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Il vizietto di ribattezzare le tasse con sigle o nomi nuovi è antico. E spesso nasconde trappole micidiali. Nel 1982 il bollo di circolazione cambiò nome e diventò “tassa di proprietà”. Apparentemente erano la stessa cosa, ogni anno si pagava per circolare. Ma la sottile spiegazione, che il burocrate di turno aveva compilato, chiariva che il “pedaggio” era dovuto per la semplice iscrizione ai pubblici registri (scritti così, in minuscolo). Conseguenza micidiale: tutti i veicoli, anche quelli distrutti, esportati o venduti dovevano (e devono ancora) pagare la tassa per il solo fatto di comparire nel PRA (pubblico registro automobilistico). Come al solito, la tassa va versata anticipatamente, per tutto l’anno, da chi in quel momento risulti intestatario: così chi nel mese successivo deve rottamare o esportare la vettura, perde tutto.
In pochi anni gli avvisi di mancato pagamento divennero milioni. Bastava un giorno di ritardo per far crescere del 30% la tassa, che dopo un mese addirittura raddoppiava. Le conseguenze divennero quindi disastrose. Gli appelli nelle trasmissioni tv, come Mi Manda Lubrano, erano continui e accorati, le denunce settimanali. Ma niente. Anzi, le persecuzioni aumentavano ogni giorno, perché ai bolli che risultavano non ancora pagati si aggiungevano le multe che i Comuni inviavano al vecchio intestatario.
La A112 di Dalla Chiesa
Poi le invenzioni del legislatore, sollecitato dalle lobby. Ereditavi da un parente un catorcio da rottamare? Dovevi intestartelo prima di poterlo consegnare al demolitore. E, ovviamente, pagare il trapasso e tutti gli emolumenti al PRA. Vendevi una vettura? Andavi dal notaio, trasmettevi i dati alla Motorizzazione ma non ti accertavi che il nuovo proprietario comunicasse al PRA entro 60 giorni la nuova intestazione? Multe, bolli e tasse bussavano alla tua porta per molti anni, togliendoti il sonno, perché dimostrare la verità era tutt’altro che semplice. Non solo, ma la norma era chiara e crudele: doveva pagare tutto chi figurava proprietario nei registri del PRA.
Il Ministro delle Finanze, Visco, se ne accorse alla fine degli anni Ottanta, quando scovò che nei registri del PRA figuravano ben 5 milioni di veicoli inesistenti o non più circolanti. Fra i quali anche la A112 nella quale era stato assassinato molti anni prima il generale Dalla Chiesa. E ne ordinò la cancellazione coatta. Tentò anche, ma invano, di cancellare il PRA. Ogni volta che la proposta giungeva in Parlamento, spuntavano a destra e a sinistra drappelli di onorevoli che ne chiedevano la sopravvivenza.
“Andavi dal notaio, trasmettevi i dati alla Motorizzazione ma non ti accertavi che il nuovo proprietario comunicasse al PRA entro 60 giorni la nuova intestazione? Multe, bolli e tasse bussavano alla tua porta per molti anni, togliendoti il sonno, perché dimostrare la verità era tutt’altro che semplice”
Finché, nel ’92, il nuovo codice della strada, regalò al “pubblico registro” un importante riconoscimento: il Foglio complementare era sostituito da un documento analogo, ma cambiava denominazione, si chiamava Certificato di proprietà. Che era esattamente lo stesso, nel senso che entrambi servivano ad annotare il nome del proprietario, ma il certificato veniva rifatto ad ogni passaggio. Il che significava bolli e costi supplementari. E inutili.
Poco importa se la Motorizzazione continuava a registrare gli stessi dati sulla Carta di circolazione (con la piccola differenza che fino ad allora i passaggi di proprietà erano trascritti a mano, mentre dopo il ’92 erano riportati su uno stick adesivo fornito dalla Motorizzazione): secondo il burocrate che aveva scritto la norma, il Certificato di proprietà era l’unico documento che attestava l’identità del titolare e per questo andava pagato e munito di bollo su tutte le facciate.
