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Tutto è cominciato grazie al genio di Ferdinand Porsche che, dopo avere lavorato presso aziende famose come la Austro Daimler, la Mercedes-Benz e la Steyr, alla fine del 1930 ha aperto un suo studio tecnico a Stoccarda. Uno dei suoi più importanti clienti era la Wanderer, che nel 1932 è entrata a far parte della Auto Union (le altre tre aziende che formavano questo grande gruppo industriale erano la DKW, la Audi e la Horch).
Alla fine di quello stesso anno lo studio Porsche ha progettato una rivoluzionaria vettura da competizione a motore posteriore, studiata in previsione dell’entrata in vigore del nuovo regolamento, che consentiva un peso massimo di 750 kg per le monoposto da Gran Premio. Si trattava del “progetto 22” che, grazie anche al fatto che lo stato aveva stanziato una somma cospicua per il rilancio della industria automobilistica tedesca a livello agonistico, è stato approvato dalla direzione della Auto Union, con stipula del relativo contratto, nel marzo del 1933.
La nuova vettura da competizione, inizialmente nota all’interno dell’ufficio tecnico come P-Wagen, è stata realizzata in un reparto corse appositamente allestito nello stabilimento Horch di Zwickau, in Sassonia, sotto la supervisione di Ferdinand Porsche e di altri tecnici di grande valore come Robert Eberan-Eberhorst.
Il motore: un 16 cilindri a "V"
Il motore è stato disegnato a Stoccarda da Josef Kales, con la collaborazione di Franz Reimspiess. Si trattava di uno straordinario 16 cilindri a V di 45° sovralimentato per mezzo di un compressore Roots disposto verticalmente. L’alesaggio di 68 mm era abbinato a una corsa di 75 mm e la cilindrata totale era di 4,36 litri. Tanto il basamento, nel quale erano inserite le canne dei cilindri in ghisa (del tipo riportato in umido), quanto le teste erano fusi in lega di alluminio con elevato tenore di silicio. Le valvole erano due per ogni cilindro, inclinate tra loro di 90°; quella di aspirazione era da 35 mm e quella di scarico da 32 mm. Il sistema impiegato per comandarle era molto particolare, in quanto prevedeva un unico albero a camme piazzato centralmente e dotato di ben 32 eccentrici.
Tutto inizia con la Tipo A
Le valvole di aspirazione venivano azionate per pezzo di bilancieri a dito e quelle di scarico per mezzo di aste (disposte pressoché orizzontalmente) e bilancieri a due bracci. A comandare l’albero a camme provvedevano un alberello verticale e due coppie di ingranaggi conici. L’albero a gomiti era forgiato in un sol pezzo e poggiava su 10 supporti; le bielle, dotate di cappello, erano munite di bronzina che, come quelle di banco, erano divise in due parti. Con un rapporto di compressione di 7:1 e una pressione di sovralimentazione di 0,6 bar questo motore erogava 295 cavalli a soli 4500 giri/min. La vettura, denominata semplicemente Auto Union tipo A, aveva le sospensioni a ruote indipendenti. Tra il posto di guida e l’assale posteriore erano collocati il serbatoio del carburante e il motore, abbinato a un cambio a cinque marce. Nel 1934 questa vettura si è imposta nei Gran Premi di Germania, Svizzera e Brno (in Cecoslovacchia).
Tipo B, l'evoluzione
Per la stagione agonistica successiva la monoposto ha subito diverse modifiche, diventando la Tipo B. Per quanto riguarda il motore, la cilindrata è stata portata a 5 litri grazie a un aumento dell’alesaggio (passato a 72,5 mm) e la potenza è salita a 375 CV a 4800 giri/min. Una importante modifica tecnica ha interessato l’albero a gomiti, divenuto di tipo composito (le varie parti erano unite con il raffinato sistema Hirth), cosa che ha consentito l’impiego di bielle con testa in un sol pezzo, lavorante su rullini ingabbiati. Di questa vettura è stata realizzata anche una versione con cilindrata aumentata a 5,6 litri. Nel corso della stagione sono arrivate altre importanti vittorie, tra le quali due in Italia: il Gran Premio corso sulla pista di Monza e la Coppa Acerbo.
Tipo C e la fine del V16
Nel 1936 ha fatto la sua comparsa l’evoluzione finale della 16 cilindri, ovvero la Tipo C che, con una cilindrata di 6 litri (ottenuta con un alesaggio di 75 mm e una corsa di 85 mm) e una pressione di sovralimentazione di 0,95 bar, è arrivata a erogare ben 520 cavalli a 5000 giri/min, abbinati a una mostruosa coppia di 870 Nm, disponibile a soli 2500 giri/min. Con questa straordinaria monoposto il grande Bernd Rosemeyer si è imposto nel Campionato Europeo (cioè il mondiale di allora) e ha vinto i GP di Germania, Svizzera e Italia. L’anno successivo, sempre con la Tipo C, sono arrivate altre importanti vittorie, tra le quali una negli USA (coppa Vanderbilt).
