Questione di chip e di guadagni prefissati, Per qualcuno la frenata è troppo brusca

Questione di chip e di guadagni prefissati, Per qualcuno la frenata è troppo brusca
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I colossi dell’auto parlano di problema ancora serio ed esteso fino al 2022: la crisi di fornitura chip pesa come non mai, per l’industria che perde denaro e sfora obiettivi. Freno alle produzioni Toyota, VW, Stellantis e Mercedes, con un occhio incerto ai target elettrici di lungo termine
20 agosto 2021

Se ne parla da troppo e così tanto che anche l’uomo della strada non può non aver sentito della crisi dei chip, per i costruttori di auto. I reazionari sorridono, pensando a un freno per quella brutta sostituzione di motori imposta a suon di proclami industriali e politici. Eppure sulle campagne media e nelle concessionarie, le vetture arrivano sempre più elettriche, connesse e autonome. Vorremmo sapere anche dai nostri lettori se e quanto si sono allungate a loro sentore, per quali modelli, le tempistiche.

Proprio dietro a quei nuovi modelli e nei nuovi sistemi di bordo, ci sono migliaia di componenti elettronici evoluti. Se ne contano quasi 1.500 in certe auto del 2021 e anche sulle termiche tutto è gestito elettronicamente, proprio a partire dalla combustione nei cilindri.

Centraline, ma anche moduli e sensori complessi, comandi. Sono milioni e milioni di micro-chip la cui filiera, parzialmente indipendente a monte dei colossi auto, fatica.

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Almeno a soddisfare le pretese dei carmaker. Soprattutto in zone dove la pandemia non si placa ed è impossibile sfornare prodotti come nella vecchia normalità, troppi anche i cambiamenti divenuti strutturali. Perché i costruttori ne parlano così tanto, invece di correggere solo alcune politiche (es. di logistica, aggiornamento tecnologico, di gamma e prezzo)? Ovvio: per interesse e un po' di propaganda politica di fronte agli investitori e il mondo finanziario.

Volkswagen, Toyota ma anche Stellantis e Mercedes, tutti hanno dei punti produzione con ritmi rallentati tra America, Asia e in parte anche Europa. Se a loro cala l’offerta di chip, subito ne sale il prezzo. Anche perché salgono i costi delle materie prime da un po’ a questa parte e le ripercussioni, a scalare, sarebbero tali da far sorridere, questa volta intensamente, i reazionari del motorone termico a carburante fossile.

Più di un capo d’industria comincia a dire che questa faccenda, iniziata nel 2020, durerà in varia misura fino al 2022 e non è cosa buona fissare troppo vicina la data di pensionamento vetture termiche. 2030 diventa 2035, poi 2040? Sospiro di sollievo per chi non ama le auto con la spina, ma anche problemi di gestione strategica e forza lavoro, per chi aveva steso certi piani industriali.

Alcuni studi dicono che nel complesso la carenza di chip per l’auto frenerà milioni di vetture, nella loro uscita di fabbrica e, addirittura, il valore totale di caduta nei ricavi sfiorerà 110 miliardi di dollari. La faccenda, ancora poco tangibile per l’automobilista medio, non è di poco conto se si pensa agli investimenti con incentivi messi per la ripresa di mercato pronta a esser cavalcata dai carmaker. E questo freno, palesato a singhiozzo, dove a premere non è chiaro se sono solo condizioni oggettive, o anche scelte di chi ha il potere tra siliciai e carmaker stessi. Che si regolano su velocità, di produzione, correzione prezzi e gestione fabbriche (anche nuove, da avviare per seguire la tecnologia in evoluzione) non conformi tra loro.

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