Quella "sporca" dozzina: dodici motori benzina e diesel che rimarranno nella storia

Quella "sporca" dozzina: dodici motori benzina e diesel che rimarranno nella storia
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Pensando a tutte le novità elettriche in arrivo nel 2024, corre l'obbligo di rendere omaggio ai capolavori di tecnologia "fossile" che sono già scomparsi dai listino o prossimi a uscirne
4 gennaio 2024

Si calcola che nel 2035, anno dell'obbligo di produrre elettriche in Europa, ci saranno ancora il 70% di motori a combustione in circolo, quindi molti "nobili" motori termici non cesseranno di esistere, ma cerchiamo di essere pragmatici: saranno ben pochi i costruttori che investiranno soldi per unità termiche radicalmente nuove, preferendo aggiornare (o rendere ibridi) i progetti che hanno già in casa.

Ci piace quindi riconoscere un tributo a questi vecchi motori - anche se considerati "sporchi" - che sono anche delle storie di uomini: ingegneri, imprenditori, piloti e appassionati che hanno sfruttato al meglio le tecnologie che avevano disponibili, creando quei miti fatti di pistoni e bielle che oggi prendono il loro nome o quello di una specifica caratteristica. Una "sporca dozzina" come i mesi dell'anno che ci aspetta e - vi assicuro - non è stato facile scegliere fra tanti miti. Chissà che qualcuno non ne faccia un calendario, prima o poi.

Alfa Romeo V6 "Busso"

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Il motore Alfa Romeo V6 di 60° prende il nome dal suo capo progettista, Giuseppe Busso, ed era inizialmente una unità da 2 litri (1979) ma in seguito ne sono state realizzate molte varianti con o senza il turbo e fino a 3,2 litri di cilindrata con potenza che andavano da soli 134 CV (Alfa 6 del 1983) e fino a 247 CV (Alfa Romeo 156 GTA del 2005). Indipendentemente dalle sue specifiche, ogni motore Busso condivide la stessa reputazione di essere straordinariamente fluido, con una buona erogazione di potenza ai bassi regimi e una nota del motore incredibilmente unica a regimi più alti. Il Busso è stato il centro delle motorizzazioni Alfa Romeo per più di 30 anni.

Alfa Romeo 690T

Già il fatto che questo motore sia stato sviluppato dalla Ferrari per la Giulia Quadrifoglio dice molto delle sue qualità: è un nobile V6 bitubo 2.9 litri a 90° arrivato fino a 540 CV di potenza sulle GTAm e il suo progenitore, l'otto cilindri Ferrari F154, ha poi trovato casa su molte Maserati, Ferrari F8 Tributo, e persino la Ferrari SF90 ibrida. È considerato unanimemente uno dei migliori motori a sei cilindri della storia moderna per berline e suv ma potrebbe finire la sua carriera con l'attuale piattaforma Giorgio perché la sua conformazione non permette di trasformarlo né in unità semi-ibrida, né plug-in.   

 

Audi 5 cilindri

Il soprannome è "straight five" (cinque in linea) e la sua maggior qualità, a detta di chi lo ha guidato e lo guida ancor oggi è una tonalità di "voce" del tutto particolare dovuta all'ordine di scoppio dei cilindri. Il cinque cilindri Audi, anno di nascita 1977, è un pluricampione nel Motorsport (Audi Quattro e Audi Sport Quattro) e tutt'ora un esempio di compattezza (è grande più o meno come un 4 cilindri) abbinata ad una potenza specifica molto elevata che nell'Audi RS3 arriva a 160 CV/litro e può essere montato trasversalmente. È stato declinato anche come diesel e utilizzato per i modelli Volvo e nelle vetture speciali ha raggiunto livelli di potenza straordinari: l'Audi Sport quattro S1 ha vinto alla Pikes Peak con Walter Röhrl nel 1987 e aveva 600 CV, e nel campionato americano IMSA ha vinto praticamente tutto gareggiando con un'Audi 90 da 720 CV e soli 2,2 litri di cilindrata.

