Puma: vis à vis con Adriano Gatto

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Abbiamo incontrato Adriano Gatto, fondatore dell'azienda romana celebre per la GTV e la Dune Buggy di "Altrimenti ci arrabbiamo", "Dune Buggy", "Bomber" o "Mani di velluto": la Puma
24 marzo 2012
Eravamo molto curiosi di parlare con Adriano Gatto, il fondatore della Puma. Questo marchio romano risulta infatti estremamente interessante per essere stato il più longevo esperimento italiano di kit car, ovvero vetture che si potevano acquistare sia finite, sia in scatola di montaggio.
 
Chi voleva provare l’ebbrezza e la soddisfazione di imbullonarsi vite per vite il proprio mezzo doveva procurarsi per conto suo un telaio e un motore del Maggiolino; tutto il resto arrivava in un grande pacco da Roma.  
 
Inoltre la Puma è stata straordinaria antesignana del  “product placement”, ovvero dell’inserire a scopo pubblicitario proprie vetture in film in successo. Naturalmente allora questa attività si chiamava semplicemente “prestare le macchine”, e la Puma ne comprese prima di altri l’importanza strategica.
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La Dune Buggy della Puma è stata protagonista di molti film italiani, tra cui Altrimenti di arrabbiamo con Bud Spencer e Terence Hill

La Puma ed il cinema

“Altrimenti ci arrabbiamo” del 1974 con Bud Spencer e Terence Hill fu uno straordinario successo al botteghino: ebbene, come ricorderanno in molti, tutta la pellicola si incentrava attorno ad una Dune Buggy rossa. Era una Puma, e perché si capisse meglio Gatto riuscì a far mettere sul cofano la scritta a caratteri cubitali.  
 
Tra l’altro la canzone del film, dei mitici fratelli De Angelis (od Oliver Onions) si intitolava proprio “Dune Buggy” e scalò le classifiche. Le Puma compaiono anche in “La Ragazza Fuoristrada” (1973), “I padroni della città” (1976), “Mani di velluto” (1979 con Celentano), “L’insegnante al mare con tutta la classe” (1980 con Banfi), “ Bomber” (1982 con Jerry Calà) e  “Sing Sing” (1983 con Celentano).
 
Molti ricorderanno anche l’ultima pagina di Quattroruote, la “Piccola Pubblicità”, dove c’era sempre  un inserzione con foto della Puma, posizionata in maniera strategica.
gtvporsche
Non si poteva definire un vero costruttore ma nella sua storia l'azienda ha creato molti modelli, tra cui la sportiva GTV

Costruttore? Forse esagerato ma...

Definire la Puma un vero costruttore è forse esagerato, avendo comunque sempre lavorato con telai Volkswagen (eccetto che per la Ranch) e motori Volkswagen od  Alfa e non avendo impiegato mai più di 26 operai. Tuttavia, contrariamente ad altri produttori di semplici Dune Buggy, la Puma ha creato durante i suoi ben 25 anni di vita (dal 1969 al 1994) una gamma differenziata, molto personalizzata e con elementi di progettazione decisamente originali, cosa che le vale un  meritato posto nella storia dell’automobilismo italiano.

La GTV aveva una linea spettacolare

A parte la Ranch, un piccolo fuoristrada, la produzione della Puma si è sviluppata su due filoni: le Dune Buggies ( Gatto Spider, Puma, Puma GT) e la supersportiva GTV che, partita come copia della kit car inglese Nova, venne sviluppata in modelli via via sempre più originali. La GTV, caratterizzata da una linea spettacolare, è sicuramente un mezzo da approfondire, e la prossima settimana infatti ci torneremo più in dettaglio con anche la simpatica intervista ad un proprietario di ben due vetture.      

Nuovi progetti all'orizzonte

Dicevamo del geniale Adriano Gatto, ebbene basta poco per rendersi conto che la passione è sempre la stessa e che, per dirla alla romana, “je rode” aver dovuto chiudere la sua azienda. Tanto che sta proprio in questo periodo progettando una sportivissima minicar, che speriamo di vedere in vendita presto, anche se non potrà fregiarsi del marchio “Puma”, venduto nel frattempo alla Ford.  

In questo periodo progettando una sportivissima minicar, che speriamo di vedere in vendita presto, anche se non potrà fregiarsi del marchio “Puma”, venduto nel frattempo alla Ford

Ma andiamo con ordine e partiamo dall’inizio

“L’idea di costruire dune buggies – ci racconta Gatto - mi venne dopo un viaggio negli Usa. Mio papà aveva una tenuta fuori Roma, in cui c’era una specie di grotta. Io ed un mio amico ci piazzammo li a costruire artigianalmente il nostro buggy. Appena cominciai ad utilizzarlo, mi chiesero però subito di acquistarlo. Ok, allora ne produssi un  altro, ma anche per questo arrivò una ottima offerta. Così presi la decisione di costruirli in piccola serie, spostandomi dalla grotta in un vero stabilimento, sulla Tiburtina. Una decisione fortunata, dato che abbiamo costruito auto per 25 anni, e se non fosse  stato per i problemi omologativi che incontrai, le starei costruendo ancora adesso.

