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Anno 1989: Berlino abbatte il muro, a Pechino gli studenti protestano a Piazza Tienanmen, a Venezia i Pink Floyd suonano uno dei loro concetti più memorabili, a Ginevra prende forma un progetto arditissimo. Tanto ardito che ancora oggi fa parlare di sé.
E' il debutto al Salone elvetico della Opel Omega Lotus, l'icona della “superberline”, l'unica berlina di serie che a quel tempo poteva dare filo da torcere anche ad una Ferrari. Era l'epoca del co-marketing dei cavalli. Fiat decise di abbinare la prestigiosa reputazione del Cavallino Rampante a Lancia nel 1986 con la indimenticabile Lancia Thema 8.32, mentre nel 1988 Ford si era rivolta a Cosworth per una delle pari categoria ancora oggi più ammirate, la Ford Sierra RS Cosworth.
La Opel Omega Lotus arrivò per ultima in questa corsa a tre, ma sbaragliò le degnissime concorrenti stravolgendo il progetto Opel Omega, una tranquilla berlina in quegli anni di grande successo che nella variante Evo 500 aveva già la sua versione più sportiva, da 230 CV. Ma in General Motors, che allora deteneva sia il marchio Opel che quello Lotus, decisero di farli lavorare insiem per un'impresa ancora oggi ricordata: quella di creare la berlina stradale più veloce del mondo.
L'impresa riuscì e fu un vanto per la Casa di Russelsheim per 15 anni. Con 283 km/h di velocità di punta la Omega Lotus non solo era la più veloce di tutte le berline allora sul mercato, ma su una Autobahn poteva permettersi anche di sorpassare una Porsche 911 Turbo, che al massimo poteva spingersi a 260 km/h, e stare dietro senza troppi problemi ad una Ferrari Testarossa, che dichiarava 290 km/h, tanto per fare qualche esempio.
La “super Omega” dovette cedere lo scettro solo nel 2005 alla Bentley Continental Flying Spur di allora, che toccava quota 313 km/h. Riassumendo: Opel contro Ferrari, Porsche e Bentley. Oggi potrebbe sembrare fantascienza, ma all'epoca andò così. Da brivido anche il dato sull'accelerazione 0-100 km/h: per raggiungere i 100 km/h con partenza da fermo si impiegavano meno di 5,4 secondi nonostante i circa 1.700 kg in ordine di marcia.
Per trasformare una ordinaria Omega nella scatenata Omega Lotus ci fu molto da fare. Per prima cosa si pensò ad un V8 di origine Corvette, ma lo spazio nel cofano era poco. Si optò quindi per una profonda rivisitazione del 6 cilindri in linea da 3 litri della Omega Evo 500, la cui cilindrata fu aumentata a 3.6 litri allungando la corsa sostituendo albero motore, bielle, pistoni con componenti specifici e più performanti e adottando una testata a 24 valvole in alluminio realizzata ad hoc. Ma soprattutto vennero adottate due turbine Garrett raffreddate da un doppio intercooler. Il sistema di accensione disponeva invece di tre bobine, ciascuna delle quali operava su due candele.
Così le prestazioni divennero all'epoca incredibile per il tipo di vettura: la potenza era di 377 CV a 5.500 giri, mentre la coppia, scaricata sulle ruote posteriori, raggiungeva il valore di ben 570 Nm a 4.200 giri.
Per far fronte a questo corposo salto prestazionale si dovette intervenire sulla trasmissione, adottando dalla Corvette il cambio ZF a 6 rapporti, e sostituire la frizione originale con una da 9.5" completamente nuova. La molla a diaframma della frizione non lavorava in compressione come di norma, ma in trazione in modo da aumentare la pressione di contatto sullo spingidisco con un conseguente sforzo del pedale ridotto al minimo. Al retrotreno arrivò un differenziale autobloccante, quello già impiegato sulla V8 australiana Holden Commodore.
Poi si pensò al telaio: il passo fu allungato di 18 mm rispetto a quello della Omega 3.000, mentre i cerchi da 17" montavano pneumatici anteriori da 235/45 e posteriori da 265/40. I freni a disco, forniti da AP Racing, erano ventilati e di diametro maggiorato a 320 mm. Le sospensioni vennero rinforzate, soprattutto quelle posteriori a bracci semioscillanti, alle quali furono aggiunti due puntoni per migliorare la risposta alle grandi sollecitazioni laterali e gli ammortizzatori autolivellanti della ammiraglia Senator.
Con un bagaglio tecnico simile doveva essere adeguata anche l'aerodinamica, che fu sviluppata con un frontale più basso con ampie aperture per il raffreddamento dei due intercooler, bandelle laterali, paraurti posteriore rivisto ed un'ala sul cofano posteriore. Il coefficiente di penetrazione aerodinamica scese all'ottimo valore di 0,30. Il colore era una solo: un verde metalizzato molto scuro denominato “Imperial Green”. La Omega Lotus si faceva notare anche per i passaruota allargati ed il cofano motore con sfoghi per l'aria.
Gli interni sfoggiavano sedili in pelle anteriori sportivi riscaldabili a regolazione elettrica e posizione memorizzabile e anche quelli posteriori, anch'essi dotati di poggiatesta, erano sagomati per garantire maggiore comfort ai passeggeri. Qualche inserto in radica qua e i rivestimenti delle portiere in Alcantara là alza il tono di un abitacolo piuttosto ordinario nelle Omega standard. La dotazione di serie prevedeva alzacristalli e tetto apribile comandati elettricamente, impianto autoradio/mangianastri stereo, aria condizionata e computer di bordo.
Da brivido anche il prezzo. 115 milioni di lire contro i 51 milioni della Omega 3.0. La Opel Omega Lotus fu lanciata nel 1990 e realizzata in 950 esemplari, di cui 400 con guida a destra e 550 con guida a sinistra, di cui in Italia ne arrivarono 70.