Roberto Fedeli, CTO Alfa Romeo: “La Giulia è diversa dalle tedesche”

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In occasione della prova dell'Alfa Romeo Giulia, abbiamo intervistato Roberto Fedeli, Chief Technical Officer della casa milanese. E le sorprese non sono certo mancate...
12 maggio 2016

La Giulia, lo sappiamo, ha riportato il marchio Alfa Romeo al centro dell'attenzione planetaria dal giugno dello scorso anno, quando venne presentata ad Arese. In occasione della nostra prima presa di contatto con la Quadrifoglio Verde e con la 2.2 diesel da 180 CV, abbiamo avuto l'occasione di chiaccherare con Roberto Fedeli, CTO del Biscione, con cui abbiamo analizzato i retroscena più curiosi celati dietro la nascita della vettura.

Possiamo dire che la Giulia sia una vera Alfa?

«Si. Abbiamo una differenza fondamentale rispetto l'approccio dei nostri amici tedeschi ed europei. Loro sviluppano le vetture altoprestazionali come un business separato, quasi come se fosse un accessorio al mercato centrale delle vetture da 35 o 40 mila euro. Prima si focalizzano sulla versione base, poi un altro gruppo totalmente differente dal primo sviluppa l'auto prestazionale, sia essa marchiata AMG, RS o M. Ciò ha sicuramente dei lati positivi – due gruppi distinti vantano un maggior numero di idee e di creatività – ma altresì ne ha di negativi, perché entrambe le vetture nascono dalla stessa linea di montaggio, quindi vi sono dei vincoli enormi da rispettare.»

La percezione di guida al volante della Giulia QV è quella di un'auto molto armoniosa
La percezione di guida al volante della Giulia QV è quella di un'auto molto armoniosa
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Su quale, tra la QV e le Giulia “standard” vi siete focalizzati maggiormente?

«Prima è nata la Quadrifoglio Verde, senza alcun vincolo o costrizione. La derivata ne ha ereditato l'architettura. Sostanzialmente, differiscono solo per il numero di cavalli e per alcuni particolari in fibra di carbonio.»

Chi acquista una Giulia da 150 CV ha così la stessa guidabilità della Quadrifoglio Verde?

«È esattamente così. Non si tratta di una semplice sensazione, dato che i pezzi fisici sono gli stessi.»

Alla guida della Giulia si ha una percezione molto armonica, di un'auto ben riuscita. Ciò è frutto della capacità italiana nel settore oppure l'esasperazione della schematizzazione ingegneristica porta a risultati non armoniosi?

«A tal proposito bisogna soffermarci su due aspetti. Per prima cosa, devo dire che noi abbiamo una visione sistemica che altri non hanno: noi vediamo da subito una vettura, non delle componenti che – una volta assemblati – diano come risultato l'auto. Questo è il retaggio della cultura Ferrari e della Formula 1. Alcune persone che hanno lavorato a questo progetto arrivano proprio da quell'ambiente. Secondariamente, poi, va detto che la Giulia è nata al simulatore. I pezzi necessari alla sua realizzazione sono stati modificati solo dopo che chi aveva provato la simulazione ha testato la versione stradale, poi si è trattato unicamente di metterla a punto. C'è stato un lavoro di preparazione importante, ma nel complesso possiamo dire che la vettura sia nata davvero bene.»

Per un progetto di tale portata, solitamente sono necessari 5 anni di duro lavoro. A voi ne son serviti solo 3. Come avete fatto?

«La gente ha lavorato davvero il doppio, e non sto facendo una battuta. Ho visto persone lavorare a Modena fino alle 20:00 o alle 21:00, per poi partire e andare a Cassino – dove abbiamo lo stabilimento in cui nascono le Giulia – per stare vicino a dove si producono le vetture e capire cosa bisognasse cambiare per standardizzare il processo produttivo. Dormivano 3 ore in autostrada, poi al mattino erano in fabbrica per meglio capire come stessero nascendo le loro “figlie”. Credo proprio siano stati 3 anni irripetibili.»

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