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Nel gergo dello sport li chiamano “cavalli di ritorno”. Quegli atleti cioè che ritornano a militare in una squadra che avevano lasciato. Di solito il termine ha un’accezione negativa, perché il peso degli anni si fa sentire.
Ma fare il manager non è propriamente uno sport e se i muscoli col passare del tempo si assottigliano e i riflessi rallentano, l’esperienza è il migliore allenamento per il cervello, cioè l’organo che serve per condurre un’azienda. Di esperienza in 25 anni di carriera ne ha fatta tantissima Luca De Meo, annunciato come nuovo direttore generale e presidente di Renault.
Torna a Boulogne-Billancourt dalla porta principale, salendo al vertice di una Casa della Losanga in cerca di rilancio. Quel rilancio cercato con la tentata fusione con FCA poi andata a monte che ora pesa sulle spalle dell’ex bocconiano che fu pupillo di Sergio Marchionne, un mentore di quelli che se non hai un carattere di ferro e comprovate capacità non puoi certo ingraziarti.
Nato a Milano nel 1967 e laureato alla Bocconi in economia aziendale, De Meo ha iniziato la sua carriera proprio in Renault, dove dal 1992 al 1994 si è fatto le ossa come responsabile delle vendite della filiale italiana, per poi volare a Parigi come incaricato al prodotto e alle strategie di mercato.
Nel 1998 lo vuole con sé Toyota Motor Europe: tra i suoi compiti c’è il lancio commerciale di alcuni modelli, tra cui la fortunata Yaris, ed è nominato general manager per la pianificazione dei prodotti della gamma di Toyota e Lexus in Europa.
Ci rimane quattro anni, per fare ritorno in Italia nel 2002 da direttore marketing del marchio Lancia. La sua scalata verso il vertice del Lingotto è fulminea quanto meritata. Dopo il lancio della Lancia Ypsilon l’ “enfant prodige”, come lo battezza la stampa visto che non ha neanche 40 anni, nel 2004 assume la carica di amministratore delegato della Fiat Automobiles S.p.A.
Nel giro di tre anni, è il 2007, entra nel board del Gruppo Fiat assumendo la responsabilità del marketing di tutti i marchi, carica a cui si aggiungono nello stesso anno quelle di amministratore delegato di Abarth, marchio che rispolvera dopo decenni di oblio, e successivamente di Alfa Romeo, di cui programma il ritorno negli USA.
Con lui come pedina fondamentale al vertice del Lingotto nascono la Alfa Romeo MiTo e la Grande Punto. Il suo successo più grande è però il “revival” della Fiat 500.
Lanciata in grande stile nel 2007 in occasione dei 50 anni del “Cinquino” del ‘57, diventa presto un successone commerciale e il modello del ritorno del marchio Fiat negli Stati Uniti, che la accolgono molto bene nonostante la reputazione del brand non fosse delle migliori. Tanto che gli americani riferendosi alla sigla Fiat usavano canzonare le auto italiane dicendo che Fiat significasse “Fix it again Tony”. De Meo suggellerà il successo ottenuto con la sua creatura più con la autobiografia Da 0 a 500 che ripercorre la sua carriera. Che però gli deve riservare ancora il meglio.
Nel giro di sette anni Luca De Meo non è più un “Marchionne boy” (altro nomignolo affibbiatogli dai giornalisti), ma si guadagna la fama di dirigente capace e ambizioso e nel 2009 arriva la chiamata più ambita per uno come lui che le automobili le vuole costruire fin da bambino.
A chiamarlo è la Volkswagen AG, il primo costruttore d’Europa e del mondo per volumi. Per lui è pronta la direzione del marketing di Volkswagen e dell’intero Gruppo di Wolfsburg. De Meo si dimette, Marchionne è dispiaciuto ma capisce che non si possono tarpare le ali alle ambizioni di un giovane manager che ha già raccolto così tanti risultati, la Borsa addirittura accoglie la notizia delle sue dimissioni con un ribasso del titolo. E se lo dice pure il mercato finanziario che sei importante... vuol dire che lo sei davvero.
Nel 2012 diventa membro del board di Audi AG come responsabile vendite e marketing e Presidente del Consiglio di Amministrazione di Volkswagen Group Italia S.p.A. Nel giro di tre anni, trasloca in Spagna per assumere da presidente la guida del marchio Seat, per il quale architetta lo spin-off di Cupra, che da denominazione della gamma sportiva diventa un brand a sé stante, operazione che ha qualche analogia con quella di Abarth dei suoi anni in Fiat.
I risultati che ottiene al timone della Casa catalana sono ottimi in termini di volumi e redditività e gli fruttano l’interesse di Renault, costruttore oggi alle prese non solo col momento difficile che attraversa l’automobile, ma anche con un futuro tutto da scrivere dopo il burrascoso ritiro dalle scene del potente Carlos Ghosn.