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Colpa della situazione economica in cui è finita Berlino, tramortita dal destro-sinistro rimediato in pieno volto, coincidente rispettivamente con lo scoppio della guerra in Ucraina e l'ascesa dell'automotive cinese. Senza la Russia, esclusa dal commercio europeo in seguito alla sua offensiva contro Kiev, l'industria tedesca non ha più potuto fare affidamento sul gas a basso costo prima importato dal Cremlino a cifre più che convenienti. Per quanto riguarda la Cina, le quattro ruote del Dragone si sono svegliate e adesso dominano il mercato cinese e puntano a rosicchiare spazio d'azione oltre la Muraglia; di conseguenza, i campioni teutonici non possono più fare affidamento sulla vendita di auto premium alla clientela cinese, o almeno non più come accadeva in passato.
Il settore è in piena crisi
L'industria dell'auto in Germania, è altamente strategica. Intanto perché dà lavoro a più di 770 mila persone e vale circa il 5% del pil nazionale. E poi, altro aspetto da non sottovalutare, perché le vendite di veicoli e dei componenti vari realizzati all'ombra di Berlino raggiungono ampiamente il 17% delle esportazioni complessive tedesche. Peccato per il governo guidato da Olaf Scholz che i due pilastri che alimentevano l'automotive made in Germany coincidano, come detto, con gas russo (impossibile da importare) e mercato cinese (non tanto off limits, quanto appannaggio di agguerrite case automobilistiche locali). Insomma, la Germania si è riscoperta meno colosso di quanto non immaginava di essere. Già, perché senza le due stampelle citate, l'ex locomotiva d'Europa non è più in grado di esportare – soprattutto in Cina - ben due terzi delle auto prodotte dalle fabbriche delle sue aziende, ignorando la sostanziale debolezza dei mercati domestici ed europei.
La variabile cinese
Pechino è infatti salita sul treno dell'elettrico, mentre Volkswagen, Mercedes e Bmw (e insieme a loro altri brand occidentali) hanno perso tempo e spazio di manovra. Negli ultimi mesi i gioielli di Berlino hanno cercato in tutti i modi di recuperare il terreno perduto sul fronte dell'elettrico, ma la Cina non fa sconti. Nel senso che i software made in China sono all'avanguardia – troppo per imbastire una competizione – e soprattutto possono contare su una filiera casalinga delle batterie che si traduce in costi bassi. La conseguenza è che il mercato interno, ora, è dominato da Byd e soci, con buona pace delle case tedesche che qui generano un terzo del loro fatturato. E che qui preferiscono continuare ad investire.
Indietro sull'elettrico
I numeri sono eloquenti. Nel 2023, gli stabilimenti della Germania hanno sfornato appena 4,1 milioni di veicoli al netto di una capacità produttiva di 6,2 milioni. E nei primi sei mesi del 2024 la produzione ha subito un ulteriore rallentamento traducibile in un -6% rispetto a quanto rilevato nello stesso lasso di tempo nel 2023 e addirittura in un -19% sul 2019. La Germania ha perso il treno per l'elettrico, che è quello che chiede l'Unione Europea, nonché la direzione presa dalla maggior parte dei governi mondiali (compreso quello cinese). Secondo l'Autorità federale tedesca per i trasporti a motore (KBA), la quota di mercato delle auto elettriche nel Paese è cresciuta, ma è ancora relativamente piccola. Basti pensare che dieci anni fa questi veicoli rappresentavano lo 0,02% del numero totale di auto in circolazione, e che oggi quella cifra è arrivata al 2,08%. Difficile, se non impossibile, competere con la Cina sbandierando numeri del genere.