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No, non è un profumo francese. “Ambiance”, atmosfera, è uno dei termini più utilizzati del glossario dei Rally-Raid, naturalmente nella madrelingua degli inventori della specialità. Dunque, dovete sapere che, quando sono nati i Rally-Raid, un nugolo d’individui fu lanciato, diciamo deliberatamente allo sbaraglio, in un’avventura che aveva per movente primitivo l’attraversamento del Sahara.
All'epoca dei pionieri del Rally-Raid
Che fossero in corsa o fermi, con la moto rotta in mezzo al deserto o a fine tappa, di fatto i partecipanti dei primi Rally, Dakar ispirata ed esaltatrice di quel sapore, venivano a trovarsi in mezzo al nulla, tutt’intorno tempeste di sabbia, un caldo atroce e distanze allora incalcolabili dalla civiltà, e dentro un inquietante senso di solitudine e di fragilità. Un inferno, sulla pelle e dentro il cuore.
C’era il bivacco, atavico punto raccolta e riposo riproposto come luogo di salvezza, di rilascio delle tensioni, di tregua. Nel tempo il bivacco assunse la fisionomia di un vero e proprio, piccolo villaggio popolato da un genere umano in costante combattimento contro le forze della natura, di guerrieri bisognosi di una stasi. Pian piano si svilupparono i “dakariani”, evoluzione di una specie d’uomo (e talvolta donna) in grado non solo di resistere alla pressione insopportabile di quell’avventura, ma addirittura di trarne la linfa vitale necessaria alla realizzazione di vere e proprie imprese.
Col tempo gli abitanti di quel pianeta si specializzarono nel gioco del Rally, e sull’onda del successo dell’avventura crebbero di numero richiamando sempre nuovi adepti. Se prima erano pochi, strettamente uniti per farsi coraggio e riscaldarsi il cuore attorno al fuoco crepitante di un’acacia, man mano che gli anni passavano il numero degli “abitanti” cresceva in forma esponenziale. Il bivacco assolveva egregiamente alla sua funzione purificatrice, ma allo stesso tempo richiamava l’attenzione sulla necessità di una maggiore organizzazione di quella speciale società.
Infrastrutture in crescita
Anche la sua urbanistica evolveva, e dal primitivo schema di tende sparpagliate attorno al camion ristoro e ai pasti in piedi attorno ai trespoli traballanti, si passò ad una maggiore stratificazione delle infrastrutture. La tenda medica, la tenda della “bouffe”, il cibo, e la tenda “ristorante” con tavoli e panche, e poi la tenda PC Course, il posto di controllo della corsa, la tenda-torre di controllo per la flotta aerea che travasava da una tappa all’altra organizzatori, attrezzature e masserizie. Dalle tende si passò ai tendoni, i “chapiteaux”, dai camioncini agli autotreni attrezzati, dai sacchi di riserve ai veri e propri magazzini, anche frigoriferi, dai rudimentali pronto soccorso alle autentiche cliniche mobili.
Dai vecchi camion Berliot agli aerei. Sempre più organizzato, anche nelle gerarchie imposte dalle varie funzioni e dai ruoli (per ogni pilota si poteva contare anche il doppio di uomini dell’organizzazione), il bivacco continuava a svolgere la sua funzione di centro di raccolta, di riordino e di rassicurante stasi della corsa. E continuava a farlo in una condizione di quasi perfetto isolamento, difficilmente raggiungibile dagli scarsi mezzi di comunicazione, all’inizio via radio ad onde cortissime o utilizzando piccoli aerei relais. Dell’avventura, in città, si sapeva sempre molto poco o in tempi che le dirette di oggi farebbero apparire buffamente irragionevoli.
Attraversando oltre trent’anni di storia, il Rally-Raid ha subìto alcune trasformazioni fondamentali. Agli strumenti primitivi di navigazione, bussola, cartografia e istinto, sono subentrati il GPS e i suoi “derivati”, come il tracking, le telecomunicazioni hanno annullato la distanza e l’isolamento con i telefoni satellitari, prima, e i GSM poi, le cui onde ormai arrivano anche sulla duna più remota, e i mezzi da corsa sono diventati talmente affidabili che nessuno, ormai, parte per l’ignoto con il cuore in gola.
La tradizione resiste e si evolve
Il bivacco si è trasformato, ma resiste, talvolta anche come pretesto per un riferimento preciso alla storia del Rally come in Sardegna o Abu Dhabi, con funzioni pratiche e non più come centro assoluto del Rally, come ritrovo sempre più ideale che necessario. Sempre più spesso si materializza in un hotel, è dotato di ogni possibile confort, dalla birra alla spina agli impianti di climatizzazione, dalla televisione alle connessioni. La connessione. Ecco il “maleficio” che ha invertito la tendenza, che torna ad allontanare tra loro quegli “abitanti” che una volta si univano, in solidarietà e alleanza, in amicizia e fratellanza, persino, talvolta, in matrimonio.
Fisicamente piloti, manager, meccanici, organizzatori, VIP, continuano ad essere vicini, a scambiare contatto e generosità, pasti e birre, ma sempre più spesso si ritirano nell’isolamento per tornare virtualmente a casa, in ufficio, al bar, allo sportello bancario e, “maleficamente”, negli oceani sovraffollati del social network. La connessione tiene in contatto la partenza e l’arrivo della prova speciale, e il PC Course, i concorrenti con i loro manager e le assistenze durante la gara, ma riporta al bivacco anche la realtà quotidiana della vita lasciata in sospeso per venire a correre.
La connessione rimanda alla “civiltà” le immagini del Rally in tempo reale, ma richiama frotte di giornalisti e fotografi in corsa con i loro server e disposti a scatenare la rissa per un kilobyte o un IP. La connessione elimina l’isolamento del bivacco, ma finisce per… disconnettere quei legami che una volta erano non solo necessari ma vitali per l’atmosfera di coesione che animava la gente del Rally. In questo modo, il baricentro del bivacco diventa il router, l’access point. Niente di drammatico, nel frattempo il Rally attinge a sempre nuove risorse per rimanere Sport-Avventura, un pelo meno avventura, non necessariamente meno sport, ma a condizioni e con regole “sociali” diverse.
Immagini Antonio Ammiragli e Paola Picone, ApPhotosport