Prema, incubatori di talenti: intervista al patron Rosin

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Molti dei migliori talenti dell’automobilismo degli ultimi trent’anni sono passati per il team Prema, che continua a mietere successi sulle piste di tutto il mondo. Il team manager René Rosin ci ha raccontato cosa c’è dietro queste vittorie, ma ci ha parlato anche di Formula E, LMP2 e… F1
7 aprile 2018

Da lontano sembra l’ennesimo capannone bianco in una delle tante zone artigianali germogliate in mezzo alla campagna veneta, ma avvicinandosi e guardando meglio è difficile sbagliare: l’enorme motorhome parcheggiato sul retro e il grande striscione sulla facciata d’ingresso che ricorda i trionfi dello scorso anno ci fanno subito capire che siamo nel posto giusto. Il luogo in questione è la sede della Prema Powerteam, la scuderia di Grisignano di Zocco - in provincia di Vicenza - che negli ultimi anni ha spadroneggiato in tutte le formule propedeutiche, affermandosi come la squadra di riferimento a livello mondiale per chi sogna un giorno di arrivare in F1.
Fondato nel 1983 da Angelo Rosin, oggi è il terzo team italiano per struttura e impegni agonistici, dopo Ferrari e Toro Rosso, con due monoposto che corrono nel campionato di F4 italiano, due F4 nell’analogo campionato tedesco, ben 5 macchine nel prestigioso Europeo di F3 e due monoposto in F2.

Nonostante tutto però lo spirito è rimasto quello di una realtà familiare, e non solo perché oltre al fondatore Angelo vi lavora anche sua moglie, con il figlio René che oggi ricopre il ruolo di team principal mentre sua moglie Angelina si occupa delle pubbliche relazioni. Uno spirito familiare che nemmeno l’ingresso di Lawrence Stroll con una quota societaria ha scalfito e che, come vedremo, ha un ruolo importante nella formazione dei giovani talenti che da tutto il mondo bussano alla porta di questo capannone in mezzo alla campagna vicentina. Ed è proprio con René Rosin che abbiamo cercato di scoprire il segreto del travolgente ruolino di marcia della Prema. Perché un segreto dovrà pur esserci, se in campionati monomarca caratterizzati ormai tutti dalla monofornitura di telaio, motore e gomme, a vincere negli ultimi anni sono stati un po’ ovunque quasi sempre gli alfieri della scuderia italiana…

L’osservazione strappa un sorriso a René Rosin, ma la sua risposta si fa subito seria e articolata: «Fino a qualche anno fa - ci racconta - in F3 si poteva fare ancora molto sviluppo sulla monoposto, mentre oggi il panorama tecnico è effettivamente molto più uniforme. Per questo motivo fondamentali sono da una parte il lavoro con il pilota, dall’altra la preparazione del week end di gara, perché non c’è più il tempo di sperimentare nuove soluzioni: bisogna arrivare al primo turno di prove libere già con le idee chiare e tutti devono dare il massimo, non c’è tempo da perdere».

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E cosa significa per un team essere ben preparati al momento di scendere in pista?

«La preparazione riguarda l’auto naturalmente, ma anche la capacità di prevedere cosa potrà accadere durante il week end di gara. E poi naturalmente vi è la preparazione del pilota, anche grazie al simulatore»

Il simulatore è dunque diventato uno strumento fondamentale anche nelle formule propedeutiche?

«Con una differenza importante: mentre in F1 viene utilizzato per simulare gli effetti di interventi sull’assetto o di modifiche alla vettura, nel nostro caso è ancora uno strumento usato per allenare il pilota e affinare il suo rapporto con l’ingegnere di pista. Tramite il simulatore, che noi usiamo ormai da quattro anni, i piloti perfezionano la loro conoscenza delle procedure, la capacità di concentrazione e di essere pronti a dare il massimo fin dal primo giro di qualifica. È vero però che stiamo sviluppando ulteriormente il nostro simulatore per consentirci di utilizzarlo anche in un’ottica di valutazione degli interventi di set-up».

Al di là degli aspetti più strettamente tecnici, come preparate i giovani piloti che vi vengono affidati?

«I piloti FDA sono già molto ben seguiti: abitano a Maranello e sono sottoposti ad un programma di preparazione costante che comprende palestra, lezioni d’inglese molto altro, ma per tutti gli altri siamo di fatto la loro famiglia durante la stagione. Cerchiamo di insegnare loro a diventare dei professionisti del volante, ma anche delle regole di sport e di vita, soprattutto quando abbiamo a che fare con dei ragazzini molto giovani. Generalmente abitano a pochi chilometri dalla nostra sede e spesso la loro giornata finisce con una cena in famiglia, con me e mia moglie o con i miei genitori. E credo che se le famiglie ce li affidano, considerando che iniziamo a lavorare già con i quindicenni, questo approccio sia riconosciuto e apprezzato».

Ha citato il rapporto con FDA, ma questa è solo l’ultima di una serie di collaborazioni con grandi costruttori e team di F1: Honda, Toyota, Lotus, Renault, Mercedes e più recentemente anche Red Bull vi hanno affidato i loro migliori talenti. Cosa significa per un team una collaborazione di questo tipo?