Tipo D: arriva il V12
Il nuovo 12 cilindri
Per gareggiare in una nuova classe, per la quale si prevedeva un importante futuro, alla Auto Union nel 1939 si è iniziato a lavorare al progetto di una inedita monoposto con motore sovralimentato di 1500 cm3. Sarebbe stata la Tipo E, ma non si sa se la costruzione del prototipo è mai stata completata; è certo però che molti componenti fondamentali sono effettivamente stati realizzati e assemblati. Le notizie in proposito sono comunque contrastanti. Robert Eberan-Eberhorst, che ha lasciato Zwickau alla fine del 1940, diceva che fino ad allora erano state effettuate, con ottimi risultati, solo prove al banco su di un “modulo” monocilindrico di 125 cm3 del nuovo motore, che avrebbe dovuto avere 12 cilindri, con una architettura a V di 60°. L’alesaggio di 53 mm era abbinato a una corsa di 56 mm e la distribuzione seguiva lo schema già impiegato sulla formidabile Tipo D (ma sembra che sia stata presa in considerazione anche l’idea di realizzare nuove teste a quattro valvole per cilindro). Con una pressione di sovralimentazione di 1,9 bar, si sarebbe dovuta ottenere una potenza di 327 CV a 8500 giri/min.
Con la fine della guerra, finisce anche Auto Union
Al termine della seconda guerra mondiale gli stabilimenti delle varie aziende che formavano l’Auto Union si sono venute a trovare nella zona della Germania occupata dai russi, che rapidamente hanno provveduto a smantellare gran parte delle strutture produttive e a trasportare in Unione Sovietica molte attrezzature e macchinari, ai quali si sono aggiunte diverse vetture da competizione. Negli stabilimenti rimasti in funzione il governo della neonata Germania dell’Est ha provveduto in seguito a far realizzare moto e auto spartane ed economiche, destinate alla motorizzazione di massa. Alcune erano copie di DKW e di BMW d’anteguerra, mentre altre chiaramente erano delle discendenti di tali mezzi.
Fortemente imparentata con la Tipo E, che come visto non si sa se sia mai stata costruita, ma della quale esisteva un progetto dettagliato, è una monoposto progettata attorno al 1949 da un gruppo di tecnici che avevano lavorato quasi tutti alla Auto Union. Si tratta della Awtowelo “progetto 650”, azionata da un motore aspirato a 12 cilindri a V di 65° di 2 litri, cilindrata ottenuta con un alesaggio di 62 mm e una corsa di 55 mm.
Due esemplari di questa vettura, fortemente voluta da Vasily Stalin, figlio del dittatore e grande appassionato di auto da corsa, sono state costruite e, dopo alcune prove compiute in Germania, sono state spedite in Russia (dove erano state denominate Sokol, ovvero falcone) per gareggiare nella primavera del 1952. I meccanici sovietici però non avevano nessuna dimestichezza con una meccanica così raffinata e non sono stati in grado di fare una messa a punto decente.
I meccanici sovietici però non avevano nessuna dimestichezza con una meccanica così raffinata e non sono stati in grado di fare una messa a punto decente
La sostituzione dei carburatori da loro effettuata non ha fatto altro che peggiorare le cose. E la pessima benzina disponibile non ha migliorato certo la situazione. Insomma, l’esordio è stato un disastro e le auto sono state ben presto rispedite nella Germania dell’Est, dove pare che siano finite nelle officine EMW di Eisenach (in uno stabilimento che prima del conflitto apparteneva alla BMW). Nel 1953 Stalin è morto e il figlio è stato rapidamente messo in prigione. Questa però non è la fine della storia…
Delle due auto si sono perse le tracce, ma una è stata ritrovata quasi per caso diversi anni dopo in un pollaio (ma secondo un’altra versione si trattava di un fienile). Era in pessime condizioni e in seguito è stata protagonista di pittoresche vicissitudini. Per fortuna è stata restaurata grazie al Museo di Donington, in Inghilterra.
Per quanto riguarda le Auto Union da Gran Premio, ce ne sono alcune originali, per le quali dopo il ritorno in Occidente è stato sufficiente un restauro e altre che sono state rifatte in parte o quasi completamente. All’Audi va il grande merito di avere acquistato alcune di esse e di averle riportate a condizioni di perfetta efficienza, al punto di poterle mettere in pista in occasione di alcune manifestazioni per far sentire agli appassionati lo straordinario canto dei loro motori.