivo molto meno ad Osnago e molto più... in Europa».
Poi? «C’era questa trasmissione condotta da Andrea Pezzi che si chiamava “Hot”. Un giorno disse: “Stiamo cercando ragazzi per fare il pubblico di questo primo show che sarà trasmesso da Milano. Chiamate questo numero... eccetera”. Io ho chiamato, ma non perché in quel momento lì volessi lavorare ad MTV. Certo, era un sogno. Facevo teatro, suonavo in una band, le cose che ho sempre fatto sin da piccolo. Quindi mi sono presentato col mio zainetto e i miei brufoli in faccia. Sono entrato in questa stanza dove c’erano seduti i candidati in attesa. Tutti molto belli, aspiranti attori, aspiranti modelli, insomma io non c’entravo proprio niente. Quando sono entrato, inatti, Andrea mi ha detto: “Ma tu chi cazzo sei?!”».
Non c’è male come inizio. Come è andato il colloquio? «Subito dopo mi ha detto: “Siediti qua vicino a me”. Avendo fatto teatro sapevo infilare i congiuntivi al posto giusto e ho fatto una bella figura. Alla fine di questo incontro mi fa: “Senti, ci sarebbe una parte dentro questo show: la parte del “non-giovane”. Cioè, tu dovresti essere uno che non beve, non si droga, dà ragione ai genitori, non va forte in macchina, cioè tutto il contrario che è il tipico giovane che guarda MTV. Sembra che tu abbia 12 anni, quindi farebbe molto ridere se lo facessi tu”. E ho iniziato a fare questa cosa per loro... gratis. Però ero strafelice, anche se non mi rendevo conto di quello che stava succedendo. Ero entrato nel magico mondo di MTV e mi ero giocato quella possibilità al massimo».
Che anni erano? «Nel ‘99 sono venuto a vivere a Milano. Era meraviglioso perché ero giovane e lavoravo in televisione e non ti nego che questo mi apriva un sacco di porte. Feste pazzesche, locali di tendenza, c’era sempre gente a casa tutte le sere. Era pazzesco per un ragazzino di 20 anni venuto da Osnago. Per utilizzare una metafora automobilistica è stato un po’ uno 0 a 100 in pochi millesimi di secondo».
Dal rapporto con Andrea è partito tutto, allora. «Siamo diventati molto amici. Lui è stato un po’ il mio fratello maggiore. Ho fatto un altro show con lui, poi ho fatto anche Radio Deejay, e nell’ottobre del ‘99 MTV mi prese per fare un programma quotidiano che si chiamava “MTV Select”, che era un programma in cui il pubblico chiamava, chiedeva un video ed io facevo una piccola chiacchierata con loro. Da lì è cominciato il rapporto con MTV che è durato fino al 2012».
Momenti di crisi? «Dopo che sono finiti “I Soliti Idioti”. Diciamo che quello è stato il momento più difficile perché non sapevo esattamente cosa fare. Pian piano però ho iniziato a fare tante cose diverse...».
Come i romanzi? Da poco è uscito il tuo secondo, Mia figlia è un’astronave. «Esatto. E’ una metafora che ho usato con i miei amici e uno di loro mi ha detto che sarebbe stato un titolo fantastico per un libro che avevo già in mente di scrivere. In quel momento è stato come ricominciare da capo. Volevo scrivere qualcosa che fosse universale. Infatti non è un libro su di me, non è autobiografico. Sono partito da quelle sensazioni e da quelle esperienze per parlare del cambiamento, che è quello di cui in realtà parla il libro. Ci sono due personaggi che, se non cambiano, soccombono sotto i colpi della vita che comunque va avanti».
Cosa significa “un’astronave”? «Quando è nata, ricordo che fuori dall’ospedale c’era un cielo terso e meraviglioso, c’era anche un vento pazzesco e mi rendevo conto che la mia vita stava per cambiare. Era per me come se un’astronave stesse per scendere sulla Terra a cambiarmi la vita. Ed effettivamente è stato così».
Ad aprile esce invece il tuo film come regista, che si chiama Bene ma non benissimo. «E’ stata una scelta dettata dalla voglia di fare una roba diversa. Se uno non cambia, muore. Non puoi andare avanti a fare sempre le stesse cose. Mi hanno proposto questa sceneggiatura che è fondamentalmente una storia che parla di adolescenti e bullismo ma in maniera leggera, non è un film d’inchiesta. Ho trovato dentro questa storia qualcosa di molto delicato, emozionante, commovente e mi è sembrato una bella sfida, un modo per uscire dalla mia zona di comfort e di fare finalmente il regista, visto che ho studiato anche regia. E poi ti dico la verità: non ho più tutta quella voglia di dover apparire per forza».
Il tuo luogo del cuore? «Ci stiamo per arrivare. E’ il Parco di Monza. Qui ho visto la mia prima gara di Formula 1, anzi, in realtà erano le prove libere del venerdì del Gran Premio del 1984 al quale mi portò mio padre. Che gare, che macchine, che piloti, che atmosfera... Qui ci venivo anche quando bigiavo... è un luogo multifunzionale il parco di Monza! Ci venivo anche a studiare tutto il giorno, quando non aprivo il libro per sei mesi e poi arrivava il momento dell’interrogazione. E’ anche il luogo del primo bacio adesso che ci penso...».
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