Non solo, ma se vi veniva lo sghiribizzo di rottamare un’auto immatricolata prima del ’92, cioè dotata ancora di Foglio complementare, dovevate richiedere (e pagare al PRA) il nuovo Certificato di proprietà. Che vi serviva solo per compiere – sempre al PRA – nello stesso giorno, la pratica di cancellazione dal pubblico registro. Capolavoro di perversione burocratica.
Mussolini, Valletta e il Pubblico Registro
Nel ’95, il vostro editorialista lavorava a Quattroruote, caporedattore per la tecnica, la difesa del consumatore e dell’ambiente. Preparò un’inchiesta sulla storia del PRA, le sue vicende, le angherie che ne derivavano agli automobilisti e i fallimenti delle proposte di legge per cancellarlo. Raccontava che il “pubblico registro” era nato nel 1927 su richiesta del prof. Valletta, allora amministratore della Fiat, per consentire la vendita a rate della futura Balilla, vettura popolare, il cui prezzo – 10.800 lire, circa venti stipendi di un operaio – ne faceva prevedere una discreta diffusione (in realtà ne furono prodotti 100.000 esemplari). Ma per far valere “il patto di riservato dominio” si pensò di iscrivere ipoteche sulle vendite a rate. Il pubblico registro doveva servire ad annotare l’ipoteca. Il PRA nacque quindi nel 1927, con un regio decreto e Mussolini ne regalò all’ACI la gestione, con conseguenti vantaggi economici. Oggi l’ipoteca è uno strumento dimenticato e archiviato, anche perché il prezzo delle auto – e soprattutto di quelle usate – è sceso drasticamente. Nessuno accende più un’ipoteca, le auto si comprano in leasing e l’intestazione rimane dall’inizio quella della società che finanzia la vendita. “Il PRA non ha più ragione di esistere - concludevamo nell’inchiesta - ma per cancellarlo “ci vorrebbe un referendum popolare”.
“Il Ministro delle Finanze, Visco, si accorse alla fine degli anni Ottanta che nei registri del PRA figuravano ben 5 milioni di veicoli inesistenti o non più circolanti. Fra i quali anche la A112 nella quale era stato assassinato molti anni prima il generale Dalla Chiesa”
I 20 referendum di Pannella
Qualche giorno dopo l’uscita della rivista (settembre 1995), il centralino della casa editrice ricevette una telefonata da Marco Pannella che stava preparando 19 referendum e voleva includere anche la cancellazione del PRA come ventesimo quesito. Il direttore di allora, Raffaele Mastrostefano, mi incaricò di portare avanti la faccenda: il mattino dopo ero a Roma, in Cassazione assieme a Pannella e a Benedetto Della Vedova per presentare il testo sul quale votare. Venne accolto e si partì.
L'editoriale Domus mise a disposizione oltre 100 milioni di lire per organizzare la raccolta delle firme; autoscuole, agenzie di pratiche automobilistiche, associazioni di difesa del consumatore, deputati, senatori, giornalisti vennero coinvolti dal sottoscritto nell’iniziativa. Fu creato ad hoc un comitato presieduto da Gianni Locatelli, allora direttore de Il Sole 24 Ore. In tre mesi, a dicembre 1995, quello che era l’ultimo dei referendum in ordine di tempo, divenne il più votato: superò abbondantemente la soglia dei 500 mila voti e divenne ufficiale. Sulla rivista, ogni mese avevo raccontato in prima persona come procedevano la raccolta, le adesioni e i commenti dei lettori. Ma su Quattroruote di gennaio ’96, a sorpresa, non si pubblica più nulla, si abbandona il referendum, anzi si scrive contro. Chiedo spiegazioni: non ne ottengo. Morale, mi ritrovo nudo, fra lettori che attendono fiduciosi e colleghi che si stupiscono del silenzio. Per coerenza devo dare le dimissioni. E abbandonare, nel febbraio 1996, la rivista della quale ero stato “il meccanico dilettante” dal 1971.
