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Continuano i nostri approfondimenti sulle cause dell’inquinamento ambientale, in merito al quale negli ultimi tempi sono state diffuse informazioni allarmistiche e in alcuni casi addirittura scorrette. Protagonista dell’intervista di oggi è Giorgio Gilli, professore di Igiene all’Università di Torino.
Professor Gilli, quando la normativa europea è diventata più stringente sulla quantità di polveri per m3 di aria?
Prof. Giorgio Gilli: «Prima del 1999 i limiti di polveri in aria ambiente erano riferiti alle polveri totali sospese (PTS), che comprendono particelle con dimensioni fino a 100 µm. Con la direttiva 1999/30/CE sono stati introdotti limiti per la porzione più sottile delle polveri, il PM10, che ha un diametro fino a 10 µm (un centesimo di un mm). La direttiva è stata recepita in Italia con il D.M. 2-4-2002 n. 60 ed i valori limite di PM10 previsti sono gli stessi in vigore oggi (D.Lgs. 155/2010), cioè una media annuale di 40 μg/m3 mentre il valore limite della media oraria giornaliera è di 50 µg/m3: quest’ultimo non deve essere superato più di 35 volte per anno civile. Con la Direttiva 2008/50/CE del 2008 sono stati introdotti valori limite per il PM2,5, frazione più fine rispetto al PM10».
Quando è diventata più stringente per quanto riguarda le concentrazioni e il numero dei giorni di sforamento?
«Prima del 1999 le concentrazioni di polveri sottili avevano limiti molto elevati, anche di 300 microgrammi al m3 e non si contavano i giorni di sforamento. Dal momento in cui, con la Direttiva n. 1999/30/CE sono stati introdotti i limiti giornalieri di 50 microgrammi, è stato anche imposto un limite al numero di giorni di sforamento rispetto ai limiti medi orari giornalieri, 35 per il PM10 e 18 per gli ossidi di azoto».
Quali erano mediamente in Italia le concentrazioni delle polveri prima di allora?
«L’analisi storica dell’andamento del PM10 si può ricostruire dai primi anni 2000, anni in cui tale inquinante è stato misurato in maniera sistematica. L’analisi del trend nazionale condotta da ISPRA su un set di 57 stazioni dal 2003 al 2012, evidenzia per il PM10 un trend decrescente statisticamente significativo nel 74% dei casi (riduzione annuale media stimata di 1,3 μg/m3). Per quanto riguarda invece le polveri totali sospese sono disponibili dati per un periodo di tempo maggiore, ed anche per questo inquinante il trend negli anni è di riduzione».
«Ad esempio, nella Città di Torino, sulla base dei dati dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente emerge che i livelli di polveri totali sospese (PTS) negli anni ’80 si attestavano intorno ai 180 μg/m3, dal 1999 al 2006 si sono stabilizzati intorno ai 100 mentre dopo una serie di valori intorno ai 60 registrati dal 2012 al 2015 si è toccato il minimo storico nel 2016, in cui la media annuale è stata di 43μg/m3, confermando un trend di miglioramento sul lungo periodo. Tra i fattori che hanno contribuito alla riduzione delle polveri negli anni sono da considerare ad esempio la progressiva sostituzione con il metano di combustibili altamente inquinanti quali l’olio combustibile e il carbone, la diminuzione del biossido di zolfo, precursore del particolato e miglioramenti tecnologici nelle emissioni degli autoveicoli».
Come si è evoluta la normativa europea sulle concentrazioni ambientali degli NOx?
«I valori limite per gli ossidi di azoto sono stati introdotti con la Dir. 7-3-1985 n. 85/203/CEE: il valore limite medio annuale era di 200 µg/m3. Con la successiva Dir. 22-4-1999 n. 1999/30/CE il valore limite annuale è sceso a 40 µg/m3 mentre è stato introdotto il limite medio orario di 200 µg/m3, da non superare più di 18 volte nell’anno civile: questi ultimi valori limite sono tuttora validi e sono stati ripresi nella Dir. 21-5-2008 n. 2008/50/CE vigente».
Che differenza c'è fra concentrazioni limite per soglia di allerta, soglia di attenzione e per soglia di allarme?
«La normativa distingue diversi livelli di concentrazione di contaminanti nell’aria, stabiliti per la prevenzione o per la riduzione degli effetti nocivi per la salute umana. OItre ai valori limite sono previsti dei valori obiettivo, valori da conseguirsi entro date prestabilite. Quando un inquinante raggiunge la “soglia di allarme” (presente per gli inquinanti SO2, NO2 e O3) significa che il rischio per la salute può essere conseguente ad esposizioni di breve durata e sono quindi necessari provvedimenti immediati. È invece necessario produrre informazioni adeguate e tempestive in caso di superamento della “soglia di informazione” (presente solo per l’O3), in tal caso potrebbe esserci un rischio per la salute umana per gruppi sensibili di popolazione da tutelare. La soglia di attenzione, presente nella normativa precedente, è stata sostituita con la soglia di informazione. La soglia di allerta è invece un altro modo con cui a volte viene chiamata la soglia di allarme».
