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Gli analisti di McKinsey la sanno lunga e, con una certa frequenza, le loro previsioni colgono nel segno.
Non lo sappiamo ancora se l'analisi che hanno confezionato nelle scorse settimane sul futuro dell'industria dell'auto sia più o meno azzeccata, più o meno allarmista, più o meno da buttare o da conservare a futura memoria.
Quel che è certo, però, e non è cosa da poco, è che il livello di profondità nell'esplorazione dei dati e l'accuratezza nella loro elaborazione sono tali da meritarne il racconto.
La trattazione comincia con un dato molto generale: nel mondo, i principali generatori di profitto nel settore sono la Cina e il Nordamerica, con una fetta pari al 65 per cento del totale. L'Europa contribuisce alla torta per circa un quinto, nonostante la redditività di essi risulti di recente in crescita.
Questa la fotografia del presente, ma qual è il futuro che si prospetta per le Case, l'indotto e tutti gli altri soggetti, a vario titolo, coinvolti nel comparto? Quanto sono vere le previsioni di chi prevede che l'anno appena trascorso e quello in corso saranno il biennio d'inizio di una nuova recessione?
Per la finanza la risposta è sì, tant'è che nel 2018 la maggior parte delle case automobilistiche ha registrato cali a due cifre nel valore delle azioni.
Che rischiano di scendere ulteriormente, date le pressioni sui profitti futuri, che includono soprattutto gli investimenti da destinare all'assecondare normative sempre più rigorose sulle emissioni e i costi di ricerca per lo sviluppo di veicoli elettrici e a guida autonoma.
In altri termini, gli investitori sono scettici circa la capacità dei produttori di automobili nel difendere la loro redditività futura in vista di un nuovo ciclo recessivo nei mercati chiave e a fronte di costi sempre più elevati da sostenere per le ragioni di cui sopra.
Secondo le stime, da qui al 2025 arriveranno sul mercato oltre 300 nuovi veicoli elettrici, concentrati più che altro nella gamma medio-alta e meno sulle utilitarie, dove la propulsione elettrica dà il meglio in termini di rapporto tra prestazioni e fabbisogno emergetico, al contrario di quanto avviene con i pesanti ed esosi (in termini di risorse) Suv.
Fattori economico-finanziari a parte più interessante dell'analisi, secondo noi, è quella che riguarda i possibili nuovi modelli di business a cui stanno guardando i grandi player del settore.
Il più interessante - e probabilmente anche il più verosimile - è quello che pone l'enfasi su un cambio di paradigma, cioè il passaggio da “produttori di automobili” a “soggetti della mobilità”.
Non vi ricorda qualcosa? Non c'è una forte similitudine tra quanto è accaduto un paio di decenni fa nell'industria hi-tech, dove alcuni dei principali soggetti, da produttori di hardware si sono coinvertiti in produttori di servizi?
Se così fosse, sarebbe una scommessa destinata a dare buoni frutti, se si considera che il giro d'affari di 2.500 miliardi di dollari derivante dal business dai servizi e dalla mobilità nella più estesa delle sue accezioni possibili è ben più ghiotto di quello che si può ricavare dalla sola vendita di automobili.