Bugatti W16 Quad Turbo

Nessuno ha osato, nel mondo auto, mettere in gioco un simile frazionamento, se non prendendo a prestito i motori da aereo, ma Bugatti nel 2005 voleva decisamente andare oltre con la Veyron da 8 litri e 16 cilindri disposti a W, in pratica due otto cilindri "compenetrati" l'uno nell'altro per ragioni di compattezza. I valori di potenza e coppia nel tempo sono cambiati ma si va da un minimo di 1.000 CV fino a oltre 1.800 CV nelle varie versioni della Veyron e della Chiron. L'enormità dei numeri in gioco avevano posti dei problemi iniziali al cambio e al sistema di raffreddamento, poi risolti, mentre i costi di mantenimento sono sempre stati esorbitanti: un tagliando con cambio olio costa circa 21.000 euro.      

Ferrari V12 Colombo

Progettato per le corse, ha equipaggiato alcune delle auto stradali più leggendarie della Ferrari; è stato ideato dall'ingegner Gioacchino Colombo (assistito dal progettista Giuseppe Busso, già citato) ed è rimasto in produzione dal 1947 al 1988. Era un V12 di 60° di cilindrata piccolissima all'inizio, solo 1,5 litri per 116 CV, leggero e molto adatto alle competizioni, perché dimensionato per le gare di Formula 1 dell'epoca (125 F1, dove 125 rappresentava la cilindrata unitaria), ma si è poi evoluto fino a 4,9 litri e 400 cavalli. Questo motore ha contribuito a rendere inarrivabili le Ferrari leggendarie degli anni '50 e '60 come la 250 Testa Rossa, 250 GTO e 365 GTB/4 Daytona ed è stato sviluppato a lungo anche quanto il motorista di Ferrari divenne Aurelio Lampredi, che a sua volta mise in produzione un V12 che ebbe però vita più breve del Colombo.

Ferrari F140B

Il V12 di 65° da 6 litri aspirato della Ferrari Enzo e di molte altre Ferrari è un altro motore leggendario del Cavallino che non poteva restare fuori da questa rassegna, e non solo per l'unità in sè, ma anche per l'auto che lo adottò per prima, la Enzo realizzata nel 2002 e prodotta fino al 2004 in 399 esemplari + 1, riservati inizialmente ai collezionisti che già possedevano una F40 o una F50 (l'ultima prodotta fu messa all'asta da Sotheby's). Ai tempi della Enzo stabilì il record di potenza per una vettura stradale aspirata con 660 CV. L'evoluzione di questa solida base V12 ha poi motorizzato tutta una serie di sportive e granturismo fino ai giorni nostri e è servito anche per il primo modello a ruote alte come la Ferrari Purosangue. 

Fiat F.I.R.E.

"Fully Integrated Robotised Engine", per gli amici FIRE, il capolavoro del Gruppo torinese di metà anni '80 prodotto, secondo le stime, in 23 milioni di esemplari nelle varie potenze e cilindrate e quasi ubiquo su tutta la produzione dei vari marchi, con qualche digressione estera come la Ford Ka, la Tata Indigo, la Dodge Dart e persino un'auto da corsa, la Tatuus FA010. Il suo punto forte, che oggi può sembrare un fatto comune ma non scontato nel 1985, era di essere interamente lavorato da robot, per economia e standardizzazione. L'idea venne ad un famoso designer, Rodolfo Bonetto che aveva firmato oggetti di design come televisori, telefoni e arredamento. L'evoluzione ha portato il turbo, la testata a 16 valvole e il controllo elettroidraulico della distribuzione e un incremento di cilindrata fino a 1,4 litri. Ha mosso le nostre auto dal 1985 (anno in cui sostituì il leggendario "903" della Panda 45) al 2016 per essere poi sostituito dalla serie GSE (Global Small Engine) nel 2016.

Ford Ecoboost

Ecoboost è una famiglia di propulsori Ford a 3,4 e 6 cilindri che ha fatto morire d'invidia tutti i motoristi del mondo per anni: pensate che racchiudeva 128 brevetti e spaziava da poderosi V6 da 3,5 litri al piccolo tre cilindri da 1,5 litri pensato per l'Europa che ha mosso le best seller (e price-leader per molti anni) Fiesta e Focus, ormai uscite dal radar. Perché era speciale? Nulla di rivoluzionario in senso stretto, ma tante piccole migliorie e la flessibilità di questa base permetteva di avere una combustione super efficiente ma anche unità di alta potenza come quella della bomba Fiesta RS, che nel 2011 e 2012 vinse sei prove del mondiale WRC (1,6 litri turbo). I suoi segreti, presto scoperti e imitati, erano il turbo che girava a velocità folli (248.000 giri/min), l'ottimizzazione del circuito di lubrificazione a flusso variabile e del raffreddamento, il collettore integrato nella testata. Per tre anni di fila è stato premiato col titolo di Engine of The Year.