Via il PRA con la spending review?
Oggi, tornano d’attualità le voci di cancellazione del PRA, di riunificazione con la Motorizzazione. C’è l’emendamento del parlamentare Rosato nella legge di stabilità, che impone al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ad adottare “misure volte all’unificazione, in un unico archivio telematico nazionale, dei dati concernenti la proprietà e le caratteristiche tecniche dei veicoli attualmente inseriti nel pubblico registro automobilistico e nell’archivio nazionale dei veicoli”. Ma si scontra con la difficoltà di cancellare il regio decreto del 1927 che ha istituito il PRA. Cosa che può essere fatta solo con un’altra legge.
“Abbiamo bisogno di strutture che si occupino di sicurezza stradale, di unificare le infrastrutture, di controllare la qualità dei lavori, degli investimenti sulle autostrade, di personale addetto ai controlli, di esperti per condurre indagini sugli incidenti, sui punti pericolosi delle strade”
Poi, nell’ambito della revisione della spesa pubblica, c’è la riforma dei compiti e delle attribuzioni Motorizzazione Civile-ACI annunciata da Carlo Cottarelli, responsabile della “spending review”. Ci sono, infine, varie proposte, un po’ da tutti gli schieramenti, per arrivare a risparmiare dei soldi, a migliorare i servizi ai cittadini e ad abbassare i costi dei passaggi di proprietà, che - con la cresta delle province sull’IPT – hanno battuto tutti i primati in Europa e nel terzo mondo. Ma, a parare l’ipotesi di cancellare o soltanto di sminuire l’importanza del PRA, ecco la proposta dell’ACI: far confluire nel PRA anche i dati dei veicoli assicurati (ricavati dalle compagnie di assicurazione), in modo da garantirne la sopravvivenza. E allora?
Non riteniamo la Motorizzazione perfetta, incorruttibile, insensibile a lobby nostrane. Con cadenza periodica si scoprono episodi di corruttela per patenti facili, con la connivenza di autoscuole e agenzie. In più, nel Ministero dei Trasporti sembra esserci una dittatura della burocrazia. Un esempio: nel 1999 una microbiologa milanese si trasferisce in Francia con la sua Micra, deve apporre targhe francesi sulla vettura, va a comperarle in un negozio, spende 5-6 euro, completa il tutto con una (vera) revisione eseguita da personale francese (60 euro) e il passaggio è terminato. Nel 2004 torna definitivamente in Italia, con la stessa vettura.
Della quale ha conservato copia del libretto originale e di tutti gli altri documenti. Non ci crederete, ma per immatricolarla nuovamente, la Motorizzazione non ha consultato la Carta da essa stessa compilata anni prima, nella quale ovviamente appariva il numero di telaio, ma ha preteso la traduzione in italiano del nuovo libretto francese. Non solo, ma la traduzione doveva essere “asseverata” e fatta da un interprete ufficiale. Stendiamo un velo pietoso sul costo dell’intera procedura, delle nuove targhe e dell’imposta di trascrizione (pagata una seconda volta dalla stessa persona, per la stessa vettura), il tutto per un importo di gran lunga superiore al valore della vettura.
Soluzione? Nessuno nega un futuro e un lavoro ai circa 1400 dipendenti del PRA. E nemmeno pensiamo che debbano essere messi a riposo: abbiamo bisogno di strutture che si occupino di sicurezza stradale, di unificare le infrastrutture, di controllare la qualità dei lavori, degli investimenti sulle autostrade, di personale addetto ai controlli, di esperti per condurre indagini sugli incidenti, sui punti pericolosi delle strade. In poche parole, quello che negli States viene fatto dagli uomini della NHTSA (national highway trafic safety agency). Se a Roma, o a Firenze, qualcuno ha compreso il problema, si faccia avanti. Altrimenti, accadrà quel che temiamo e che dicevano i bravi a don Abbondio: “Questo matrimonio non s’ha da fare, né oggi né mai”.