In cosa si differenziavano le Puma dalle altre buggies italiane del periodo?

“Secondo me erano più curate, con accorgimenti particolari ed una linea molto accattivante. Questo ci permise di essere l’azienda più longeva in Italia in questo settore”.
QUATTRORUOTE 1985
In molti ricorderanno la Puma come inserzionista delle pagine di "Piccola pubblicità" sui Quattroruote di metà anni 80

Come venivano vendute e distribuite le sue vetture?

”Non ho mai avuto una vera rete. Per me costruire queste auto era una passione, ed i clienti penso se ne accorgessero. Chi voleva una Puma mi telefonava o mi scriveva e mandava un assegno come acconto. Quando la vettura era pronta, veniva a Roma a prendersela e la guidava fino a casa, mentre se sceglieva la soluzione del kit, glielo spedivo con il treno. Poi con il proprietario si instaurava di solito un rapporto personale, spesso di amicizia, che aiutava a risolvere eventuali problemi in scioltezza. Nonostante fosse un sistema di commercializzazione elementare, evidentemente funzionava visto che la mia azienda ha prosperato per un quarto di secolo. Qualche macchina l’ho venduta anche all’estero, specie in Grecia e Spagna”

Oltre le buggies, la Puma ha costruito la spettacolare GTV, una supersportiva che replicava la kit car inglese Nova: come la ricorda?

“Innanzitutto diciamo che partì come replica della Nova, ma che la Puma nel corso degli anni introdusse tutta una serie di modifiche estetiche e di meccanica che la resero originale; prima l’abbiamo accorciata, poi ci ho fatto le porte ad ala di gabbiano in luogo del cupolone, poi l’ho arricchita e gli ho sostituito il propulsore Vw con quello dell’Alfasud 1200 e 1500. Alla fine era un mezzo di soli 780 Kg che superava i 200 all’ora e che, grazie all’introduzione dei dischi sulle quattro ruote, frenava bene. Ne ho addirittura fatta una versione elettrica nel 1988….”

Il telaio del Maggiolino era un limite? 

“No, a chi ha progettato quel telaio dovrebbero fare un monumento, perché con le dovute modifiche si è sempre dimostrato adeguato. Avendo pianale e scocca separati, il Maggiolino era perfetto per le vetture che costruivamo noi.”.
Puma GTV in una scena di Mani di velluto
Le difficoltà omologative italiane hanno segnato la fine della Puma

Cosa segnò la fine della Puma?

“Non certo la carenza di ordini, ma le difficoltà omologative e l’atteggiamento della motorizzazione. Faccio un esempio: dovevo fare un aggiornamento dell’omologazione della GTV con il boxer 1500 Alfa. Il motore, compreso di scarico, l’avevo preso nuovo all’Alfa Romeo, la vettura pesava almeno 200 Kg meno dell’Alfasud, eppure non passò le prove di inquinamento! Come era possibile? Il fatto è che alla fine ero un piccolo artigiano, ed i costi, i tempi e la scarsa elasticità della burocrazia italiana mi hanno sfiancato. Non nego che mi sento triste quando vedo che in Germania ancora oggi omologano i trikes con motore del Maggiolino a carburatori. Sono sicuro che se la Puma fosse nata in Francia, in Germania o in Inghilterra (patria delle kit cars) sarei ancora in attività. E pensare che avevo in cantiere una nuova GTV veramente spettacolare, la 248, con motore Alfa 1700!  ”.

Eppure ci sta riprovando…

“Si, io sono prima di tutto un appassionato, sono stato anche un buon pilota di autocross, e non riesco a stare fermo. Non so disegnare, ma mi piace lavorare in officina a fare pezzi: così prendendo ispirazione dalla Fiat 500 ho cominciato a progettare una minicar che spero di riuscire a vendere presto. Sarà molto particolare, in fibra di carbonio e vetroresina, con cerchi da 8 pollici anteriori e 10 posteriori, veramente aggressiva. Non si chiamerà Puma, perché ho venduto il marchio alla Ford, ma qualcosa di molto simile. Ho scelto una minicar perché l’omologazione è ancora fattibile…almeno spero”
 
Il punto di riferimento per la Puma in Italia è il Puma Club (www.pumaclub.it) , presieduto dal vulcanico ed appassionatissimo ing. Gian Pietro Pasquali, una vera eminenza in tema di Puma e di automobilismo in generale. 
 

 

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