«È sicuramente un grande valore aggiunto, sia perché ci dà maggiori garanzie economiche, sia perché consente di lavorare con piloti di talento, che hanno già superato una severa selezione per entrare a far parte di questi programmi. Allo stesso tempo, rappresenta il riconoscimento dei nostri elevati standard di competitività e dei servizi che possiamo garantire».

Anche perché i piloti migliori sembrano avere a disposizione sempre meno tempo per prepararsi alla F1: l’età media del debutto si è molto abbassata negli ultimi anni. Ma rispetto al passato sono più preparati i giovani piloti o sono più facili da guidare queste monoposto?

«Credo che oggi la F1 sia ben più difficile rispetto a tre-quattro anni fa, soprattutto con il nuovo regolamento. La verità è che la F1 è sempre stata, in ogni epoca, l’apice della tecnologia e della velocità, ma oggi forse è ancora più difficile perché ai piloti è richiesto di elaborare e gestire un’incredibile quantità di informazioni».

La nostra intervista si svolge in una stanza piena di caschi con dedica e coppe, e alzando lo sguardo vediamo trofei un po’ ovunque nei corridoi e nelle altre stanze. La domanda viene spontanea: in tanti anni, qual è stata la vittoria più bella?

«Ogni vittoria è speciale, perché frutto di un grande impegno di tutta la squadra, ma certamente avere esordito in GP2 nel 2016 ed aver subito conquistato il titolo, così come avere scommesso in F3 nel 2015 su Rosenqvist, sul quale dopo cinque stagioni di F3 nessuno credeva più, e aver vinto con lui il titolo e Macau sono state due grandissime soddisfazioni».

E la vittoria più inaspettata?

«Ogni vittoria è frutto di tanto lavoro e ogni volta partiamo per vincere, però forse proprio la doppietta in GP2 nel 2016 è stata qualcosa di inatteso alla vigilia: eravamo sicuramente partiti per essere competitivi, ma nelle prime gare abbiamo commesso qualche errore e avuto anche un po’ di sfortuna. Dalla trasferta di Baku però le cose sono cambiate e siamo arrivati a conquistare il campionato, facendo 1° e 2° nella classifica piloti e conquistando anche il titolo riservato alle squadre».

Avete corso e vinto con tanti giovani piloti di talento, ma in F1 non c’è spazio per tutti: osservando come sono proseguite le loro carriere, chi avrebbe meritato una possibilità che non ha avuto?

«Premesso che ogni pilota ha una storia a sé, credo di poter dire che tutti i piloti che hanno vinto con noi avrebbero potuto correre in F1. Restando in epoca recente, sicuramente Rosenqvist avrebbe meritato una chance, ma ha avuto anche l’intelligenza di capire che non vi erano possibilità concrete e quindi ha saputo cogliere altre opportunità, prima in DTM e oggi in Formula E, dove è tra i grandi protagonisti del campionato pur correndo con un team competitivo sì, ma forse non a livello di altre squadre ufficiali presenti nella serie».

A proposito di altri campionati: correte e vincete in F4, F3 e F2. Se fossimo negli anni Ottanta avreste già fatto un vostro team di F1…

«È vero, ma oggi i costi hanno raggiunto livelli impossibili, con un budget di 100 milioni di euro a stagione per i team più piccoli. Potremmo pensare alla F1 solo se le regole future consentissero l’utilizzo di vetture clienti e se avessimo alle spalle un grande costruttore interessato a entrare in F1 attraverso la nostra struttura».

A questo punto, ci sono altre categorie alle quali potreste essere interessati o ritiene già completo il vostro impegno con la filiera F4, F3 e F2?

«Sicuramente dobbiamo guardare alla progressione di carriera dei giovani piloti, ma anche al mercato, perché siamo comunque un’azienda con 55 dipendenti e dobbiamo sempre cercare di crescere ad ampliare i nostri orizzonti. Anche perché la progressione da una categoria all’altra e la possibilità di accrescere le proprie competenze ed esperienze non è un tema che riguarda solo i nostri piloti, ma anche i nostri meccanici e ingegneri, che hanno appunto la possibilità di iniziare dalla F4 e poi via via crescere professionalmente passando alle categorie superiori: diversificare l’impegno può rappresentare un valore aggiunto anche per il nostro staff. Stiamo quindi valutando altri progetti, ma devono esserci le condizioni per essere protagonisti. Penso ad esempio alla possibilità di creare una partnership con un costruttore per un impegno in Formula E, o anche ad un programma in LMP2 anche se qui il regolamento come noto non consente di legarsi ad un grande costruttore».

Nel frattempo quello che sta per iniziare sarà l’ultimo campionato di F3 prima del nuovo ciclo tecnico e dell’unificazione con la GP3: come giudica questa fusione?

«Premesso che molti aspetti sono ancora da definire, a partire dal fornitore del telaio, il calendario e il promotore del campionato, sono assolutamente a favore di questa unificazione, perché anche se quest’anno il mercato sembra più roseo rispetto a dodici mesi fa, la verità è che gli attuali scenari economici non consentono più le sovrapposizioni del passato tra campionati internazionali. Bene ha fatto la Fia a sostenere questa unificazione, facendo chiarezza nel percorso verso la F1».

Inutile dire che alla Prema saranno pronti anche per questa sfida.

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