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Peggio delle montagne russe: tra aumenti repentini, annunci di revoca delle accise (mai applicate, però...), accuse di speculazione alle aziende petrolifere e minacce di serrate da parte dei consumatori, intorno al prezzo dei carburanti si consuma da tempo ormai immemore una vicenda che a seconda di come la si guardi assume i contorni della tragedia, della farsa o della commedia... all'italiana, ovviamente.
Solo per rifarci a quanto accaduto in tempi non remoti, il governo Draghi in carica al tempo della crisi economica derivante dal conflitto in Ucraina, e per fronteggiare quotazioni che avevano raggiunto il valore record dal 1996, aveva introdotto con il decreto legge energia uno sconto sulle accise gravanti sui carburanti, riducendo il prezzo di benzina e gasolio da autotrazione di 25 centesimi al litro, oltre all’IVA per altri 5,5 centesimi, per un risparmio complessivo quindi di ben 30,5 centesimi al litro.
Una misura che valeva, per le casse statali, un mancato incasso di almeno un miliardo di euro al mese: importo alla lunga difficilmente sostenibile per una nazione che ha una zavorra finanziaria imponente, causata da un debito pubblico abnorme ed in costante aumento.
Il taglio era stato prorogato con scadenza mensile fino al 23 novembre dello scorso anno, quando l’esecutivo Meloni con un altro decreto ridusse lo sconto portandolo a 15 centesimi al litro più l’IVA, per un totale di 18,3 centesimi; una misura rimasta in vigore fino al 31 dicembre, per poi essere del tutto azzerata a partire dal 1° gennaio 2023, quando l'oscillazione del valore mondiale del greggio registrava un deciso calo delle quotazioni e quindi un (parziale) raffreddamento dei prezzi praticati alla pompa.
Una dinamica virtuosa purtroppo solo temporanea, perché all'inizio della scorsa estate si è registrata una nuova impennata dei prezzi, arrivati a sforare a spasso di carica la barriera psicologica dei due euro a litro sia per la benzina che per il gasolio da autotrazione.
Al momento in cui scriviamo, l'oscillazione del pendolo è tornata nella zona di campo più gradita agli automobilisti, che vedono le quotazioni scese ormai stabilmente sotto quota 1,8 euro al litro, pur con alcune disomogeneità a livello territoriale (anzi addirittura nella stessa città, dove basta cambiare quartiere per trovare pompe di benzina più convenienti), differenze che portano molti a chiedersi: «Ma cosa determina la differenza di prezzo?»
E se la legge tra domanda ed offerta avesse invece ceduto spazio alla speculazione?
La determinazione del prezzo dei carburanti è un processo complesso, che prevede molte componenti in addizione e purtroppo ben poche sottrazioni: incidono il costo della materia prima e del processo di raffinazione, il trasporto alla rete di vendita, ovviamente le accise; tutti elementi (poco) controbilanciati dalla scontistica del distributore per essere competivo sul mercato o da dinamiche commerciali per attirare la clientela cui offrire poi altri servizi.
Ne deriva che l’Italia è uno dei Paesi europei con il più alto prezzo dei carburanti, soprattutto per il gasolio: a determinare le differenze di prezzo nei vari Paesi europei, più che il diverso costo di importazione/produzione della materia prima, è l’incidenza della tassazione.
Le accise (in Italia sono ben 17) e l’IVA sono da considerare, infatti, le prime responsabili del più elevato costo di benzina e diesel in Italia rispetto alla media europea: naturalmente, tutti i Paesi operano un prelievo fiscale sul carburante, ma non in egual misura.
Nella “fotografia“ effettuata dal Mase (Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica), il prezzo della benzina è determinato per il 58% dalla componente fiscale (accise nazionali, tasse regionali ed IVA) e per il restante 42% dal prezzo industriale, voce che comprende tutti i costi associati alla materia prima (che incide per il 30%), i costi di struttura (logistici, commerciali e amministrativi) ed il margine lordo del gestore; ed è solo su questo segmento, che vale il 12% del prezzo della benzina e solo l'8% del gasolio, che serve a coprire i costi di distribuzione primaria e secondaria, e di altri oneri come tasse e canoni, che l'operatore finale può intervenire per modificare il prezzo, scegliendo di ridurre di qualche centesimo al litro la sua quota di guadagno.
Su tutto il resto della materia prima, ovvero il 30% del costo complessivo per benzina e il 41% per il gasolio, agiscono le quotazioni internazionali e l’effetto cambio euro/dollaro.
In Italia, i distributori di benzina sono in generale di due tipologie, con “marchio“ o senza, le cosiddette “pompe bianche”.
Le prime sono gestite dai grandi gruppi industriali che operano lungo tutta la filiera (estrazione, trasporto, raffinazione e distribuzione), quelle senza logo non sono legate a compagnie petrolifere multinazionali, definendosi come distributori di carburante indipendenti.
Il risparmio che queste ultime assicurano deriva dalla mancanza degli oneri legati ai costi di pubblicità e marketing, ma anche a una filiera più corta: comprano direttamente dalle raffinerie locali abbattendo le spese di trasporto ed i risparmi su questi costi riducono non di poco il prezzo finale del carburante, generando quotazioni diverse tra i distributori.
Spesso si discute molto anche dei prezzi maggioranti praticate dagli in autostrada: in questo caso, occorre ricordare che i prezzi sono più alti per motivi precisi, in particolare a causa del canone concessorio da corrispondere al gestore dell’autostrada e ai maggiori costi del personale per una presenza praticamente continua dello staff, visto che gli impianti sono aperti 24 ore al giorno e per questo la loro gestione risulta più onerosa, determinando un prezzo industriale più alto.
Da queste lunghe premesse, ed avviandoci verso la fine del nostro ragionamento, si intuisce come nella determinazione del prezzo dei carburanti praticato alla pompa intervengano vari e diversificati elementi e come la sua definizione finale non dipenda dal capriccio dell'esercente, quanto da componenti sulle quali è difficile intervenire.
Le differenze di prezzo tra diversi gestori sono determinate, quindi, soprattutto dalla natura stessa dell'impianto, dalla dislocazione territoriale (un impianto a via Montenapoleone, laddove ci fosse, avrebbe fatalmente benzina e diesel ben più cari di uno in periferia), dalla concentrazione degli stessi in un'area ridotta (più impianti uno dopo l'altro si fanno la guerra a colpi di centesimi al litro pur di attirare gli automobilisti in transito), dal proporre carburanti “firmati“ (ovvero con marchi famosi) rispetto a pompe “no logo“.
Pochi centesimi al litro, mentre la fetta più grande della torta se la pappano accise ed IVA...