Quale percentuale del contenuto delle polveri (PM10) è da considerare cancerogena?
«Non si può individuare una percentuale definita del contenuto con effetti cancerogeni presente nelle polveri, la loro composizione infatti è variabile e dipende da diversi fattori. Le polveri possono essere di origine naturale, ad esempio provenienti da eruzioni vulcaniche, movimenti di sabbia, rocce, pollini, oppure di origine antropica, da trasporti, impianti di produzione di energia, attività industriali, ecc.. Inoltre bisogna distinguere polveri primarie, che si formano direttamente da una specifica sorgente di emissione come il motore di un’automobile o un termovalorizzatore di rifiuti, dalle polveri secondarie, che si formano a seguito di reazioni fisico-chimiche in atmosfera tra gas precursori, ad esempio gli ossidi di azoto. Le polveri prodotte da una sorgente di emissione, ad esempio dalla combustione di rifiuti, saranno qualitativamente diverse da quelle prodotte da altre, ad esempio un motore a benzina. La pericolosità per la salute umana aumenta comunque in relazione con la riduzione del diametro delle particelle di polvere: le particelle più fini, PM2,5, che penetrano più in profondità nell’albero respiratorio, sono anche quelle più nocive in termini di effetti cancerogeni».
Il PM2.5 è sempre esistito o viene misurato soltanto oggi perchè prima non c'erano gli strumenti per farlo?
«L’avanzare delle conoscenze scientifiche in termini di effetti sulla salute e di metodi analitici permette di conoscere sempre più nel dettaglio i legami tra esposizione all’inquinamento e insorgenza di malattie. Rispetto all’inquinamento atmosferico, l’attenzione negli anni va rivolgendosi verso particelle sempre più piccole. Il PM2,5 si forma per via diretta nei processi di combustione (es. motori di auto e motoveicoli, impianti per la produzione di energia e in molti altri processi industriali) oppure per via indiretta a seguito di reazioni chimiche che avvengono in atmosfera fra altre specie di inquinanti. La sua presenza è pertanto legata a questi tipi di attività e processi».
Cosa significa il termine "morti premature" nelle statistiche, come viene calcolato e che attendibilità ha?
«Le morti premature sono quelle che si verificano prima dell’età media di morte in una popolazione e l’inquinamento atmosferico può esserne una delle cause; ad esempio in Europa nel 2013 le morti premature attribuite all’inquinamento atmosferico sono state circa 400.000. Vengono calcolati attraverso valutazione del rischio, mettendo in relazione i livelli di esposizione della popolazione agli inquinanti e le conoscenze sugli effetti determinati dagli stessi sulla salute. Sono valutazioni attendibili ma bisogna tenere conto del fatto che sono stime soggette ad ampi margini di incertezza, quindi i numeri non devono essere presi alla lettera».
Gli ossidi di azoto sono cancerogeni o soltanto irritanti?
«L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, IARC, ha recentemente stabilito che l’inquinamento atmosferico nel suo complesso è cancerogeno per l’uomo. Sono numerosi i composti che hanno proprietà cancerogene nell’inquinamento, tra questi ad esempio alcuni composti contenenti ossigeno, nitroderivati, solfoderivati, alogenati, organometallici e idrocarburi. Gli ossidi di azoto sono irritanti delle vie aeree e non sono considerati di per sé agenti cancerogeni. Il biossido di azoto è un valido tracciante dell’inquinamento atmosferico generato da traffico: essendo fortemente correlato con altri inquinanti come il particolato, negli studi epidemiologici è difficile discriminarne gli effetti rispetto ad altri inquinanti».
È stata mai accertata l'utilità dei blocchi del traffico ai fini della riduzione strutturale del particolato e degli ossidi di azoto?
«Sì, ci sono alcuni studi condotti a livello nazionale e internazionale. La riduzione dei livelli del traffico sembra influire non tanto sulla concentrazione degli inquinanti ma sulla loro tossicità. Alcuni indicatori di tossicità del particolato infatti sembrano ridursi in concomitanza con interventi di riduzione del traffico, a discapito delle concentrazioni di PM10 e PM2,5 che non sembrano subire importanti riduzioni: quanto detto è stato dimostrato ad esempio in indagini condotte nella città di Milano. I blocchi del traffico sono anche interventi utili alla sensibilizzazione collettiva rispetto alle tematiche dell’inquinamento ambientale».