Honda V-TEC

Il motore Honda V-TEC occupa un posto d'onore nella nostra hit parade per le sue qualità di coppia e potenza ma anche per la capacità, in alcuni modelli, di arrivare a regimi che sono più vicini a quelli delle auto da corsa che stradali, come la Honda S2000 e di recente la Honda Civic Type-R a trazione anteriore da 329 CV, puro piacere di guida. Il suo segreto, poi ripreso da altri, è proprio nella sigla VTEC che significa "tempo e alzata delle valvole variabile" sia di quelle di aspirazione sia dal lato scarico. Una soluzione che è governata da un asse a camme dal profilo doppio, uno per i bassi regimi e uno che si adatta meglio a quelli alti. Una volta un alto dirigente della General Motors disse che questa unità meriterebbe di stare nell'olimpo dei Più Grandi Motori di tutti i tempi, e non c'è complimento più grande di quello che arriva dalla concorrenza. Ed eccolo qui.  

Lamborghini V12 Bizzarrini

La leggenda (va beh, diciamo Wikipedia) narra che Ferruccio Lamborghini, da sempre rivale di Ferrari, volesse un V12 per le sue sportive e abbia assoldato Giotto Bizzarrini promettendo un bonus per ogni cavallo in più che sarebbe riuscito ad ottenere rispetto al V12 Ferrari Colombo, e si suppone che abbia vinto la scommessa perché il suo V12 aveva 280 CV sulle vetture stradali mentre quello della coeva Ferrari 275 arrivava a 260. La geometria delle bancate è a V di 60° e l'unità venne talmente bene da restare in produzione (con vari aggiornamenti e aumenti di cilindrata fino a 5,2 litri) fino alla Murcielago del 2002. Probabilmente il modello più iconico ad adottarlo è stata la Lamborghini Miura di Marcello Gandini per Bertone. Poi venne Audi, e il V12 Bizzarrini andò in pensione al lancio della Aventador.   

Porsche Boxer

Chi non riconoscerebbe al "flat six" il compito di rappresentare la tecnica motoristica più raffinata e le soluzioni tecniche più controverse? Il boxer di Ferdinand Porsche è datato 1963 come evoluzione del "flat four" del Maggiolino (che però nessuno chiama così ma semplicemente boxer), da cui ereditava il raffreddamento ad aria e la collocazione "fuoribordo", ovvero dietro l'asse posteriore. Una cosa che sulla Beetle poteva anche starci, ma su una sportiva? Eppure Porsche seppe creare un'auto bilanciata e reattiva che ancor oggi detta legge nel motorsport e sulle strade. Il turbocompressore aveva già fatto capolino al Salone di Parigi del 1974, evolvendosi poi in quella vettura mitica che è stata la 911 Turbo (930) del 1977 con 300 CV. Come tutti i motori, ha avuto dei difetti, ma non all'inizio, bensì nel 1997, quando viene adottato il motore M96 che per vari anni è stato soggetto al problema IMS (Intermediate Shaft Bearing) un semplice cuscinetto che può rompersi anche con motori praticamente nuovi. Se succede, il sincronismo fra valvole e pistoni viene perso e il motore si autodistrugge.

Volkswagen XL1

L'ultimo motore della nostra raccolta è associato indissolubilmente al nome di Ferdinand Piëch, nipote di Porsche, ed è un diesel, quello della XL1. Un progetto del 2013 a numero limitato e costoso, (ma non certo di più della Bugatti Veyron, altra sua creatura) che, si dice, fosse la sua risposta a chi gli chiedeva perché Volkswagen non fosse mai entrata in Formula 1. La "sua" Formula 1 era un'auto in grado di fare 100 km con un litro di carburante e il risultato del progetto fu un piccolo bicilindrico turbodiesel common rail ibrido plug-in da 0,8 litri di cilindrata e 48 CV di potenza con una batteria da 5,5 kWh (come quella di una Citroen AMI, per intenderci) che permetteva di fare 50 km in elettrico. Il record di consumo effettivo fu di 0,9 litri/100 km, ma il ciclo di omologazione di allora era diverso. L'efficienza della XL1 era data anche dall'estrema leggerezza e dallo straordinario Cx di 0,189.   

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